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27 Apr
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Intervista all'autore - Vanni Asperti

1. Ci parli un po' di Lei, della Sua vita. Da dove viene? Come e quando ha deciso di diventare scrittore?

Una vita intensa fino a 24 anni - descritta in parte nel romanzo - proseguita in modo diverso ma altrettanto intensamente fino a oggi. Sono un creativo e vengo da quella meravigliosa indescrivibile aura che porta a forgiare a plasmare e a fare sorgere cose dalla materia con l'ausilio delle sole mani. In ospedale per un incidente, privato della possibilità di lavorare, accanto al dolore vero delle persone, ho avvertito la necessità di dare luce a persone e fatti che hanno segnato la mia vita, tenendo conto che questa sta volgendo verso la fine.



2. Nell’arco della giornata qual è il momento che dedica alla scrittura?

Scrivo appena il lavoro me lo consente. Soprattutto la sera. Negli anni (i miei) '40-'50 scrivevo di notte, a lungo. Prima ancora scrivevo di giorno, in biblioteca, in chiesa e ovunque mi capitasse. Oggi, a ottantacinque, quando appoggio sul banco l'opera a cui sto lavorando e dico "basta per adesso".



3. Il suo autore contemporaneo preferito?

Mi piacciono in modo particolare Paolo Giordano e Andrea Vitali.



4. Perché è nata la sua opera?

Nel cassetto, insieme a molte poesie, avevo tre romanzi inediti. Il primo di questi "Gli angeli spaccapietre" alla fine degli anni '50 lo lesse Elio Vittorini. Restituendomelo disse "lavoraci, fallo diventare PIU'" Credo che "Un ragazzo di nome Gio'" sia nato per ricordare, spiegare e riflettere su scenari oggi incredibili ma che sono stati, che erano gli scenari del nostro mondo di allora. Se sono riuscito per quel PIU'... non so.



5. Quanto ha influito nella sua formazione letteraria il contesto sociale nel quale vive o ha vissuto?

Ha influito moltissimo. Ho vissuto un pezzo del ventennio fascista, alcune guerre, le discriminazioni razziali, le atomiche, l'abbattimento di tanti tabù, le conquiste spaziali e tecnologiche. Ho potuto e dovuto gioire, soffrire, inorridire. Tutto questo era inevitabile che formasse l'humus per parole, idee e pensieri.



6. Scrivere è una evasione dalla realtà o un modo per raccontare la realtà?

Per la mia natura, per come vivo e per come creo le mie opere piccole o importanti che siano, scrivere è raccontare la realtà mentre fare poesia mi permette di evaderla.



7. Quanto di lei c’è in ciò che ha scritto?

In questo romanzo di me ci sono i quattro quinti di partecipazione reale, viva e sofferta. Un quinto è preso "in prestito". Per questo quinto c'era però nella realtà una situazione analoga che si prestava ad essere sovrapposta e/o inserita.



8. C’è qualcuno che si è rilevato fondamentale per la stesura della sua opera?

Per dare vita alla copiatura del libro, sì. Betti alla quale ho dedicato il romanzo. Per dare l'imput al cervello e al cuore, quindi alla penna, altrettanto sì, sempre lei in una occasione speciale: il suo compleanno mentre ero in ospedale e attendevo la sua visita. Quello il momento, quella la persona.



9. A chi ha fatto leggere per primo il romanzo?

A Betti. Ad oggi nessun altro conosce il contenuto.



10. Secondo lei il futuro della scrittura è l’e-book?

Probabilmente sì. Permettetemi un "purtroppo".



11. Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?

Senz'altro una cosa valida ma solo per certe situazioni. 

 

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