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BookSprint Edizioni Blog

24 Mar
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Intervista all'autore - Valerio Melchiorre -

Ci parli un po' di Lei, della Sua vita. Da dove viene? Come e quando ha deciso di diventare scrittore?
Buongiorno, mi presento: mi chiamo Valerio, ho cinquant’anni e sono fisioterapista, professione che sicuramente c’entra poco con la scrittura. Sono nato nei primi anni Settanta a Rogoredo, un quartiere nella periferia di Milano.
Dopo aver frequentato la scuola dell’obbligo (nella quale l’italiano non era certo la mia materia preferita) mi sono diplomato in ragioneria e sono partito per il servizio civile.
Ho sempre adorato la matematica ma non ho mai ritenuto la ragioneria la mia strada: mi avrebbe permesso di proseguire l’attività di mio padre ma l’idea di vivere giorno e notte sui numeri non mi ha mai attirato, anzi... Essendo più portato per stare con le persone che con le macchine, ho prima studiato all’ISEF di Milano e poi mi sono iscritto a Fisioterapia. Ragioneria e fisioterapia non c’entrano niente l’una con l’altra, anche se far quadrare un bilancio o riequilibrare una postura hanno molte cose in comune.
A parte questo, nel corso degli anni ho scoperto di avere una grande capacità di esprimermi attraverso le parole. Mi sono reso conto di quanto sia difficile passare da ciò che si pensa a ciò che viene detto, di quanto si possa perdere con le parole in questo primo passaggio della comunicazione ma anche quanto queste siano in grado di arricchire un semplice discorso.
Mi è capitato, per esempio, di dover scrivere delle lettere o di dover fare delle relazioni. Ogni volta scrivevo, rileggevo, correggevo, a volte cambiavo una parola, altre spostavo una frase finché non ero soddisfatto. È solo vedendo i risultati che ho pensato di avere qualche capacità in ambito letterario ma sinceramente non ho mai pensato di diventare uno scrittore. Pubblicare un libro è stata una bellissima sorpresa, ancora oggi mi chiedo se sia successo veramente.
 
Nell’arco della giornata qual è il momento che dedica alla scrittura?
Come detto, la scrittura non è la mia professione, quindi non ho un momento della giornata che dedico a questa attività. Scrivo solo quando sono ispirato con periodi nei quali lo faccio tutti i giorni e periodi, che durano anche mesi, nei quali non scrivo nulla. Mi piace così, non devo sentirmi obbligato a scrivere.
A ogni modo, per rispondere alla domanda, il momento della giornata che preferisco è la notte, laddove trovo la massima concentrazione e ispirazione, soprattutto se mi devo dedicare al mio genere preferito, il thriller. Di notte il mondo si ferma e iniziano le mie attività. La notte è statica, riflessiva, introspettiva, le condizioni ideali per creare. Mi capita, a volte, di avere del tempo da dedicare alla scrittura di giorno, quando la mia testa è più razionale che creativa. In questo caso preferisco rivedere e correggere qualcosa che ho scritto in precedenza, altrimenti sarebbe probabilmente tempo perso.
 
Il suo autore contemporaneo preferito?
Da un po’ di tempo ho smesso di avere autori contemporanei preferiti, l’ultimo che ricordi è stato Dan Brown. Nel mio poco tempo libero preferisco dedicarmi alla scrittura; tuttavia, quando voglio leggere un libro, mi piace andare alla scoperta di scrittori emergenti. In questi ultimi anni ho avuto il piacere di conoscere veri e propri talenti, trame originali (anche se talvolta con qualche errore) e idee degne dei migliori scrittori. Credo anche di aver capito che l’autore sconosciuto sia come un bambino che va alla scoperta del mondo con tutta la sua innocenza mentre gli autori famosi sono come degli adulti che rasentano la perfezione. Forse è proprio per questo che preferisco i primi, mi incanta di più vedere dei bambini che giocano con la fantasia che non degli adulti molto abili in quello che fanno. Punti di vista.
 
Perché è nata la sua opera?
Mamma mia, opera. Che bello sentir chiamare così il mio libro.
Tanya è nato perché molti anni fa, nel tornare dal lavoro, vedevo spesso una persona che ho pensato dovesse avere un’esistenza piuttosto complicata. Senza averla mai conosciuta iniziai a immaginare la sua vita fino a farla diventare il personaggio di una storia e ogni volta che la incontravo aggiungevo un tassello. Un giorno, improvvisamente, non la vidi più. Cos'era successo? Perché Tanya era sparita dalla circolazione? Col mio libro ho cercato di rispondere a questa domanda ma non posso aggiungere altro, non vorrei togliere al lettore il piacere di scoprire a uno a uno tutti i dettagli.
 
Quanto ha influito nella sua formazione letteraria il contesto sociale nel quale vive o ha vissuto?
Veramente non posso parlare di una vera e propria formazione letteraria, diciamo che ho vissuto in una grande città come Milano alla fine del secolo scorso in un contesto di periferia. Sicuramente i personaggi che ho creato, salvo qualche eccezione, sono persone che avrei potuto tranquillamente incontrare sotto casa o a scuola, nulla più. Anche i temi che ho trattato sono molto vicini alle realtà di quel periodo al quale sono molto legato.
 
Scrivere è una evasione dalla realtà o un modo per raccontare la realtà?
Oggettivamente possono essere entrambe le cose: c’è chi racconta la realtà e chi da questa evade, con le regole-non regole della fantasia. Tuttavia, credo che per la maggior parte degli scrittori (me compreso) i due aspetti siano presenti contemporaneamente. Io scrivo molto di me, del mio modo di essere, di agire, dei miei pensieri. È molto comune che chi scrive racconti in maniera più o meno esplicita di sé stesso.
 
Quanto di lei c’è in ciò che ha scritto?
Molto. Io impersono il protagonista, anzi, a dirla tutta è lui che mi ha rubato la personalità. Nel racconto ci sono i luoghi dove ho vissuto, studiato e lavorato; c’è la mia città; la mia musica; la mia macchina (anche se per diversi motivi ho dovuto cambiare alcuni dettagli, ma questa è un’altra storia della quale potremmo parlare in altre sedi). Soprattutto c’è il mio modo di vedere le cose, il mio modo di pensare, ci sono le mie emozioni, i miei sentimenti, i miei princìpi e perfino i miei incubi. Laddove non ci sono io, tuttavia, ci sono la mia fantasia, la mia creatività e il mio stile, che non sono altro che altri aspetti della mia personalità.
 
C’è qualcuno che si è rivelato fondamentale per la stesura della sua opera?
Certamente. Il mio amico Giancarlo mi ha prima coinvolto in un corso di scrittura e poi ha letto e corretto le mie bozze dandomi i primi consigli. Giancarlo Cotone (che tra l’altro è anche il padre di mio cognato) è uno degli scrittori emergenti (se posso ancora considerarlo così, visti i tanti libri che ha pubblicato e i premi che ha vinto) dei quali accennavo prima. Leggo sempre con piacere i suoi libri e resto sempre stupito davanti a quello che esce dalla sua penna (sì, certo, oggi è una tastiera ma va bene lo stesso). Anche Rosa, sua moglie, si è prestata a leggere il racconto e a darmi degli ottimi consigli. I loro contributi sono stati determinanti e illuminanti, oltre al fatto che mi hanno spinto a non arrendermi nei momenti di stallo.
Infine, ci sono stati Carmine, Kekka e mio fratello Lorenzo, che grazie alle loro conoscenze mi hanno permesso di addentrarmi con disinvoltura in campi nei quali non avrei saputo come muovermi. Senza il loro contributo la narrazione sarebbe stata sicuramente molto più sterile.
 
A chi ha fatto leggere per primo il romanzo?
A Giancarlo, naturalmente, che lo ha letto man mano che lo scrivevo e che si è anche sorbito fino allo sfinimento tutte le modifiche. Adesso conosce la trama meglio di chiunque altro anche se, probabilmente, nella sua testa saranno ancora presenti frammenti di storia eliminati o modificati che lo manderanno facilmente in confusione. Peggio per lui che ha accettato di aiutare un eterno indeciso come me.
 
Secondo lei il futuro della scrittura è l’ebook?
Si, sicuramente l’ebook sarà il futuro, anche se io sono fortemente legato alla carta stampata, al profumo delle pagine e a un oggetto da posizionare in libreria.
L’ebook è molto pratico, in un chip della grandezza di un francobollo si possono conservare centinaia di libri che occuperebbero interi scaffali. Inoltre è più economico e, cosa molto importante, può essere letto al buio senza dare fastidio.
Che ognuno sia libero di scegliere.
 
Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
Personalmente non mi piace. Ho provato qualche volta ad ascoltarne qualcuno ma sono rimasto piuttosto deluso. Credo che sia un problema molto soggettivo, la mia attenzione su un audio dura pochi minuti, poi lentamente inizia a dissolversi. Se ascolto una storia, anche coinvolgente, ma perdo più volte il filo del discorso, devo continuamente tornare indietro e lo stress inizia a prevalere sul piacere.
Tuttavia mi preme fare una considerazione: dal punto di vista di chi scrive non ci sono differenze tra audiolibro e libro stampato, quello che cambia è il fruitore del servizio, cioè il lettore, che diventa un ascoltatore.
Questa frontiera, a mio avviso, è fatta sicuramente per chi ama storie nuove, magari raccontate da una particolare voce narrante, ma non per chi è legato al piacere della lettura.

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