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21 Dic
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Intervista all'autore - Lucio Versino -

Ci parli un po' di Lei, della Sua vita. Da dove viene? Come e quando ha deciso di diventare scrittore?
Un antico uomo sapiente nell'incontrare un passante gli dava un semplice consiglio: "Conosci te stesso (γνωθι σ’αυτόν!,in greco antico o nosce te ipsum, in latino)".
Sono convinto che nessuno conosca bene sé stesso e guai a suggerirgli: "devi essere te stesso!" La mia vita è trascorsa, lo dico incrociando le dita, senza grandi scossoni. Dopo aver recitato la mia parte presso un prestigioso ente di ricerca, mi sono trovato subito in pensione: gli anni sono rotolati come grandi massi che crollano in frana lungo le ripide pendici di una montagna. Nonostante i ripetuti tentativi, non sono riuscito a diventare uno scrittore. Quelli veri attingono le ispirazioni dalla loro fantasia. Io non ci sono riuscito e provo a navigare nei ricordi.
 
Nell’arco della giornata qual è il momento che dedica alla scrittura?
In genere mi sveglio molto presto al mattino a causa dello spavento degli eventi sognati nel corso delle fasi REM del sonno. Annoto i fatti sognati e spesso mi chiedo cosa sia realmente vero: quello che vedo ad occhi chiusi o la realtà vissuta ad occhi aperti. Ogni tanto sono costretto ad andare nello studio di Freud per farmi analizzare, ma quello si rifiuta di visitarmi: sostiene che sono un caso incurabile! Mi consola il fatto che non sono solo. Un noto psichiatra sostiene che noi siamo tutti messi male.
Nello specifico, come dicono i grandi comunicatori, sono convinto che per mantenere in esercizio quel po' di materia grigia ospitata nella mia scatola cranica non sia sufficiente risolvere i rebus stereoscopici della Settimana enigmistica. Allora mi metto a scrivere. E scrivo ... scrivo ... scrivo ...
 
Il suo autore contemporaneo preferito?
Molti autori contemporanei mi affascinano per le forma e per i contenuti dei loro scritti. Del romanzo di Umberto Eco "Il nome della rosa" possiedo almeno quattro edizioni. Li rileggo continuamente come in passato ho fatto con "I promessi sposi" di Alessandro Manzoni.
 
Perché è nata la sua opera?
Come molti scrittori non professionisti anche io mi lascio attrarre dai ricordi. I miei testi contengono molti riferimenti alle esperienze personali. In questa ultima raccolta di racconti ho anche cercato di trarre suggerimenti dalle tante notizie poco comprensibili diffuse dai media dei nostri giorni. Mi affascinano le innovazioni nel linguaggio dei moderni sapienti e degli esperti chiamati a sparare le loro opinioni nel talk show con un lessico fatto di: "nello specifico"; " detto questo"; "il problema è un altro"; "incidente spettacolare" ed altre amenità ormai parti integranti della moderna retorica a base di frasi fatte e di aria fritta. Il racconto "Uomini, frombole e frottole" costituisce, nelle mie intenzioni, un modo di deridere coloro che si autodefiniscono esperti e che mia madre soprannominava "saponi".
 
Quanto ha influito nella sua formazione letteraria il contesto sociale nel quale vive o ha vissuto?
Ho inventato un nuovo motto: "Per prendersi sul serio, occorre sapersi ridere addosso". Non so se è originale, ma per me è un monito. Ho vissuto decine di anni tra grandi uomini di scienza, quelli che i sessantottini soprannominavano 'baroni'. Da giovane mi sono formato alle loro lezioni e ho studiato sui loro libri.
Nelle grandi aule dell'Università di Roma, ai miei tempi, al termine delle loro lezioni, noi studenti ci alzavamo in piedi e applaudivamo i docenti. Eravamo convinti che gli insegnamenti avevano dissetato la nostra fame di conoscenze. La mia formazione letteraria, se fossi stato un allievo studioso, poteva nascere dai docenti del prestigioso Liceo Classico Virgilio di Roma. La mia classe ha sfornato professori universitari, ingegneri, avvocati, magistrati e perfino un generale dei Carabinieri.
 
Scrivere è una evasione dalla realtà o un modo per raccontare la realtà?
Né l'una né l'altra. La realtà è immanente, ci opprime e da essa non si può evadere. Non si crea raccontando la realtà Solo i professionisti dei media si industriano per farlo anche se la loro è spesso una testimonianza poco obiettiva, come a volte capita leggendo lo stesso evento riportato da testate di orientamento politico diverso.
 
Quanto di lei c’è in ciò che ha scritto?
L'arte quando nasce, per dirla alla Benedetto Croce, è un'intuizione pura. Chi come me si lascia tentare dal raccontare sé stesso non ha ricevuto l'impulso creativo per diventare un artista vero. Riconoscere i propri limiti è in qualche modo un atto di coraggio. Il desiderio di vedere pubblicati i miei scritti è probabilmente legato alla mia natura narcisistica. Essa mi chiede di lasciare qualcosa prima della partenza.
 
C’è qualcuno che si è rivelato fondamentale per la stesura della sua opera?
Sono stati fondamentali in molti. I miei familiari e gli educatori delle scuole di tutti i gradi.
 
A chi ha fatto leggere per primo il romanzo?
Ai miei fratelli e a qualche amico.
 
Secondo lei il futuro della scrittura è l’ebook?
Spero di no. Il libro stampato su carta offre vantaggi molto superiori rispetto alla lettura sui dispositivi elettronici.
 
Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
Si tratta di un sistema utile per i pigri. Vedere lo scritto ben congegnato e corretto aiuta ad imparare la lingua. L'audiolibro soddisfa solo il piacere di una narrazione. Il libro letto da un buon dicitore può aiutare a comprendere meglio ciò che l'autore ha comunicato scrivendo. Mi viene in mente il modo con cui Arnoldo Foà diceva le poesie di Leopardi o di Garcia Lorca.

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