Che cos’è per Lei scrivere, quali emozioni prova?
Scrivere significa trasmettere in un tratto di penna un qualcosa che viene da dentro, sia essa una conoscenza, un sentimento, un ricordo o una riflessione.
E tutto ciò, quando avviene, suscita un senso di compimento che poche altre attività sono in grado di comparare: quando scrivo sento di stare costruendo qualcosa in contatto diretto con la mia interiorità, pronta a entrare in comunicazione con l'interiorità di qualcun altro, instaurando un dialogo. Se l'essere umano è un animale sociale, insomma, la scrittura è un sofisticatissimo strumento di socialità e di comunicazione, in grado di appagare il nostro bisogno di comunicare con il prossimo (oltre che con sé stessi). Nel caso della mia opera, l'intento comunicativo è particolarmente eloquente, ma come ho detto in precedenza, penso che valga lo stesso per qualunque genere di scritto.
Quanto della sua vita reale è presente in questo libro?
A prima vista non sembrerebbe, vista la genericità dei personaggi e delle scene rappresentate. Nei fatti, tuttavia, si parla di una riflessione filosofica che si origina sulla base della vita reale. L'analisi esistenziale fa parte di me più o meno da sempre (anche quand'ero molto piccolo), e, con la scoperta di una corrente filosofica come quella dello stoicismo (ma non solo), ha assunto delle forme paragonabili a quelle visibili nell'opera. Non manca mai il dialogo interiore, inclusa ovviamente la molteplicità delle anime che operano dietro le quinte e costruiscono i dilemmi oggetto di dibattito.
Il percorso messo in luce dal testo, ovvero la ricerca dell'equilibrio che permetterebbe di affrontare l'esistenza a un livello superiore, mi vede attualmente come protagonista. Non sono di certo già arrivato alla "fine", ammesso che ci sia, ma opero quotidianamente in una via votata al miglioramento, fiero dei progressi fatti finora e motivato a raggiungere mete ancora più alte. Raggiungere un equilibrio interiore, è bene ribadirlo, non è per niente facile, ma, a livello personale, penso sia la sfida più nobile che si possa intraprendere.
Riassuma in poche parole cosa ha significato per Lei scrivere quest’opera.
Un grandissimo orgoglio. Non succede a tutti di cominciare a scrivere così giovani, e di conseguenza è certamente una tappa importante nel corso della mia vita, che rimarrà impressa nella biografia qualunque cosa accadrà dopo.
La scelta del titolo è stata semplice o ha combattuto con sé stesso per deciderlo tra varie alternative?
Ho combattuto parecchio, in quanto era un'opera che nasceva originariamente senza titolo. Inizialmente, dato che dovevo inviare il mio testo alla casa editrice, avevo selezionato il titolo provvisorio "Decursus menti", costruzione squisitamente latina dal significato "percorso della mente". Molto descrittivo, sicuramente, ma poco calzante, per non dire brutto.
Essendo il titolo molto importante, in quanto primo assaggio del libro che ne seguirà, nelle fasi più avanzate della pubblicazione ho pensato che avrei assolutamente dovuto trovarne uno più consono, pertinente al contenuto ma soprattutto d'effetto. Da qui, dopo una ricerca approfondita, la scelta di Kairos, termine greco antico che indica una forma temporale diversa rispetto al "kronos" (ovvero il normale tempo cronologico, quello che ordina gli avvenimenti in maniera meramente consequenziale): esso indica un tempo traducibile come cairologico, ovvero una sorta di istante supremo, un momento in cui prendere le decisioni importanti, destinate a imprimere un segno nel proprio percorso. E, per quanto non descriva l'oggetto con la puntualità di "percorso della mente", di certo si collega in maniera importante, rappresentando l'attimo in cui si decide di intraprendere la riflessione sul proprio essere, volta al miglioramento.
In un’ipotetica isola deserta, quale libro vorrebbe con sé? O quale scrittore? Perché?
Se dovessi davvero andare in un'isola deserta, a dire la verità, mi prenderei un libro di sopravvivenza, che non si sa mai. Ma facendo finta di avere uno spazio in più, mi porterei la Commedia di Dante. Non è breve, quindi mi può durare un pochino, non stanca mai, ed è piena di immaginazione, dunque perfetta in un posto abbandonato alla tranquillità.
Scelta completamente diversa per lo scrittore, dove sceglierei il contemporaneo Alessandro Barbero. Noto più nelle vesti di storico e di divulgatore, è a tutti gli effetti anche scrittore, sia di saggi che di romanzi, alcuni dei quali ho letto (la saggistica storica è un genere che prediligo). E il motivo per cui sceglierei proprio lui è semplice: ha una cultura estremamente vasta, che spazia dalla storia alla letteratura, oltre a un modo di raccontare assolutamente appassionante, di conseguenza, sarebbe la persona migliore per non annoiarsi mai.
Ebook o cartaceo?
Chiamatemi nostalgico o tradizionalista, ma ritengo "l'odore della carta" sempre e comunque preferibile. Inoltre, riempire la libreria di casa ha anche, a mio avviso, un forte valore simbolico, che mostra la bellezza del sapere e stuzzica ulteriormente la curiosità di incrementarlo. Ciononostante, il digitale rappresenta certamente una nuova frontiera avveniristica a cui molti attribuiscono elevata comodità: ben venga se lo si sceglie, purché si scelga di leggere.
Quando e perché ha deciso di intraprendere la carriera di scrittore?
Domanda alquanto ardita se rivolta a un ragazzo di 19 anni, ancora studente del liceo. Non si può per nulla parlare di una vera e propria carriera in questo momento, e se volessimo personalizzare un tantino la domanda, gettando quindi lo sguardo sul futuro, devo ammettere che non ho mai pensato di fare lo scrittore come unica occupazione. Ad oggi, non faccio lo scrittore e mi è venuto fuori un libro, un domani, anche se non farò lo scrittore, potranno venirne fuori altri. Del resto, non sono in pochi ad essere ricordati negli annali per altre faccende, ma avendo varie pubblicazioni nel proprio curriculum.
Personalmente, è altamente improbabile che farò lo scrittore di professione, tuttavia, come detto sopra, ciò non esclude ulteriori opere in futuro. In ogni caso, non azzarderei alcuna previsione. Ne riparleremo, insomma, tra qualche decennio.
Come nasce l’idea di questo libro? Ci racconterebbe un aneddoto legato alla scrittura di questo romanzo?
La prima parte di questa domanda ricalca un tema di cui si è già parzialmente discusso in precedenza, e pertanto non mi dilungherò: il libro nasce dall'intento di comunicare una riflessione filosofica basata sullo stoicismo, per promuovere la riflessione sull'esistenza a più ampio raggio.
Quanto alla seconda parte del quesito, molto curiosa, ammetto di non avere un vero e proprio aneddoto in grado di suscitare ilarità, come di solito accade in questi casi. Dovendo cavarmela in qualche modo, racconto questo: avendo scritto inizialmente a mano, penna su carta, la prima cosa da fare per arrivare alla pubblicazione era la trascrizione del testo completo in formato digitale. Dato che trascrivere tutto mi avrebbe impiegato già tanto tempo, a un certo punto decisi di ingegnarmi. Utilizzando l'ingresso vocale di Google traduttore (dato che ogni altra forma di trascrizione a partire da un audio, da quel poco che ho visto, è a pagamento), recitavo a voce una grossa fetta di testo, che poi avrei usato come base per costruire la trascrizione vera e propria. Essendo tutto da rielaborare, ovviamente, non risolveva completamente la faccenda, ma mi aiutò molto a velocizzare i tempi. L'unica cosa potenzialmente divertente è il fatto che, mentre svolgevo tale operazione, dovevo cambiare i nomi dei miei due protagonisti, i quali, in quanto non afferenti alla terminologia italiana, risultavano costantemente trascritti molto male, spesso con due parole staccate. Di conseguenza, li sostituivo in dettatura con nomi comuni della lingua italiana, per poi poter comodamente sostituirli in tronco con le funzioni del documento digitale.
Non so dire se sia veramente interessante, ma è l'unico che mi sovviene.
Cosa si prova a vedere il proprio lavoro prendere corpo e diventare un libro?
Soddisfazione enorme, difficile aggiungere altro. La sensazione è comune a tutte le volte in cui si comincia un qualcosa da zero, costruendola nel tempo e arrivando a un risultato compiuto. Ancora più speciale quando, nel caso specifico, il tutto avviene per la prima volta.
Chi è stata la prima persona che ha letto il suo libro?
Mia madre, che ovviamente figura anche tra i dedicatari. Essendo lei ad avermi insegnato a pensare sia a livello critico che a livello filosofico, doveva essere per forza di cose il primo "controllo" da superare per assicurarmi di stare scrivendo qualcosa di rilevante. E lo ha praticamente letto in corso d'opera, mentre ancora non era terminato.
Seppure non avrei vincolato al giudizio altrui una scelta che avevo già fatto, avere la sua approvazione mi ha dato ulteriore motivazione nel proseguire la scrittura dell'opera. Aldilà del rapporto materno, quando un'insegnante di filosofia apprezza un testo di carattere filosofico, è certamente un buon segno.
Ora vengono tutti gli altri, e sono fiducioso che possa piacere anche a loro.
Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
Nuova frontiera anche questa, come il libro digitale, ma qui c'è da dare una risposta radicalmente diversa dall'altra. Infatti, mentre sulla questione "cartaceo o digitale", in fin dei conti, è una questione di gusti, in quanto l'attività della lettura rimane sostanzialmente invariata, il discorso dell'audiolibro differisce di parecchio. Ascoltare e leggere, infatti, sono due cose differenti.
La lettura è un'attività che richiede molta più concentrazione, in quanto necessità che la voce narrante sia generata all'interno della mente, comprese le voci di eventuali personaggi, dell'ambiente, ecc. La voce narrante già fatta (come quella dell'audiolibro), invece, non richiede questa elaborazione e di conseguenza necessita un'attenzione minore. Se ci aggiungiamo poi che, spesso e volentieri, nella traccia audio sono compresi anche suoni dell'ambiente e voci dei personaggi, completiamo un quadro nel quale l'immaginazione viene fortemente osteggiata, e dove il passo successivo diventa la pellicola.
Ma se anche non volessimo stabilire cosa è meglio e cosa è peggio tra le due opzioni, di certo non possiamo dire che siano uguali. Leggere è una cosa, ascoltare un'altra. L'ascolto di audiolibri può essere complementare, ma non è in grado di sostituire la pratica della lettura in tutte le sue funzioni, e una completa sostituzione del testo in favore della versione udibile rischia di mitigare ulteriormente la nostra capacità di immaginare, già fortemente in difficoltà visti i numerosissimi stimoli a cui siamo costantemente sottoposti.
Insomma, se posso permettermi un consiglio, dico di non abbandonare mai la lettura. E se poi, di tanto in tanto, si vuole ricorrere a un audiolibro, non c'è nulla di male, ma si eviti di pensarlo come un sostitutivo.
