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15 Mag
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Intervista all'autore - Nicoletta Poli -

Ci parli un po' di Lei, della Sua vita. Da dove viene? Come e quando ha deciso di diventare scrittrice?
Sono di origini genovesi, ma vivo da tempo a Bologna. Sono laureata in filosofia ed esercito la professione di consulente filosofico.
Dirigo una scuola per consulenti filosofici a Bologna e Roma e amo l'arte in tutte le sue espressioni. Scrivo da quando ho 10 anni e ho pubblicato il mio primo libro di poesie a 19. Approdo alla narrativa a 30 anni circa e ho vinto diversi premi, in questo ambito. Ho scritto anche diversi saggi filosofici con relativi riconoscimenti.
Sono sposata, non ho figli e amo follemente i gatti.
Ed oltremodo, il mare.
 
Nell’arco della giornata qual è il momento che dedica alla scrittura?
Al tramonto. Ma spesso anche di notte, di giorno, appena posso.
Scrivere per me è una questione di sopravvivenza.
 
Il suo autore contemporaneo preferito?
Murakami, ma anche Perrin.
 
Perché è nata la sua opera?
Perché, nel momento in cui sono entrata in Rocchetta Mattei, ho sentito una fortissima energia. E poi, estasiata dalla bellezza del luogo, ho pensato di ambientarvi persone che, in quel momento, soffrivano per via del Covid. Insomma, la bellezza che sovrasta il male assoluto.
 
Quanto ha influito nella sua formazione letteraria il contesto sociale nel quale vive o ha vissuto?
Moltissimo. Non sono molto giovane, sicché ho avuto modo di vivere tanta storia, tanti eventi politici e sociali della nostra Italia. In tutti i miei libri c'è questo vissuto, talvolta esplicitato, talvolta descritto in maniera un po' visionaria. La storia è maestra di vita, ricordiamolo sempre.
 
Scrivere è una evasione dalla realtà o un modo per raccontare la realtà?
Scrivere è un modo per vivere tante vite e noi scrittori siamo molto fortunati. Come scrive Pessoa, la letteratura è nata perché una sola vita non basta. Forse, in questo senso, è un po' un'evasione dalla nostra realtà, dal nostro "io". Ma è anche un modo per raccontare la realtà, in tutte le sue sfaccettature, magari quelle più impensate, inimmaginabili.
 
Quanto di lei c’è in ciò che ha scritto?
Poco, in realtà. La maggiore preoccupazione di uno scrittore è fondamentalmente quello di rendere i suoi personaggi credibili, verosimiglianti. Si forgiano come uno scultore fa con l'argilla. O con la pietra. Si immaginano agire, si dipingono, si dà loro un'anima. E tutto poi viene manipolato, aggiustato, tolto, rimesso. Ma l'importante è questa operazione: il dissolvimento del proprio io. Una specie di operazione schizofrenica.
 
C’è qualcuno che si è rivelato fondamentale per la stesura della sua opera?
Chi mi ha sostenuta, perché è stata forse l'opera più impegnativa della mia vita. E poi Alessandro Rapparini del Centro Studi Cesare Mattei e il caro amico e artista Gian Ruggero Manzoni.
E poi, il Covid...
 
A chi ha fatto leggere per primo il romanzo?
Ad alcuni miei amici scrittori, in primis, Gian Ruggero Manzoni. Poi Rapparini, Ines Cavicchioli, Alessandro Pasetti.
E, ovviamente, mio marito Angelo.
 
Secondo lei il futuro della scrittura è l’ebook?
Può essere, ma non ne sono così sicura.
C'è un sacco di gente che ama la carta stampata.
 
Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
Molto interessante, molto utile.

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