Ci parli un po' di Lei, della Sua vita. Da dove viene? Come e quando ha deciso di diventare scrittore?
Vengo da una bellissima zona di Napoli, il Vomero, dove ho trascorso i miei primi 32 anni. È stato un periodo bellissimo della mia vita.
Sono cresciuto lì negli anni del boom economico, la Fiat 600, Mary Quant, il ‘68, i Beatles e i Rolling Stones. Ho avuto un’infanzia e un’adolescenza meravigliosa. L’unico mio problema è stato di essere cresciuto introverso e con un carattere molto chiuso. Quando mi vedevo con gli amici ero quello che si metteva in disparte senza parlare perché pensava di non aver mai qualcosa di importante da dire. Poi, ad un certo punto, mi resi conto che scrivere mi veniva più facile che parlare. Allora, quando avevo qualcosa di importante da dire, scrivevo lettere o biglietti per amici o parenti. Una volta vista questa mia predilezione, ho pensato di mettere giù qualcosa che mi potesse soddisfare di più. Una decina di anni fa ho rotto il ghiaccio come fanno un po’ tutti, scrivendo poesie e un'autobiografia romanzata. Il resto è venuto di conseguenza.
Nell’arco della giornata qual è il momento che dedica alla scrittura?
Sono neopensionato, per cui di tempo ne ho parecchio. Dedico un po’ di tempo alla famiglia, un po’ alla casa, un altro po’ alla mia gattina e, per finire, un po’ alla scrittura e alla lettura. Scrivo, comunque, per lo più nel pomeriggio.
Il suo autore contemporaneo preferito?
Mi piace molto come Giorgio Faletti descriveva l’ambiente e la scena dove si svolgevano le varie azioni del libro, mentre Michael Connelly per come ti fa vivere i personaggi e le loro emozioni.
Perché è nata la sua opera?
Sono un esordiente che ancora sta cercando il tipo di storia più soddisfacente. Dopo due romanzi e un poliziesco ho scritto questo fantasy cercando di capire cosa potesse essere più adatto alla mia fantasia o alla mia personalità. E devo dire che sto ancora cercando di capirlo. Mi sto ancora mettendo in gioco per scoprirlo.
Quanto ha influito nella sua formazione letteraria il contesto sociale nel quale vive o ha vissuto?
Parecchio. Mio padre voleva che in casa non si parlasse il dialetto ma solo l’italiano, a mia madre piaceva scrivere, i miei zii dipingevano, mio fratello amava il modellismo aeronavale. Insomma, ognuno seguiva, in un certo modo, una qualche forma di arte. Io le ho provate tutte fino a preferire la scrittura.
Scrivere è una evasione dalla realtà o un modo per raccontare la realtà?
Per me un’evasione dalla realtà. La realtà è già brutta di suo. Penso che i libri debbano darci l’opportunità di viaggiare, con la mente, in posti migliori dei nostri oppure che ci facciano vivere qualcosa di diverso dall’abitudinario, avventure che non potrebbero mai capitarci.
Quanto di lei c’è in ciò che ha scritto?
Valter, il protagonista della storia, non ha avuto paura di affrontare le sue paure o di mettersi in gioco per amore delle persone care. Per aiutare una donna indifesa si è buttato a capofitto in un’avventura senza pensare alle conseguenze. Mi ci rivedo in questo personaggio, almeno quando ero giovane ero così.
C’è qualcuno che si è rivelato fondamentale per la stesura della sua opera?
Si, mia moglie Cristina. Dopo due romanzi mi ha detto che dovevo cambiare genere perché, sennò, correvo il rischio di diventare monotono.
A chi ha fatto leggere per primo il romanzo?
Antonietta. Una cara amica di famiglia che è anche stata la mia prima ‘fan’.
Secondo lei il futuro della scrittura è l’ebook?
Sicuramente. Lo dico a malincuore perché ho sempre amato il fruscio e l’odore della carta stampata ma devo ammettere che l’ebook sarà, se già non lo è, il futuro dell’editoria.
Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
È un’ottima possibilità per i pigri e per quelli che non hanno tempo di fermarsi per leggere un libro stampato ma anche per i non vedenti che potranno ascoltare senza dover utilizzare voluminosi libri in braille.