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BookSprint Edizioni Blog

08 Gen
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Intervista all'autore - Guido Lopardo

1. Che cos’è per Lei scrivere, quali emozioni prova?
Provare a dare forma a una sensazione: questo è per me l’atto della scrittura. In un certo senso, scrivere è come intuire una forma all’interno di un blocco di argilla e provare – attraverso le parole – a tirarla fuori e a darle espressione compiuta. Quando ciò accade, provo un profondo senso di libertà e di leggerezza – una leggerezza legata al placarsi dell’inquietudine, che si incanala attraverso le parole sulla carta.


 

2. Quanto della sua vita reale è presente in questo libro?
Il cento per cento. La prima poesia – che non corrisponde alla prima della raccolta – l’ho pensata nel 1988. E poi sono seguite le altre, negli anni successivi e in corrispondenza dei diversi episodi, cambiamenti, intuizioni e rivelazioni della mia vita,
ma le ho conservate tutte nella mente fino a che, qualche mese fa, ho deciso di scriverle. Il risultato è questa raccolta di poesie, divisa in tre parti – tre finestre di uno stesso edificio. L’edificio è la mia vita reale e ogni poesia racconta di un’esperienza vissuta in prima persona oppure incontrata, notata, rilevata, avvertita vivendo.

 

3. Riassuma in poche parole cosa ha significato per Lei scrivere quest’opera.
È stata la risposta a un richiamo. Non potevo più rimandare, dato che – in forma embrionale – le poesie erano già tutte nella mia testa e i pensieri erano lì, stagliati nell’orizzonte di fronte a me. E a quel punto non ho fatto altro che raccogliere le parole come frutti maturi e distendere i versi sul foglio di carta.


 

4. La scelta del titolo è stata semplice o ha combattuto con se stesso per deciderlo tra varie alternative?
Non ho avuto dubbi nella scelta del titolo. È il concetto più forte di tutta la raccolta, e il più intimo. Ed è anche il concetto più difficile da spiegare, forse proprio perché non va spiegato più di tanto. Il messaggio passa se c’è corrispondenza. La “corazza di Ettore” è una difesa che respira, e non uno schermo che isola. È un ausilio che permette di affrontare la realtà quotidiana – piccola, grande, imprevista, decisiva. È un’arma in più, la consapevolezza di se stessi.


 

5. In un’ipotetica isola deserta, quale libro vorrebbe con sé? O quale scrittore? Perché?
Con me vorrei avere le poesie di Quasimodo. E una in particolare, “Alle fronde dei salici”, la poesia che avrei voluto scrivere.


 

6. Ebook o cartaceo?
L’odore della carta è sempre l’odore della carta. Non voglio togliere nulla all’ebook – del resto la mia raccolta di poesie è disponibile anche in questo formato. Tuttavia, io non potrei rinunciare al piacere di annusare la carta.


 

7. Quando e perché ha deciso di intraprendere la carriera di scrittore?
Non ho né deciso né intrapreso la carriera di scrittore. E non voglio nemmeno considerare questa esperienza come l’inizio di una carriera. Si tratta, appunto, di un’esperienza, concepita e realizzata. L’augurio è che questa mia prima raccolta di poesie riesca a camminare con le proprie gambe.


 

8. Come nasce l’idea di questo libro? Ci racconterebbe un aneddoto legato alla scrittura di questo romanzo?
L’aneddoto c’è ed è legato alla scintilla che mi ha fatto dire: “E se provassi a raccogliere le mie poesie?”. È accaduto pochi giorni dopo avere scritto “La generazione di mio padre”. Stavo conversando con alcuni amici e la persona che è poi diventata la mia compagna si è rivolta improvvisamente a me, accusando la mia generazione (quella del ‘67) di avere causato – per disinteresse e scarso impegno politico – i mali ereditati dalla sua generazione. Il gesto risoluto di quel dito puntato verso di me e quelle parole ferme mi hanno colpito, soprattutto perché perfettamente allineati con le critiche che io stesso avevo rivolto alla generazione precedente alla mia. Questa coincidenza mi ha fatto capire che c’era un riscontro, che quel tema da me sentito non solo era condiviso, ma continuava a essere attuale. E ciò mi ha incoraggiato non solo ad andare avanti e a continuare a dare forma concreta alle mie poesie, ma anche a creare una raccolta.


 

9. Cosa si prova a vedere il proprio lavoro prendere corpo e diventare un libro?
La sensazione è simile – ma con le dovute proporzioni – a quella del naufrago che tocca terra e, come primo gesto, si volta indietro a guardare il mare appena affrontato per sentir fluire la soddisfazione dell’impresa. In qualche modo, chi scrive intraprende un percorso nel quale i pensieri anomali e impetuosi scorrono, e lo sforzo è quello di cavalcarli, dominarli e comprenderne il senso. E quando, alla fine dell’impresa, i pensieri si sono in parte acquietati e le gesta compiute si raccolgono in un libro, oltre alla soddisfazione c’è anche una grande voglia di condividere. Perché ogni verso è espressione di un pensiero che è nato vivendo la vita e quindi le mie poesie appartengono a tutti e parlano di tutti, anche di coloro che non vi si vogliono riconoscere.


 

10. Chi è stata la prima persona che ha letto il suo libro?
La mia compagna, che ha vissuto con me tutta la genesi del libro (con i suoi inevitabili tormenti).


 

11. Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
Personalmente, apprezzo l’audiolibro perché lo considero uno strumento dal grande potenziale. Sicuramente, permette a chi ha difficoltà fisiche o a chi è più indolente di avvicinarsi con più facilità alla fruizione di opere di indubbio valore. Inoltre, l’audiolibro offre una forma di lettura capace di aggregare e di creare momenti di socializzazione

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Martedì, 09 Gennaio 2018 | di @BookSprint Edizioni

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