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BookSprint Edizioni Blog

23 Mar
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Intervista all'autore - Gennaro Guala -

Parliamo un po’ di Lei, dove è nato e cresciuto?
Sono nato a Bergamo, da cui, con i miei, me ne sono andato neonato per trasferirmi a Lodi. Poi i cinque anni di guerra in Piemonte, sulle falde delle Prealpi Biellesi, ritorno a Lodi al rientro di mio padre dalla prigionia.
Qui ho frequentato medie e liceo. Poi - ormai cresciuto - Milano, per l’università e il primo lavoro, e Bergamo nel maturare e invecchiare. A Bergamo credo che concluderò il mio peregrinare. Non sono mai stato in psicanalisi, ma se dovessi dire come è nato il mio modo di vedere le cose, non esiterei a farlo risalire al tempo trascorso in Piemonte, in una zona di bagnasciuga, di notte i partigiani e di giorno la colonna fascista della Muti, il taglio intransigente fra il bianco e il nero, fra il bene e il male, e gli anni delle medie e del liceo (e del bar) nella Bassa milanese, dove una diffusa amoralità era bonariamente tollerata. Quando devo giudicare - avendo conosciuto il lecito e l’illecito di due mondi agli antipodi – mi sono sempre attenuto al principio: “nel medio sta l’umano”. Lasciando perdere lo stat virtus oraziana.
 
Che libro consiglierebbe di leggere ad un adolescente?
Mi si pone un quesito a cui non so rispondere. Girerei la domanda ai suoi educatori (genitori, o maestri o professori che siano), in quanto a ogni adolescente, ammesso che abbia voglia di leggere, dovrebbe essere consigliato un libro diverso. Se proprio fossi costretto, suggerirei: prima dei dieci anni leggiti Salgari o Kipling, prima dei dodici London o Melville, prima dei quattordici Kafka o Hemingway. O analoghi scrittori, più vicini alla fine del 900. Poi saresti pronto ad affrontare ogni libro ti capiti per le mani. Lascerei perdere “Morte nel pomeriggio” di Hemingway” o “I Tintoretto” della bravissima Milena Mazzucco, per non disamorarti del libro. Leggili quando sarai in pensione, e avrai tutto il tuo tempo a disposizione.
 
Cosa pensa della progressiva perdita del libro cartaceo a favore dell’ eBook?
L’ebook è figlio dell’evoluzione tecnologica, ha dei vantaggi e degli svantaggi. Può invogliare a leggere chi non prenderebbe mai in mano un libro, o facilitare chi ne sia appassionato. Se poi viene “scaricato”, una qualsiasi “memoria” sostituisce la classica biblioteca, che in parte finisce in cantina, diventando accessibile in qualsiasi circostanza. Di contro – sempre a mio avviso – toglie il piacere tattile di sfogliare le pagine, rompe quella specie di comunione che il possesso materico del libro crea fra autore e lettore. Tuttavia, è questione di abitudini. Oggi, ad esempio, più nessuno digerirebbe il latte appena munto con sopra il suo dito di panna. Ghiottoneria del passato.
 
La scrittura è un colpo di fulmine o un amore ponderato?
Ci sarà sicuramente qualche essere umano per cui la scrittura è un colpo di fulmine. Sarei più propenso a pensare che (mascherata magari da colpo di fulmine) nasca da un processo mentale o professionale pregresso. In un caso o nell’altro è un’inclinazione naturale, che si può più o meno assecondare o reprimere. Prendiamo il mio caso: quando frequentavo il Liceo, la preside prendeva i miei temi e andava a leggerli alle ragazze che frequentavano il collegio (di suore) dove lei era in pensione. Non certo per le esortazioni morali, che non contenevano. Poi, siccome, “è la Titti come una passeretta, ma non ha penne per il suo vestire, e mangia altro che bacche di cipresso … Carducci – Davanti a San Guido), pensando al futuro ho scelto di fare una professione, l’ingegnere, che, a parte un’illustre eccezione, con lo scrivere a poco da vedere. Però - ora che ci penso - con pubblicazioni tecniche, articoli su giornali di categoria, quattro anni di commenti settimanali su un blog, la voglia di mettere qualcosa di nero su bianco mi deve essere sempre rimasta. Invecchiando, ne ho avuto la conferma. Purtroppo mi manca la gavetta.
 
Cosa l’ha spinta a scrivere questo libro?
Memorizzare le esperienze fatte nello Sri Lanka, nel titolo “Insula Felix”, nel dopo Tsunami. Le aspettative e le delusioni. Raccontare, da episodi, come vive la comunità degli italiani che si è trasferita nell’isola. E raccontarmi.
 
Quale messaggio vuole inviare al lettore?
Un avvertimento. Le fotografie dei dépliant che illustrano bianche spiagge con la palma, il troco contorto a fare da seggiola per poggiare i piedi nella rena, valgono per una permanenza di una settimana. Il loro fascino permane, ma è solo uno sfondo sfuocato nella realtà vissuta giorno per
giorno.
 
La scrittura era un sogno nel cassetto già da piccolo o ne ha preso coscienza pian piano nel corso della sua vita?
Mi ripeto, lo scrivere mi piaceva, ma prediligevo il disegno. Tanto è vero che dopo le medie, il preside della scuola, unico caso sui mille e più ragazzi che l’avevano frequentata, aveva scritto una lettera miei genitori perché mi iscrivessero all’Accademia di Belle Arti di Brera. Mi rendo conto di essere immodesto, e mi scuso. Comunque non se ne è fatto nulla perché, oltre che dovermi recare a Milano, credo mia madre pensasse che fossi troppo giovane per vedere modelle nude. In quanto a sogni, non ho mai sognato. Ho fatto quello che mi piaceva, e lo faccio tuttora scrivendo, non certo sognando di arricchirmi con le royalty.
 
C’è un episodio legato alla nascita o alla scrittura del libro che ricorda con piacere?
Sicuramente. Un paio di paginette capaci di fare sorridere. Bisogna immaginare il salone di un ristorante alla moda in Colombo.
A un capo della tavolata, tre signore: una maestra di taglio e cucito nella scuola di una Congregazione religiosa, retta da austeri Padri missionari; seconda, una bella giovane a fare da interprete fra italiano, inglese e cingalese; terza, una Miss Sri Lanka di tre o quattro anni prima, una cover-girl che aveva attirato la sguardo ammirato di tutti al suo arrivo. Elaboravano un progetto: la prima avrebbe fatto i modelli, la Miss, per una modica ricompensa, li avrebbe indossati e reclamizzato la scuola. Anche abiti da sposa, quelli rossi indossati al ricevimento che seguiva, per chi poteva permetterselo, il viaggio di nozze, a dimostrazione che il matrimonio era stato consumato. E ad ascoltarle c’era Bro, un Fratello, non uno dei Don con voce in capitolo. Non si poteva non notare il suo diventare paonazzo, il sudore che gli imperlava l’ampia fronte, al pensiero che lui avrebbe dovuto proporre agli autorevoli Padri del Consiglio della Congregazione, di finanziare una proposta così surreale.
 
Ha mai pensato, durante la stesura del libro, di non portarlo a termine?
No, a essere sincero, pubblicabile o non pubblicabile che fosse.
 
Il suo autore del passato preferito?
Non saprei cosa rispondere. Potrà sembrare un poco banale, ma mi piace Hemingway, a parte “Torrenti di primavera”. E con lui Kerouac, Steinbeck, Caldwell e Fitzgerald. Devo andare più indietro nel tempo? Dostoevskij. Più ancora? Boccaccio. Però o appena finito di rileggere due libri uno di Celine e l’altro di Miller. Cosa volete che dica?
 
Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
Un altro modo per evitare fatica. Lasciare ad altri l’interpretazione emotiva del testo. Mi rincresce, ma, sempre dal mio punto di vista, neanche Benigni ha valorizzato Dante. Detto questo, da come si evolvono le abitudini del “pubblico”, prevedo per l’audiolibro un avvenire radioso. Non ci sarà neppure più bisogno di saper leggere! Tuttavia dovremmo ricordarci di cosa dicevano i nostri progenitori nell’antica Roma: “Verba volant, sed scripta manent.”

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