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04 Feb
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Intervista all'autore - Tullietto Affernik

1. Nell’arco della giornata qual è il momento che dedica alla scrittura?
Molto spesso scrivo durante la notte. Comincio magari all’imbrunire o in tarda serata e appena i neurotrasmettitori cominciano a frullare, entro in fase creativa, che al contempo attiva le idee e sopprime il sonno. È molto importante l’aiuto della musica, che ascolto in cuffia per tutta la notte. Finisco spesso stremato al mattino, e sovente il sonno mattutino pullula di pensieri che svolacchiano sul tema appena composto. Quando mi sveglio, verso il pomeriggio o la sera, spesso ho delle idee su come aggiungere alcune glosse o arricchire ulteriormente quello che ho scritto nella seduta notturna.
 
2. Perché è nata la sua opera?
Per un desiderio che per forza dovevo esprimere. Raccontare in formule vicine alla forma espressiva delle fiabe ricordi d’infanzia, sogni e fantasticherie che non sono altro che le espressioni più fedeli del mio essere interiore.

3. Quanto ha influito nella sua formazione letteraria il contesto sociale nel quale vive o ha vissuto?
Potrebbe effettivamente avere innescato in me una sorta di deflusso che mi ha portato ad evadere e crearmi un mondo immaginario nel quale esprimere la mia personalità. Lontano dall’interfaccia sociale nella quale sono cresciuto, e per questo al riparo da disapprovazione e indifferenza. Sebbene non mi interessi granché la disapprovazione degli altri. Cerco sempre di esprimere quello che provo e che vedo dentro di me senza adattare nulla a quest’interfaccia sociale.

4. Scrivere è una evasione dalla realtà o un modo per raccontare la realtà?
Per me è evasione. E in un mondo fantastico si può raccontare anche qualcosa della realtà. Ma in scenari differenti.
 

5. Quanto di Lei c’è in ciò che ha scritto?
Molto, moltissimo. La mia è raramente una scrittura impersonale. Spesso non faccio che raccontare dei capitoli della mia vita. Con un equipaggiamento di molti strumenti che orna i racconti di fronde e altri motivi. Ma il tema di fondo è sempre un’esperienza di vita. Un ricordo fantasticato. Un viso captato. Una scena osservata.

6. C’è qualcuno che si è rilevato fondamentale per la stesura della sua opera?
Certamente. Specialmente in questo libro tante fiabe o racconti sono dedicate a lei, o pensate per lei. La bambina che incontrai da piccolo, quando avevo tre anni. Del quale ricordo ho riempito tutta la mia vita affettiva, e in grossa parte la mia espressione letteraria.

7. Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
È interessante, affascinante. Ma qualcosa di totalmente diverso dalla lettura. Un’esperienza differente. È diverso andare in nave o in treno ma alla fine la destinazione può essere la stessa.

8. Il suo autore del passato preferito?
Hans Christian Andersen come ho sempre detto. C’è un’affinità profonda e interiore che mi lega a lui. Non mi succede con quasi nessun altro autore di sentire quello che sento leggendo Andersen. Certe volte la vibrazione interiore che provo, la commozione intima radicata in tutto il mio essere mi fa scendere delle lacrime dense di passione, quasi di mistica congiunzione con la sua anima… mi provoca delle sensazioni impossibili da narrare a parole. Ma così intense che spesso mi sento come sospeso in quest’attimo di tempo, senza poter respirare. Mi sento semplicemente congiunto con il suo animo sensibile attraverso una specie di entaglement dello spirito.

9. Che cos’è per Lei scrivere, quali emozioni prova?
Un desiderio intimo di espressione. Provo semplicemente felicità. Gioia. È quello che può essere per un musicista il comporre un brano. È come vedere nel mondo fisico me stesso all’infuori di me stesso. Come clonare un tratto di me.

10. Riassuma in poche parole cosa ha significato per Lei scrivere quest’opera.
In realtà sarebbe una storia a parte per ciascun racconto. L’opera di raccolta dei differenti racconti sfusi è avvenuta dopo. Ho semplicemente selezionato quelli che secondo me erano i migliori tra tutte le fiabe o i racconti che ho scritto e che conservo in delle cartelle nel mio computer. Ogni fiaba comunque è stata una fotografia di un momento, o di una fantasia del mio passato. O alle volte ancora, una pura fantasticheria della mia immaginazione.

11. La scelta del titolo è stata semplice o ha combattuto con se stesso per deciderlo tra varie alternative?
Né semplice né difficile. Ho voluto dare questo titolo dopo una delle esperienze più intense, emotivamente parlando, di questi ultimi anni.
C’è un album del 1997 di Elton John che si chiama The Big Picture. È legato ad un ricordo di un viaggio natalizio per me fra i più significativi della mia vita, un ricordo personale e privato. Ma che traspare da alcuni racconti del libro.
Dopo ancora tanti anni sono riuscito a reperire una traccia, un brano, che Elton compose per The Big Picture ma che restò inedito perché non fu incluso nel taglio finale in fase di produzione dell’album ufficiale. Quindi rimase un’outtake, come tante ne esistono nella discografia di Elton, un’outtake per me sconosciuta fino ad un giorno di Marzo del 2015.
Andai nella mia casa al mare per ascoltarla di notte, di fronte alle onde al chiaro di luna, con accanto il libro di Brian Greene “Icaro Ai Confini Del Tempo”. Tra le pagine di quel magico racconto, mentre ascoltavo quel brano, tenevo la fotografia della “fanciulla affettuosa”, il mio idealizzato affetto d’infanzia, la bambina di cui mi infatuai in quell’estate lontana nel tempo, quando avevo soltanto tre anni. Mi riportò a quel viaggio, del Natale del 1997, mi fece rivivere tutte le immagini, i suoni, i ricordi. Mi commossi in modo infinito.
Il brano si chiama appunto: “Past Imperfect”.
 

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