1. Ci parli di Lei. Da dove viene? Quando ha cominciato a scrivere?
Ho un passato di Dirigente di azienda, in particolare quale Responsabile delle Risorse umane.
Ho lavorato in varie Aziende industriali e di servizi.
Ho cominciato a scrivere da molto tempo sentendo il bisogno di affiancare all’attività lavorativa l’approfondimento del diritto del lavoro.
2. Quale è lo scopo dell’attività di saggista?
Ritengo che l’attività di saggista sia molto utile e valga a capire meglio i bisogni delle persone che lavorano alle dipendenze dell’imprenditore. Vedo il mio lavoro come una mediazione tra i bisogni dell’impresa e i bisogni dei lavoratori.
3. Perché ha ritenuto di scrivere un libro sull’argomento del danno non patrimoniale?
Perché per me rappresenta un progresso di civiltà.
Fino agli anni ’80 il danno subito dal soggetto che veniva menomato nella sua persona, veniva risarcito solo in termini di danno patrimoniale. Non venivano presi in considerazione i danni che il sinistro o l’infortunio causavano alla via a-reddituale del soggetto. Chi ad esempio, perdeva un braccio non poteva più lavorare, e ciò era molto importante, ma non poteva nemmeno svolgere tante altre attività della vita di relazione come giocare a tennis, leggere un libro in maniera agevole, addirittura abbracciare i figli e la moglie.
4.Quale è stata l’occasione per scrivere il libro.
Pensi! Proprio l’epidemia. I tanti parenti (figli, coniugi) che hanno perduto purtroppo i congiunti a causa dell’epidemia non avrebbero avuto il ristoro del c.d. danno parentale o da perdita del congiunto (che rientra appunto nel danno non patrimoniale).
5. Ma qual è il punto più critico del Suo saggio?
Senz’altro il mancato ristoro del c.d. danno tanatologico, ossia, per rendere più comprensibile il termine usato, il mancato ristoro del danno da perdita della vita, bene diverso dal bene “salute”. In altri e più semplici termini, quando una persona muore a seguito di un sinistro o un infortunio o un errore medico, senza che passi un apprezzabile lasso di tempo tra l’evento (sinistro, infortunio, errore chirurgico) e il decesso non si fa luogo ad alcun risarcimento. In questo caso “la vita non vale nulla”.
Tale interpretazione giurisprudenziale è risalente nel tempo, si pensi che risale agli anni ’25 del secolo scorso, quasi 100 anni fa, e perdura tutt’ora. Alla base di questa visione fatta propria dalla Suprema Corte v’era l’argomento “epicureo” così detto in quanto riecheggia le affermazioni di Epicuro contenute nella Lettera sulla felicità a Meneceo (“Quindi il più temibile dei mali ,la morte, non è nulla per noi, perché quando ci siamo noi non c’è la morte, quando c’è la morte non ci siamo noi. La morte quindi è nulla per i vivi come per i morti: perché per i vivi essa non c’è ancora, mentre per quanto riguarda i morti sono essi stessi a non esserci”).
Quindi niente risarcimento del valore della vita in sé per la vittima, che non c’è più, niente del valore della vita in sé (negato) per gli eredi del defunto.
Si è cercato di attenuare questa anomalia, introducendo la figura del danno c.d. terminale o catastrofale, che però pare ad alcuni una mera finzione giuridica.
Giudici più illuminati si battono contro questo paradosso, ma a tutt’oggi senza risultato.
6. Secondo lei il futuro della scrittura è l’e-book
Personalmente preferisco il libro cartaceo. Tuttavia penso che la tecnologia ci ha messo a disposizione un altro strumento per la diffusione della cultura.
7. Che cosa pensa della nuova frontiera dell’audiolibro?
La ritengo molto utile in quanto l’ascolto della narrazione ti fa gustare ancora di più il contenuto del libro.