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06 Mag
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Intervista all'autore - Valeria Taradash

1. Ci parli un po' di Lei, della Sua vita. Da dove viene? Come e quando ha deciso di diventare scrittore?
Sono sempre stata in mezzo alle cose, vivendo intensamente e bruciandomi in esse, forse da qui deriva il mio desiderio di raccontare. Ma anche questo narrare l'ho vissuto come vita. Come intenso ardere in essa, e ogni volta il testo che 'usciva' fuori era un pezzo della mia vita, della mia realtà - un saggio, un romanzo, una raccolta di poesie. Ogni volta come una forma del mio amore.
Sono nata in una città di mare, Livorno, e questo ha fatto sì che avessi uno sguardo che va lontano, oltre il visibile. Mi ha dato una prospettiva diversa sulla vita e sulle cose permettendomi di andare a fondo, di cercare di capire ogni momento. Non ho mai deciso di diventare scrittore, ho solo capito di esserlo quando mi sono resa conto di saper scrivere.
 
2. Nell’arco della giornata qual è il momento che dedica alla scrittura?
Quasi sempre la notte. La notte è il silenzio, la solitudine, la possibilità di sentirsi liberi e senza la museruola che il giorno ti impone.
 
3. Il suo autore contemporaneo preferito?
José Saramago.
 
4. Perché è nata la sua opera?
Per amore. La protagonista del libro è riuscita a toccare delle corde particolari, quelle che fanno vibrare l'anima e trasmettono parole su parole alla penna. Non potevo non parlare di lei. Poi gli eventi hanno preso una via imprevista e così il racconto. Un sentiero difficile e complesso che mi ha permesso di parlare più ampiamente della mia visione della vita.
 
5. Quanto ha influito nella sua formazione letteraria il contesto sociale nel quale vive o ha vissuto?
Certamente ha influito molto, per non dire completamente. È inevitabile che sia così. Sono cresciuta in una famiglia in cui il libro era una presenza costante e importante e presto ho imparato a non poterne fare a meno.
 
6. Scrivere è una evasione dalla realtà o un modo per raccontare la realtà?
Direi entrambi. Si esce dal proprio corpo quando si scrive, come se la mente e la penna fossero un tutt'uno che non ha bisogno di materia. Si va altrove scrivendo. Allo stesso tempo ci si cala profondamente nella realtà del mondo che si sta descrivendo. Si diventa un testimone di una qualche verità profonda celata dentro di noi.
 
7. Quanto di lei c’è in ciò che ha scritto?
Molto, moltissimo, forse anche troppo. Credo che ogni scrittore parli di se stesso nei suoi libri. Il mio nasce da un vissuto concreto, reale. È quasi un diario nella prima parte. Poi vola via e per sapere dove bisogna solo leggerlo.
 
8. C’è qualcuno che si è rivelato fondamentale per la stesura della sua opera?
Ovviamente la protagonista che mi ha stimolato al punto di voler scrivere di lei.
E poi tutti gli altri che compaiono nel racconto. E il mio compagno, eccezionale nel supportarmi e comprendere le mie lunghe "assenze" davanti al computer.
Non avrei potuto fare a meno della sua presenza costante accanto a me. Mi era di aiuto e anche di ispirazione.
 
9. A chi ha fatto leggere per primo il romanzo?
Al mio compagno. Con lui avevo condiviso ogni vissuto descritto. Lui conosceva tanto quanto me quello che stavo narrando. In realtà lo ha letto prima che fosse finito perché era lui lo specchio su cui mi riflettevo scrivendo.
 
10. Secondo lei il futuro della scrittura è l’ebook?
Spero di no. Per quanto capisca la funzione di questo mezzo, io amo la carta. Amo l'odore del libro e il piacere che dà lo sfogliare le pagine. Se si parla di leggere per me si parla di un libro e niente potrà superarne il fascino.
 
11. Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
Penso che sia interessante perché credo che ogni mezzo sia buono pur di far arrivare la cultura alla gente. Leggere è davvero un magnifico sport. Probabilmente l'unico che non stanca mai. Lo consiglio a tutti.
 
 
 
 
 

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