2. Quanto della sua vita reale è presente in questo libro?
Questo libro è la mia vita, nel senso che in esso vengono riportati esattamente i fatti come si sono svolti nell'arco di due anni, senza nulla aggiungere e senza nulla cancellare. Una sorta di mini autobiografia limitata al periodo in cui frequentai con soddisfacenti risultati il primo biennio del corso di laurea in Giurisprudenza.
3. Riassuma in poche parole cosa ha significato per Lei scrivere quest’opera.
Senza girarci troppo intorno ho semplicemente rivissuto quelli che considero i due anni più belli della mia vita. Avevamo tutto: la bellezza - soprattutto lei - e poi l'intelligenza, una esagerata voglia di vivere, la semplicità, l'incoscienza e la spavalderia di due ragazzi di vent'anni...e tutto questo andava a bilanciare le incertezze e le paure proprie di quell'età che non sempre fummo in grado di mascherare. E il tutto, si noti bene, con pochi soldi in tasca, una vecchia R4 e nessun sogno. Esisteva solo il presente, ed il presente eravamo noi.
4. La scelta del titolo è stata semplice o ha combattuto con se stesso per deciderlo tra varie alternative?
Sarà banale, ma il titolo è stata l'ultima cosa a cui ho pensato ed è stato molto facile trovare quello giusto. Scartato il quasi scontato "Peyton ed Andy" ho puntato deciso su "777", che non è altro che il numero dei giorni trascorsi insieme dai due protagonisti. Una pura combinazione: avrebbe potuto essere 36 oppure 247...
5. In un’ipotetica isola deserta, quale libro vorrebbe con sé? O quale scrittore? Perché?
Se mi fosse consentito esagerare ripopolerei l'isola e vorrei naufragare in compagnia di F. S. Fitzgerald e di P. Cornwell, l'inizio e la fine del XX secolo. Fitzgerald per la grande capacità di affrontare i temi della giovinezza, della disperazione e del disagio di una generazione. Per molti aspetti i protagonisti di "777 giorni" si avvicinano parecchio a quelli di "Beautiful and Damned" in cui anche Fitzgerald affronta il tema della dissoluzione morale e psicologica di una giovane coppia nell'America degli anni venti. Patricia Cornwell mi affascina, al di là della sua vita privata, per l'eccezionale "pulizia" della sua prosa: non una parola più del necessario, la maniacale ricerca dell'aggettivo giusto, le frasi semplici e dirette, il ritmo che sa dare a quello che scrive. Un modello.
6. E-book o cartaceo?
Per sempre cartaceo: non ho assolutamente dubbi. Mi piacciono l'odore della carta nuova, pulita, immacolata e quello dell'inchiostro che si fonde con essa. Anche quando scrivo lo faccio rigorosamente con carta e penna: non concepisco la scrittura fredda, impersonale e sempre tutta uguale e precisa che si ottiene usando un PC dove tutto risulta perfetto, allineato, giusto. A me piace anche vedere le correzioni, le cancellature, le righe, le freccette, gli asterischi. Questo fa sì che i miei scritti, pur con tutti i limiti che possono presentare, sono comunque vivi e dagli stessi si nota la partecipazione anche emotiva al lavoro.
7. Quando e perché ha deciso di intraprendere la carriera di scrittore?
Non posso dire che ci sia stato un momento preciso in cui è scoccata la scintilla, non fosse altro per il fatto che a scuola mi limitavo al compitino di due paginette e via... Forse ho messo assieme abbastanza esperienza e mi è stato relativamente facile provare a metterla a disposizione degli altri, fermo restando che non vorrei essere preso ad esempio ed emulato. Vorrei solo che qualcuno non ripetesse i miei errori.
8. Come nasce l’idea di questo libro? Ci racconterebbe un aneddoto legato alla scrittura di questo romanzo?
A dire la "verità vera" non avevo nessuna intenzione di scrivere un libro. Senza motivo, forse perché non avevo nulla da fare, cominciai a descrivere quanto mi ricordavo dell'Università di Pavia col proposito di andare poi a verificare la precisione di quanto stavo annotando... una mezza dozzina di paginette. Niente di eccezionale. Riordinando la "cantina" saltò fuori uno scatolone pieno di libri e senza volerlo mi misi alla ricerca del Codice Civile: lo trovai quasi subito e constatai che era proprio il mio. Sfogliai alcune pagine e come ricordavo trovai scritte sui margini, come glosse, le annotazioni che in ordine casuale e non cronologico erano state scritte da due ragazzi e che rispecchiavano le loro emozioni, sensazioni, desideri, gioie, paure mie e della ragazza della quale mi ero innamorato. Sulla traccia zoppicante dei nostri pensieri abbozzai la trama di "777 giorni". Il resto è il presente.
9. Cosa si prova a vedere il proprio lavoro prendere corpo e diventare un libro?
Non lo so. Per ora ho scritto pagine e pagine... ma non sono ancora riuscito ad assimilare e a metabolizzare quello che mi sta succedendo adesso. Ho una squadra che sta facendo tutto il lavoro al posto mio, persone preparate, ma soprattutto gentili e pazienti con me che sono proprio alla mia primissima esperienza. Mi interpellano in continuazione, chiedono e propongono, ma io sono di scarso aiuto: ma loro vanno avanti tenaci, forse anche più convinti di me. No forse, più convinti di me. Sono sempre stato dell'idea che la vittoria si gusti dopo, finita la sfida e credo che solo allora riuscirò a rendermi conto di quello che ho, cioè che abbiamo fatto.
10. Chi è stata la prima persona che ha letto il suo libro?
Alcune settimane dopo l'inizio della stesura di quello che avrebbe dovuto essere un racconto breve, mi accorsi di avere abbastanza materiale ed idee da ricavarne un romanzo. Per avere un parere non di parte diedi una decina di capitoli ad un collega di lavoro di mia moglie e una copia un po' più corposa finì invece alla nostra "vicina di ombrellone" sulle spiagge di Arma di Taggia. Commenti entusiasti e richieste insistite sullo sviluppo della storia d'amore tra i due giovani studenti universitari e soprattutto sulla conclusione del lavoro. Il lavoro nella sua interezza non lo ha ancora letto nessuno…
11. Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
Come tutte le innovazioni è stata sicuramente messa a punto per essere sfruttata in modo che tutti, poco o tanto, ne possano trarre giovamento e se penso agli ipovedenti o ai non vedenti e alle oggettive difficoltà di rendere fruibili loro molte opere non posso che essere contento. Ma per gli altri il rischio che si limitino solo "a sentire" il libro è tutt'altro che remoto col serio pericolo che il testo non venga capito e così il messaggio che l'autore intendeva mandare cadrà nel vuoto. Anche ascoltando una canzone spesso non si fa caso al testo e per associazione ecco il motivo dei miei dubbi. Il tutto tenendo presente le obiettive difficoltà che hanno molti studenti anche delle superiori nel leggere le parole: stanno disimparando a leggere sempre ammesso che una volta siano stati capaci di farlo...