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29 Apr
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Intervista all'autore - Luca Cianti -

Ci parli un po' di Lei, della Sua vita. Da dove viene? Come e quando ha deciso di diventare scrittore?
Sono nato e tutt'ora vivo in un piccolo paese dell'Appenino tosco emiliano, Sant'Agata Mugello. Mio padre faceva la mia stessa professione, il veterinario, quindi ho vissuto immerso nella vita di campagna a cui tutt'ora mi sento molto legato.
Non ho mai deciso di diventare uno scrittore, né credo che lo deciderò mai, ho deciso però di scrivere o meglio di essere autore. Fino ad ora la mia esperienza di autore era limitata a testi scientifici legati alla mia matrice professionale, ora ho tentato l'esperienza di un libro di favole, ovviamente radicalmente diversa.
A mio modo di vedere esiste una differenza sostanziale tra "autore" e "scrittore": autore è colui che decide di comunicare ed elabora un messaggio, scrittore è colui che trasforma la comunicazione in una espressione artistica e se ci riesce o meno lo devono dire i lettori!
 
Nell’arco della giornata qual è il momento che dedica alla scrittura?
È necessario distinguere: per i testi destinati a pubblicazioni di lavoro il tempo è dettato dalle esigenze editoriali e non raramente devono essere dedicate intere giornate alla costruzione e revisione dei testi. Per la mia esperienza di autore di favole non ho un momento preciso, mi affido all'ispirazione e cerco di ritagliare un po’ di tempo agli impegni di lavoro, non raramente la pausa pranzo si presenta come il miglior momento per fissare le idee che sorgono nell'arco della giornata.
Non nego che la notte, prima di prendere sonno, è un momento di pace e tranquillità durante il quale il cervello cerca di far decantare i pensieri quotidiani e lascia che la fantasia si libri in libertà.
 
Il suo autore contemporaneo preferito?
Sono molti gli scrittori contemporanei che ammiro e ai quali invidio la capacità di scrivere. Enzo Biagi e Indro Montanelli sono modelli difficili da raggiungere, per la sostanza del loro pensiero, anche se posizionato su modelli diversi, e non meno per la forma, per la fluida magia del loro linguaggio. Mi piacciono molto anche autori come Marcello Marchesi e Pasquale Festa Campanile, veri giocolieri della parola, frizzanti e sempre accattivanti, capaci di passare da una sceneggiatura ad un romanzo con la naturalezza di un gesto quotidiano, penetrati nella nostra quotidianità senza quasi che ce ne rendessimo conto.
Un posto a parte per me merita Giovannino Guareschi: personaggio spigoloso e non sempre condivisibile ma indiscutibilmente un vero artista della penna!
 
Perché è nata la sua opera?
Semplicemente perché mi sono trovato a pensare un linguaggio con cui parlare a tre bambini piccoli quando mi sono accorto di essere diventato nonno. Ai bambini si parla con le favole e allora ho pensato a delle favole da raccontarli che fossero originali, pensate per loro. Non so se ci sono riuscito. L'intento è stato di costruire dei racconti che si potessero leggere a diverse età e interpretarli a seconda dell'età in cui si leggono. Una favola non deve avere un messaggio stereotipato bensì deve essere uno stimolo a creare, nella nostra fantasia, un'altra favola e rileggendola un'altra ancora: è il segreto dell'immortalità di Biancaneve, di Pinocchio ma anche delle fiabe di Gianni Rodari o di Italo Calvino
 
Quanto ha influito nella sua formazione letteraria il contesto sociale nel quale vive o ha vissuto?
Più che contesto sociale parlerei di contesto familiare, sia relativamente alla mia famiglia di origine che la mia attuale famiglia e in particolare mia moglie con la quale condividiamo interessi culturali che vanno oltre le nostre specifiche professionalità.
 
Scrivere è una evasione dalla realtà o un modo per raccontare la realtà?
Bisognerebbe prima definire cosa è la realtà. Ci hanno provato in molti, Martin Heidegger ha scritto fiumi di parole creando più inquietudini che certezze, la realtà degli antichi pensatori non è uguale a quella dei moderni filosofi e potremmo continuare a lungo a parlare di come la storia del pensiero si sia rapportata con la realtà. Scrivere credo sia semplicemente un modo di comunicare e, in base a ciò che si intende comunicare, si deve adattare il modo di scrivere. Scrivere è il prodotto della necessità di esternare ciò che prende forma nel nostro cervello.
 
Quanto di lei c’è in ciò che ha scritto?
C'è il modo di esprimermi, di affrontare le situazioni, di confrontarmi con il mondo esterno, insomma il rapporto con il contesto che mi avvolge.
 
C’è qualcuno che si è rivelato fondamentale per la stesura della sua opera?
I miei nipoti naturalmente.
 
A chi ha fatto leggere per primo il romanzo?
A mia moglie. Deve ancora riprendersi ma sono sicuro che piano piano supererà lo shock anche senza supporti farmacologici.
 
Secondo lei il futuro della scrittura è l’ebook?
Non so se sarà il futuro, certamente nel presente l'ebook riveste un ruolo crescente nelle iniziative editoriali. Personalmente sono un fruitore di libri immateriali, per vari motivi: costo, praticità di trasporto, mancanza di spazi dove installare nuove librerie, ecc..
È indubbio che il fascino del libro di carta non potrà essere sostituito da uno schermo ma è altrettanto indubbio che anche il fascino di una fiamma nel caminetto non è stato sostituito dal termosifone ma è con quest'ultimo che di fatto ci scaldiamo.
 
Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
È una frontiera che non conosco e che fino a quando il buon Dio vorrà conservarmi la vista preferisco non conoscere.
In quanto agli infanti non leggenti, per carità ... ma i nonni dovranno pur servire a qualcosa!

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