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26 Apr
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Intervista all'autore - Francesco Paolo Ricciuti -

Ci parli un po' di Lei, della Sua vita. Da dove viene? Come e quando ha deciso di diventare scrittore?
Lucano di nascita, mi è sempre piaciuto scrivere. A scuola il momento che preferivo era scrivere un tema, meglio se non obbligato da una precisa descrizione di un evento, circostanza, saggio da criticare o altro.
In altre parole davo il meglio di me, o almeno speravo che così fosse, quando potevo spendere notevoli quantità di fantasia. D'altra parte nella mia vita ho sempre trovato il tempo di leggere, anche quando per impegni di lavoro, di tempo da dedicare alla lettura me ne rimaneva poco. Dopo la maturità classica, ho conseguito la laurea in medicina e chirurgia, e preso due specializzazioni. Ho lavorato come chirurgo generale presso l'ospedale S.Spirito di Roma. Sono in pensione dal 2012 ed ho utilizzato gran parte del tempo libero per leggere di tutto.
 
Nell’arco della giornata qual è il momento che dedica alla scrittura?
Non c'è un momento preciso ma mi sono accorto che la voglia di scrivere mi sovviene all'improvviso, ed è un impulso difficile da trattenere. Lo stesso impulso mi spinge altre volte verso il pianoforte o la chitarra. In questi casi è ancora più evidente l'aspetto umorale di questo stimolo interiore, ed è altrettanto palese che è assolutamente insospettabile il momento in cui tutto funziona oppure no. Vado dalla rabbia per non riuscire a combinare nulla di buono ai brividi orgasmici che mi fanno letteralmente levitare a un metro dal suolo. Ovviamente nella scrittura sono di gran lunga più frequenti i momenti buoni, per il semplice motivo che nella musica sono un autodidatta.
 
Il suo autore contemporaneo preferito?
Javier Marias, spagnolo di Madrid, accanito tifoso del Real, come me indomabile interista. Lo trovo geniale, meticoloso nella sintassi, ed evidentemente soggetto anche lui ad alti e bassi, tanto che alcuni dei suoi libri, pochi per fortuna, svelano un momento di umore nero. Il mio preferito della sua vasta produzione è: "Domani nella battaglia pensa a me". Purtroppo ci ha lasciati non molto tempo fa.
 
Perché è nata la sua opera?
Non posso dirlo con certezza, ma certamente sono stato pesantemente condizionato dalla lunga vita dei miei genitori. Mio padre ci ha lasciati lo scorso 16 marzo a quasi 98 anni. Mamma sta in una casa di riposo e a luglio ne compie 96. È come se avessi voluto fermare il tempo, consapevole che avrei ed avrò dovuto affrontare a breve la loro perdita.
 
Quanto ha influito nella sua formazione letteraria il contesto sociale nel quale vive o ha vissuto?
Mio nonno materno ha influito tanto sulla mia formazione, trasmettendomi l'amore per le materie classiche e per la musica. Il resto lo hanno fatto i padri gesuiti. Infine il mio lavoro mi ha portato a contatto con la sofferenza e mi ha insegnato a rispettare la vita e la buona salute, per quanto ovvia e scontata possa apparire questa cosa. Certamente, rispetto ai miei genitori, che hanno vissuto la guerra da ventenni, con tutte le rinunce che hanno dovuto subire, mi sono avvalso di un lungo periodo di pace e benessere, che spero non debba arrestarsi per colpa di un pazzo che ha deciso di invadere l'Ucraina.
 
Scrivere è una evasione dalla realtà o un modo per raccontare la realtà?
Direi entrambe le cose. Personalmente non credo di essere in grado di inventarmi di sana pianta una storia, probabilmente perché, avendo letto tanto, troverei problematico realizzare qualcosa che sia frutto della mia fantasia, e che contemporaneamente non faccia il verso a qualcosa che ho già letto, scritto da altri. L'evasione la trovo molto più facilmente in un trascinante brano Jazz o nei fantastici Beatles dell'esordio.
 
Quanto di lei c’è in ciò che ha scritto?
Molto. Se non di me personalmente, dei miei genitori, dei valori che mi hanno trasmesso, dell'esempio che mi hanno fornito. Ovviamente ho troppo rispetto per me stesso per non aver tentato neanche lontanamente di scrivere una autobiografia, come purtroppo accade con frequenza al giorno d'oggi a personaggi che fino a ieri erano dei perfetti sconosciuti e si sentono invece autorizzati a raccontarsi, solo perché hanno giocato alcune partite in serie A o magari perché hanno appena avuto la fortuna di cantare un motivetto orecchiabile.
 
C’è qualcuno che si è rivelato fondamentale per la stesura della sua opera?
Sono un individualista convinto. Tra l'individuo e il popolo non ho dubbi a scegliere il primo. Sono persuaso che la felicità della gente sia semplicemente la somma della felicità delle singole persone. Diffido molto di chi pretende di fare il contrario. Credo nella parità dei diritti, ma credo anche che siamo tutti diversi, con inclinazioni e capacità differenti indissociabili dall'individuo.
 
A chi ha fatto leggere per primo il romanzo?
A mia zia. Una persona cui sono legato da profondo affetto, che quando ero piccolo si è occupata di me con grande dedizione. Ora è anziana e vive da sola, ed è lei che ha bisogno di aiuto, anche di quel poco che posso fornirle io.
 
Secondo lei il futuro della scrittura è l’ebook?
Temo molto questa prospettiva. Temo che sia inevitabile, anche se devo dire che il libro cartaceo si sta difendendo bene. Ho fatto la prima elementare con pennino e calamaio, come potrei augurarmi un futuro così infausto? L'odore del libro è impagabile. Spero che possano coesistere il più a lungo possibile.
 
Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
Quando leggo, soprattutto se ho avuto la fortuna di imbattermi in qualcosa di speciale, non sono solo un lettore, ma divento regista e sceneggiatore, cerco di dare un volto ai personaggi, ci metto la colonna sonora. Ben venga l'audiolibro ma la lettura resta un'altra cosa.

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