1. Ci parli un po' di Lei, della Sua vita. Da dove viene? Come e quando ha deciso di diventare scrittore?
Sono nato in una famiglia di assidui lettori. Mia nonna, sulle cui ginocchia mi adagiavo spesso, mi ha fatto crescere con le gesta omeriche, quelle di Artù e dei Reali di Francia. Mio padre, come ho narrato nell’ultimo romanzo, era devoto lettore dei testi omerici. Formato nell’ascolto di tali racconti, soprattutto quelli di Omero, su cui hanno formato il proprio bagaglio culturale centinaia di generazioni, dalla Grecia antica, alla Roma classica, passando per il Rinascimento fino ai giorni nostri.
Proseguendo il cammino, ritroveremo a studiare quei testi anche i giovani di domani. Nel culto di quei versi che per primi forarono il muro del silenzio. Ho completato i miei studi tra Pandette e Digesti, trovando anche il tempo per frequentare un corso di giornalismo tenuto dalle migliori firme della Capitale. Fin da adolescente esprimevo il mio pensare in brevi articoli su un giornale murale. Poi passammo al ciclostile per poi scrivere su un quindicinale. Intorno agli anni Ottanta ho deciso di prendere la mia lettera 22 per raccogliere in un romanzo il mio pensiero. Due romanzi sono stati a lungo nei miei cassetti, che ho aperto per partecipare a un concorso letterario venti anni dopo.
2. Nell’arco della giornata qual è il momento che dedica alla scrittura?
In linea generale posso dire che sono le ore notturne a chiamarmi alla scrittura. Non è da sottacere che molto spesso, quando mi ritrovo attorniato da tante persone, su una panchina del centro o ad un bar, sia sufficiente un’espressione o un gesto per far esplodere in me un incontenibile impulso di scrivere. Annoto un pensiero dietro l’altro, che rielaboro e integro successivamente.
3. Il suo autore contemporaneo preferito?
In primis mi è gradito citare Emanuele Trevi, vincitore dell’ultimo premio Strega. Da ricordare che tale premio fu istituito sotto l’egida di Maria Bellonci, della quale lèssi tanti anni fa un nutrito volume su Lucrezia Borgia. Tornando a Emanuele Trevi, devo dire che da anni leggo i suoi scritti che mi sono cari sia perché la prosa, chiara e sincera, riesce a farsi poesia sia perché esiste un antico legame con il padre dello scrittore, Mario Trevi, uno dei massimi psicoanalisti italiani della scuola junghiana. Il papà dello scrittore è stato mio professore di storia e filosofia al liceo classico. Ricordo che per interrogarci non andavamo alla cattedra, ma era lui che raggiungeva il banco dello studente e, con il registro aperto fra le mani, poneva, con garbo, domande atte a stimolare l’intelletto e il ragionamento.
4. Perché è nata la sua opera?
Questo mio terzo romanzo è nato per il desiderio di trasmettere a eventuali lettori le problematiche di una vita sempre tesa al bene. Gli immancabili risvolti negativi della vita sono preludi di una rinascita. Tutti siamo sottoposti all’errore, è nella natura umana sbagliare, l’importante è trovare la forza di rialzarsi. Questo lo stimolo per tanti che a volte si sentono smarriti e vinti dai colpi dell’esistenza. Sono convinto che uno scrittore debba avere una prosa che sappia anche infondere coraggio a chi deve rimediare agli errori commessi.
5. Quanto ha influito nella sua formazione letteraria il contesto sociale nel quale vive o ha vissuto?
Ho trascorso l’adolescenza e i primi anni della mia gioventù in una città ricca di fermenti culturali. Ho conosciuto e conversato insieme a mio padre, di cui era amico, con il poeta Libero de Libero, senza dimenticare un compagno di studi del mio genitore, il pittore Domenico Purificato, presidente dell’Accademia di Brera. Del Maestro conservo una splendida incisione a soggetto biblico. Non posso non citare il regista del neorealismo italiano, Giuseppe De Santis. Tanto fervore culturale ha certamente influito su di me e sulla volontà di dedicarmi alla scrittura. Anche se mi considero un dilettante.
6. Scrivere è una evasione dalla realtà o un modo per raccontare la realtà?
Lo scrivere è certamente un modo per raccontare episodi di vita reale, con una prosa che riesca a trasfigurare la realtà, conservando la caratteristica dell’onestà.
7. Quanto di Lei c’è in ciò che ha scritto?
In questo ultimo romanzo gran parte di quanto narrato può avere un certo riscontro nella mia vita e nelle mie esperienze. Nel complesso, soprattutto le emozioni e le loro complicanze, sono sublimate da un’aspirazione tesa alla ricerca del trascendentale, inteso come quel quid che permette all’immanente di diventare trascendente. Con l’animo volto alla ricerca di quel momento in cui gustare l’armonia dell’Infinito.
8. C’è qualcuno che si è rilevato fondamentale per la stesura della sua opera?
Per la stesura del mio lavoro fondamentali sono state le mie esperienze e, in considerazione della mia ampia vita di relazione, anche tutti i racconti e le molte riflessioni confidenziali nel corso dei miei contatti. Ho avuto modo di ascoltare le confessioni fraterne di tanti conoscenti, talora gioiosi dei risultati conseguiti, molto spesso affranti dalle difficoltà del vivere, tutti, però, stimolati dall’anelito, a volte nascosto tra le pieghe dell’inconscio, a trovare un qualche rimedio agli errori commessi.
9. A chi ha fatto leggere per primo il romanzo?
Ho presentato le prime trenta pagine di questo lavoro unicamente a un mio compagno di studi, mio amico fin dalla prima classe delle elementari.
10. Secondo lei il futuro della scrittura è l’ebook?
Ammiro quanti amano leggere gli e books, personalmente non mi attraggono e sono convinto che il cartaceo abbia un richiamo superiore. Leggere un buon libro, lasciandosi avvolgere da una comoda poltrona, sfogliando lentamente le sue pagine, ha un profumo ineguagliabile.
11. Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
Per quanto attiene all’audio libro potrebbe essere rilassante, ma, non avendo esperienza in materia, mi astengo da considerazioni in merito. In considerazione, però, dei pochi amanti della lettura sul territorio italiano rispetto a quello europeo, devo convenire che qualsiasi metodologia volta ad ampliare la cultura è bene accetta.