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09 Feb
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Intervista all'autore - Cesare Catalani -

Ci parli un po' di Lei, della Sua vita. Da dove viene? Come e quando ha deciso di diventare scrittore?
Ho trascorso la fanciullezza nelle campagne di Senigallia dove ho appreso il dialetto usato a tratti nei dialoghi tra personaggi nel romanzo “Giallo come il girasole”. Sono rimasto poco in quelle terre, gli studi mi hanno portato altrove. Ho frequentato il liceo classico “Mamiani” di Pesaro e in seguito l'Università di Urbino, in cui mi sono laureato con una tesi in filologia medievale e umanistica. In seguito ho insegnato in istituti superiori in Trentino. Vivo a Trento. Non ho mai deciso di diventare uno scrittore e francamente la definizione di scrittore, riferita alla mia persona, mi sembra eccessiva. Ho scritto poesie dialettali quando ho udito parole che mi hanno riportato a un tempo lontano. Oggi ho scritto un romanzo che non avevo programmato. Scrivo quando ‘Amor mi spira’.
 
Nell’arco della giornata qual è il momento che dedica alla scrittura?
Non ho un orario prestabilito né un giorno riservato alla scrittura. In generale però, quando mi trovo alle prese con un mio testo da elaborare e perfezionare (poesia o prosa), preferisco curarlo di mattina.
 
Il suo autore contemporaneo preferito?
Nella lettura ho sempre preferito gli scrittori che, pur presentando argomenti alti e impegnati, non dimenticano di curare la piacevolezza del testo con l’ironia, la satira, le battute. Penso ad autori come Ariosto, Cervantes. In tempi più vicini ho letto con molto piacere Gadda, soprattutto il Gadda del Pasticciaccio. Tra gli stranieri segnalerei Bulgakov e la satira de Il maestro e Margherita. Frequento poco gli autori italiani dell’ultima generazione che, con monotonia, s’impegnano a raccontare storie, forse utili, ma solitamente tristi. Ho letto con piacere Il Canale Mussolini di Pennacchi, un autore che pur raccontando un’autentica tragedia della storia, offre al lettore una lettura molto godibile.
 
Perché è nata la sua opera?
Il mio romanzo non nasce da un’illuminazione improvvisa, anzi ha un inizio prosaico. Era il marzo 2020, siccome l’epidemia imperversava, una sera apparve in televisione il presedente del Consiglio per lanciare il suo slogan: “Io sto a casa”. ‘E io che faccio? Mi sono chiesto. Ecco com’è nata l’idea del romanzo. Ovviamente, non è stato soltanto un modo di ingannare il tempo, una volta iniziato, il romanzo mi ha impegnato per quasi un anno. L’epidemia è stata l’occasione, ma forse dentro di me già si nascondeva qualcosa di cui neppure io avevo conoscenza, forse quello stesso sentimento che mi ha spinto a scrivere le poesie in dialetto.
 
Quanto ha influito nella sua formazione letteraria il contesto sociale nel quale vive o ha vissuto?
L’ambiente in cui ho vissuto per pochi anni mi ha insegnato due valori fondamentali: il lavoro e l’onestà. La formazione letteraria invece è maturata via via con la scuola, le numerose letture personali e la pratica della scrittura. Ho iniziato presto a scrivere. Prima dei vent’anni ho scritto un poemetto per celebrare i luoghi della mia infanzia. Un testo non di grande valore, che tuttavia mi ha introdotto alla pratica dei versi. In seguito non ho scritto più nulla per decenni, fino alla riscoperta del dialetto.
 
Scrivere è una evasione dalla realtà o un modo per raccontare la realtà?
Penso che nella pratica della scrittura siano presenti l’una e l’altra. Mentre si scrive, ci si concentra sui personaggi, sul loro modo di parlare, sui loro sentimenti ecc. se si tratta di prosa, o sulla sonorità dei versi, in caso di poesia. Mentre si compiono queste operazioni, non si pensa ad altro, si evade dalla realtà. Quel che si scrive però, non può essere altro che un riflesso della realtà sentimentale, spirituale, umana dell’autore
 
Quanto di lei c’è in ciò che ha scritto?
C’è tanto di me nel “Giallo come il girasole”. C’è innanzitutto il paese di Montebodio (nome inventato), il mio paese di riferimento dove ho ambientato la vicenda, i personaggi cui mi sono affezionato, che assomigliano parecchio a persone autentiche che mi sembra d’aver conosciuto. E da ultimo, il dialetto che i personaggi usano nei loro dialoghi, spesso mescolandolo all’italiano.
 
C’è qualcuno che si è rivelato fondamentale per la stesura della sua opera?
No, posso vantarmi d’aver fatto tutto da solo. L’unica persona che devo ringraziare è mia moglie, che mi ha lasciato tutto il tempo necessario per completare l’opera e sottoporla a revisione.
 
A chi ha fatto leggere per primo il romanzo?
Per primo ho fatto leggere il romanzo al mio amico Bruno, scrittore e cultore del dialetto, che a suo tempo mi ha introdotto al mondo dei concorsi letterari.
 
Secondo lei il futuro della scrittura è l’ebook?
L’ebook guadagnerà sempre più spazio, non c’è dubbio, ma il libro scritto è un’altra cosa. Sfogliare le pagine è un piacere che un mezzo meccanico non può dare. L’ebook comunque ha dei vantaggi rispetto al libro: ha la possibilità d’ingrandire i caratteri. Non è poco in una comunità di anziani, le case editrici dovrebbero tenerne conto. Inoltre l’ebook in poco spazio può contenere intere biblioteche.
 
Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
Tutto ciò che favorisce la divulgazione letteraria è benvenuto. L’audiolibro non sostituirà il libro come lo abbiamo sempre conosciuto, tuttavia si presenta come uno strumento meraviglioso che offre grandi vantaggi a molti. Penso ai non vedenti, ai viaggiatori, e anche a chi non ha la possibilità o la voglia di leggere. Bastano cellulare e auricolari per ascoltare ovunque libri ben letti.

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