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22 Gen
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Intervista all'autore - Alberto Callioni

1. Ci parli un po' di Lei, della Sua vita. Da dove viene? Come e quando ha deciso di diventare scrittore?
Sono un ragazzo come un altro di Stezzano, un paese in provincia di Bergamo, di diciannove anni che riempie le proprie giornate come può, tra video-lezioni, libri e film. Quando posso, mi ritrovo con gli amici, anche per poco, per condividere momenti di risate. Sono una matricola nel corso di Lettere all'università di Bergamo, con la speranza di diventare un buon professore un giorno. Ci sarebbe molto da dire, ma non voglio annoiare troppo.
Non è stata una vera e propria scelta, non mi sono svegliato un giorno e mi sono detto: "Ora sono scrittore". Sono sempre stato bravo a raccontare storie inventate da me, creare personaggi immaginari e, per fortuna, me la cavavo anche nella scrittura a scuola. Credo di potermi definire scrittore solo ora che sto pubblicando il mio primo e tanto sognato libro.
 
2. Nell’arco della giornata qual è il momento che dedica alla scrittura?
Non smetto mai di pensare alla scrittura e alle mie possibili future opere, agli intrecci e alle descrizioni. Nell'arco di una giornata, nella mia mente vivo ogni secondo come se stessi scrivendo, senza sosta, come fosse un bisogno naturale. Per mettere i miei pensieri nero su bianco, preferisco la sera, priva di impegni e solitaria, o talvolta la notte, in cui sento solo la voce della mia testa.
 
3. Il suo autore contemporaneo preferito?
È un autore che ho scoperto da poco grazie a una professoressa universitaria, Kazuo Ishiguro, autore del mio libro preferito finora, "Non lasciarmi". Non racconterò la trama, ma il suo modo di descrivere le persone e le loro azioni mi ha reso la lettura familiare, come se l'avesse scritto un amico o io stesso, entrando nella mia quotidianità come pochi libri hanno saputo fare. Con questo non voglio dire che mi pongo allo stesso livello di un premio Nobel, tutto il contrario.
 
4. Perché è nata la sua opera?
Grazie ad un compito scolastico, in prima media. La professoressa di italiano, a cui sarò eternamente grato, ci mise a coppie, dicendo di creare un supereroe o supereroina basandoci sul compagno che avevamo di fronte, sul suo carattere e sulle sue passioni. Alla fine, avevamo una ventina di personaggi che ci consentirono di guardare con occhi diversi i nostri amici. La cosa che si era creata grazie a quel progetto mi piacque talmente tanto - e tutt'oggi non so perché - che già allora pensai di doverlo rendere più grande, di dargli una dignità maggiore, e mi confidai con questa professoressa, la quale mi disse: "Perché no? Ci sono stati scrittori giovani che hanno fatto opere magnifiche, potresti essere uno tra questi".
Continuai a rimuginare su questi personaggi e sulle possibili trame fino alla quarta superiore, quando mi decisi, quasi per caso, di iniziare a mettere per iscritto il primo capitolo della prima opera.
 
5. Quanto ha influito nella sua formazione letteraria il contesto sociale nel quale vive o ha vissuto?
Quasi completamente. Il mio stile, non ancora maturo e completo, è frutto del mondo in cui vivo, ricco di routine e di una sua evasione. Le persone che ho incontrato e che conosco sono le persone a cui mi ispiro per i miei personaggi, perché devono essere il più possibile aderenti alla realtà, familiari, qualcuno in cui identificarsi.
 
6. Scrivere è una evasione dalla realtà o un modo per raccontare la realtà?
Entrambi. A volte mi rifugio nelle mie fantasie perché il mio presente non mi soddisfa. Aiuta, ma è anche pericoloso, perché rischio di dimenticare che nulla è facile nella vita, e proprio per questo scrivo, per dimostrare a me stesso che posso farcela. Nonostante un libro possa essere fantasioso, racconterà sempre, anche solo nel dettaglio, del mondo in cui viviamo e di esperienze che abbiamo vissuto o che vorremmo vivere.
 
7. Quanto di lei c’è in ciò che ha scritto?
Praticamente ogni cosa, ogni singolo personaggio è una parte di me. Il momento a cui faccio riferimento per scrivere sono gli anni delle medie e gli ultimi della scuola superiore, ricchi di bellissime esperienze grazie alle persone che l'hanno vissuti con me. Sono stato protagonista di una storia che ho adorato e che ha lasciato solo fantastici ricordi, e cerco di metterlo nelle mie opere il più possibile.
 
8. C’è qualcuno che si è rivelato fondamentale per la stesura della sua opera?
Tantissime persone. I miei compagni di allora, i miei insegnanti, la mia famiglia, i miei amici. In particolare, una cara amica che lesse per prima la mia opera intera. Non ho mai voluto sventolare in faccia a nessuno il fatto che stessi scrivendo un libro, ma lei lo scoprì e allora si interessò molto. La aggiornavo sempre dei mie dubbi e lei occasionalmente mi consigliava nel modo giusto su qualsiasi incertezza. L'opera come è adesso è anche grazie a lei.
 
9. A chi ha fatto leggere per primo il romanzo?
Oltre a questa mia amica, solo poche altre persone vennero a conoscenza del mio libro. Un altro caro amico fu il mio primo critico, dal momento che mi elencò alcuni problemi e perplessità nel romanzo, il che mi aiutò sia a correggere l'opera sia a sopportare le prime critiche, costruttive o meno.
 
10. Secondo lei il futuro della scrittura è l’ebook?
Può darsi. Non si sa mai cosa accade domani, possiamo provare a prevederlo ma con poca sicurezza. Io ne faccio un uso limitato, poiché preferisco sentire il libro nelle mie mani, ma lo spazio sulla mensola finisce sempre e bisogna cercare una soluzione.
 
11. Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
Non ho mai ascoltato un audiolibro, ma molte persone ne parlano bene e mi fido di queste impressioni. Sicuramente vorrei farne parte in un modo o in un altro. Il fatto che si possa sentire altri raccontare una storia e dargli magari espressioni diverse da quelle che darei io, mi incuriosisce e apre nuovi mondi di possibilità.

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