1. Che cos’è per Lei scrivere, quali emozioni prova?
L'atto dello scrivere è caso e causa di un certo sdoppiamento di sé. In uno studio dal titolo "Lo scriba e il tiranno", scritto per 'Il piccolo Hans' (n.77/estate 1993), la rivista di analisi materialistica di Sergio Finzi, la definisco "transe scrittoria". I Greci antichi l'attribuivano alla possessione da parte di Apollo o delle Muse, i romantici la chiamavano "ispirazione", e i simbolisti, come per esempio Baudelaire, la nominavano "doppio" o "coincidenza", utilizzando tale stato come risorsa poetica.
In genere la critica letteraria si concentra sul testo, e anche quando, arricchita di strumenti freudiani, compie ricognizioni nella biografia dello scrittore, resta essenzialmente analisi testuale, d'intonazione neo retorica. Ma, come notava Elvio Fachinelli nel ‘Bambino dalle uova d'oro’: "nella sforbiciata intervenuta tra opera scritta e scrittura, si taglia fuori un aspetto non indifferente dello scrivere, vale a dire la specifica consistenza dell'atto dello scrivere. Si tratta di un complesso di operazioni, anche tecnico-materiali, che produce, in un movimento continuo, sia il testo socializzato che i suoi scarti e le sue varianti".
Si tratta di un insieme di operazioni scrittorie che "tende ad essere accantonato, dimenticato dallo scrivente, una volta terminata l'operazione di scrittura, per risorgere intatto, autonomo e molto spesso tiranno nella successiva occasione scrittoria".
Basti pensare, in autori talvolta decisivi, alle autodescrizioni di sé in quanto scriventi, spesso ironiche (forse perché l'atto dello scrivere è una "pratica solitaria") o tormentose. L'atto dello scrivere comporta condizioni mentali simili a un sogno lucido. Si tratta di un ambito di ricerca raramente investigato, che secondo me potrebbe rientrare nello studio dei cosiddetti A.S.C. (Stati Modificati di Coscienza).
2. Quanto della sua vita reale è presente in questo libro?
Nel libro c'è un continuo gioco tra vita reale e scrittura. Tra vita e scrittura c'è la stessa differenza tra una battaglia in campo aperto e una partita a scacchi. Occorre prestare attenzione alle parole, oltre che alle emozioni e ai sentimenti. Diciamo che c'è un poco della mia vita reale in Marocco durante il periodo dell'avventura hippie degli anni Sessanta, segnata dalla passione del dionisismo, del dadaismo (poi passato dagli hippies ai punk), del liberismo libertario e libertino, e del fraternismo, cioè del desiderio dissidente di accomunamento in piccole bande di giovani uniti dal codice primordiale dell'amicizia.
3. Riassuma in poche parole cosa ha significato per Lei scrivere quest’opera.
Ha significato obbedire a un impulso scrittorio, entrare per amore nel paese della lingua, ed uscirne con un libro per passare l'elaborazione del mio tempo agli altri, ai miei "venticinque lettori".
4. La scelta del titolo è stata semplice o ha combattuto con se stesso per deciderlo tra varie alternative?
Il titolo iniziale era "Aissa", dal nome del protagonista, poi "Il ragazzo del Marocco", infine mi sono deciso per "Addio a Mogador": un calco di "Addio a Berlino" di Isherwood, o anche di "Addio alle armi" di Hemingway. Un autore è sempre debitore verso quelli che lo hanno preceduto.
5. In un’ipotetica isola deserta, quale libro vorrebbe con sé? O quale scrittore? Perché?
Porterei "Alla ricerca del tempo perduto", l'opera più importante di Marcel Proust, pubblicata in sette volumi. Non sono mai riuscito a leggerli dall'inizio alla fine con tranquillità e con calma, e in un'isola deserta finalmente lo farei.
6. Ebook o cartaceo?
Cartaceo e nella lingua originale, il francese.
7. Quando e perché ha deciso di intraprendere la carriera di scrittore?
Non è una carriera, ma un modo d'essere, come una "vocazione". Fernanda Pivano mi diceva " sei nato apposta per scrivere". E in una recensione per Panorama, Corrado Augias mi definiva "giocoliere della lingua, della parola". Chissà da che dipende questo sentirsi "convocati". Certo, il mio impianto teorico pare piuttosto sofisticato per destreggiarmi a livelli arrivistici, però mi dicono anche che "Addio a Mogador" è di facile e irresistibile lettura, e che fa "vibrare" il lettore. Forse per questo l'Editore lo consiglia a lettori 14+.
8. Come nasce l’idea di questo libro? Ci racconterebbe un aneddoto legato alla scrittura di questo romanzo?
Il romanzo nasce, stilisticamente, come una ripresa e il seguito di "Hotel Oasis", scritto per la collana Mouse to mouse che nel 1988 Pier Vittorio Tondelli dirigeva per la Mondadorona, questa elefantessa editoriale.
9. Cosa si prova a vedere il proprio lavoro prendere corpo e diventare un libro?
Soddisfazione, in un primo tempo, come uscire da un tunnel. Il momento più bello, per uno scrittore, è quanto gli dicono " ti pubblichiamo".
10. Chi è stata la prima persona che ha letto il suo libro?
Un'amica, Carmen Covito, l'autrice di "La bruttina stagionata". Mi disse che ero andato più in profondità che con "Hotel Oasis", peraltro paragonato da Moravia, nel suo "Diario europeo" all' "Immoralista" di André Gide. E mi suggeriva di puntare di più sull' "amore sognato" che non sull'esotismo.
11. Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
Utile per chi ha problemi visivi o motori.