1. Ci parli un po' di Lei, della Sua vita. Da dove viene? Come e quando ha deciso di diventare scrittore?
Sono nato a Pescara 51 anni fa ed è qui che vivo. Le mie sono state un'infanzia e un'adolescenza piuttosto comuni. Mi sono laureato in Giurisprudenza nel 1993 e sono entrato a lavorare in banca, dove sono rimasto per circa 26 anni. Purtroppo, molto recentemente ho perso il lavoro e adesso... sono aperto a quello che la Vita vorrà offrirmi.
Sono separato da mia moglie dal 2015 e sono padre di tre meravigliosi maschietti di 12, 10 e 5 anni.
Quello di scrivere è un pensiero che ho sempre avuto. A scuola ero piuttosto bravo in italiano. Ricordo che il giorno prima di un compito in classe, mentre gli altri studiavano, per me era un pomeriggio libero perché l'indomani avrei improvvisato e, di solito, mi riusciva bene. Proprio alle scuole superiori scrissi un breve racconto ispirato al film "La vita è meravigliosa" di Frank Capra. Si tratta di una bellissima pellicola del 1946 di genere drammatico/fantastico che mi colpì molto. Sono stato sempre molto affascinato dall'elemento fantastico in ogni tipo di narrazione o film, come ad esempio: Il paradiso può attendere, Il sesto senso e molti altri. E, non a caso, l'elemento fantastico si ritrova anche nel mio romanzo, oltre che - ancora più forte - nel primo che ho scritto (non ancora pubblicato) dal titolo "Al confine".
2. Nell’arco della giornata qual è il momento che dedica alla scrittura?
Mi piace molto scrivere nel silenzio delle prime ore del mattino, spesso dalle 5 alle 8 - 9. Però anche la sera dopo cena è un buon momento.
3. Il suo autore contemporaneo preferito?
Voglio premettere che la mia non è stata una formazione letteraria classica, avendo frequentato un istituto per ragionieri, quindi devo ammettere di avere delle lacune nella lettura dei grandi classici della letteratura.
Tra i contemporanei viventi scelgo Ken Follett, al quale vorrei aggiungere Khaled Hosseini e Patrick McGrath.
4. Perché è nata la sua opera?
Gli elementi che caratterizzano il libro sono: i raccapriccianti fatti di cronaca dei quali siamo testimoni con una frequenza spaventosa, che riflettono la condizione di follia collettiva dell'umanità; la difficoltà che tutti abbiamo ad accettare la malattia, la disabilità e la diversità quando ci piombano in casa; i sentimenti di mancanza, vuoto interiore, solitudine affettiva e perdono.
Il libro che ho scritto ha voluto, sotto forma di romanzo noir, mettere insieme quegli elementi, senza trascurare - come ho detto prima - una nota di fantastico che a me piace sempre molto introdurre.
5. Quanto ha influito nella sua formazione letteraria il contesto sociale nel quale vive o ha vissuto?
Vuoi o non vuoi, il proprio contesto sociale ha sempre un peso. Ci sono sempre influenze di tipo familiare, psicologico, esperienziale, scolastico e religioso, però non saprei quantificarle, né dettagliarle.
6. Scrivere è una evasione dalla realtà o un modo per raccontare la realtà?
Credo che possa essere entrambe le cose, almeno per me. Come dicevo prima, ne “Il segreto del salice piangente” prendo spunto dalla realtà, dai fatti di cronaca, dalle emozioni che tutti viviamo quotidianamente, per poi evadere da quella realtà attraverso l'espediente narrativo dell'elemento fantastico, di qualcosa cioè che non appartiene al mondo reale così come lo percepiamo con i sensi comuni.
7. Quanto di lei c’è in ciò che ha scritto?
Sicuramente c'è molto. Credo che più o meno coscientemente, in ogni libro ci sia qualcosa di chi lo ha scritto.
La difficoltà nell'accettazione delle malattie genetiche mi appartiene, almeno sotto forma di paura, dato che non ho vissuto direttamente questa esperienza. Nel libro si parla di un rapporto padre-figlio assolutamente carente. Il rapporto con mio padre non è stato come quello narrato, ma sotto l'aspetto emotivo, dell'intimità, del calore affettivo, è stato certamente un rapporto a cui è mancato qualcosa. Il desiderio di perdonare e la difficoltà nel farlo, mi appartiene sicuramente. Non ultimo, il senso di incompletezza, di vuoto che hanno caratterizzato la mia pre-adolescenza e adolescenza.
8. C’è qualcuno che si è rilevato fondamentale per la stesura della sua opera?
No, nessuno in particolare.
9. A chi ha fatto leggere per primo il romanzo?
Per i primi riscontri mi rivolgo sempre alle mie sorelle Federica e Barbara che sono delle assidue lettrici, ma temo che qualche volta non siano completamente obiettive con me e tendano ad adularmi troppo.
Un'altra persona di riferimento è il mio grandissimo amico Luca, compagno di scuola, di università, confidente e legale di fiducia.
10. Secondo lei il futuro della scrittura è l’ebook?
Qui si apre un bel dibattito. Non lo so, siamo invasi di tecnologia e lo saremo sempre di più. L'ebook è pratico, economico, ha tanti vantaggi, per primo quello dell'impatto ambientale pari a zero.
Però, prendere e riporre un volume da uno scaffale, sfogliarne le pagine, mettervi in mezzo un segnalibro o una matita con la quale si sono appena presi appunti su ciò che si è letto....non c'è paragone, né mai ci sarà. Senza considerare la bellezza di una libreria ricolma di volumi, intendo proprio sotto l'aspetto dell'arredamento di una casa.
11. Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
Beh, è un po' come per l'ebook. Personalmente lo ritengo uno strumento valido solo in caso di oggettiva difficoltà o impossibilità nella lettura.
Io non riuscirei a seguire o a emozionarmi per la narrazione fatta da una voce esterna, per quanto abile e coinvolgente. Sarà perché mi piace annotare cose o sottolineare parole nuove o semplicemente leggere più volte un periodo che mi colpisce o che non afferro alla prima lettura.
Non so, al momento mi sembra uno strumento limitato e limitante. Ma posso sbagliare.