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29 Set
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Intervista all'autore - Giovanni Nitti

Ci parli un po' di Lei, della Sua vita. Da dove viene? Come e quando ha deciso di diventare scrittore?
Sono nato in un quartiere della periferia di Bari, come ultimo di sette figli.
Per la realtà sociale in cui sono cresciuto e per l'educazione ricevuta dai miei genitori, ho nutrito fin da ragazzo un bisogno di riscatto dalle ingiustizie e di impegno nel cambiamento verso il bene, giungendo a riscoprire, nella persona di Gesù e nel suo Vangelo, la via per rispondere a questo mio bisogno. All'età di 18 anni, quindi decisi di entrare in seminario, nell'Ordine dei Padri Barnabiti, e all'età di 28 anni fui ordinato sacerdote.
Pochi mesi prima della mia consacrazione, in un colloquio col mio Superiore Maggiore, chiesi di poter vivere i primi anni del mio ministero in una realtà pastorale di missione o di "frontiera". Fu così che appena terminata la specializzazione universitaria fui inviato nelle Filippine, ma dopo soli quattro mesi, fui richiamato per avviare la fondazione di una missione cattolica in Albania, che in quegli anni veniva fuori dalla feroce tirannia ateista.
La missione in Albania ha caratterizzato la mia vita, superando guerre civili, rapimenti, gravi crisi di salute e tante altre esperienze che hanno reso prezioso e inscindibile il mio rapporto con quella terra.
 
Nell’arco della giornata qual è il momento che dedica alla scrittura?
La sera tardi o la notte sono i momenti della riflessione, in cui nascono idee, illuminazioni e concetti. Tuttavia, tali concetti maturano nel corso della nottata e della mattinata e di pomeriggio giungono ad una chiarezza tale da riuscire ad esprimerli nella scrittura. Nella realtà in cui vivo, ancora molto rurale e legata alla luce del sole, di inverno le attività si fermano già verso le cinque del pomeriggio, concedendomi lunghi tempi di silenzio per la scrittura.
 
Il suo autore contemporaneo preferito?
Se gli ultimi decenni dello scorso secolo possono essere ancora ritenuti "contemporanei", l'autore che più mia ha segnato e mi segna è un teologo svizzero degli anni 60/70, di nome Hans Urs Von Balthasar. È uno degli autori che hanno segnato il passaggio ad un pensiero teologico postconciliare, dopo il Concilio Vaticano II. Egli fa partire il suo pensiero dal fatto che l'uomo si riconosce a partire dalla prima esperienza esistenziale che è il sorriso di sua madre. Da questo egli deduce che anche l'esperienza di Dio, nell'incontro con la sua Rivelazione si esprime nel riconoscimento della sua bellezza e quindi tutta la fede e la teologia che la esprime è tutta estetica e, addirittura, anche la croce è bellezza.
 
Perché è nata la sua opera?
In realtà, c'è sempre stato il pensiero di pubblicare qualcosa, che tenevo da parte e attendevo il tempo opportuno per farlo, ritenendo che uno debba iniziare a scrivere in età avanzata, dopo che nella maturazione ha imparato dalla vita. In realtà però immaginavo a qualcosa di totalmente diverso, come dei versi. Questa pubblicazione è nata del tutto inaspettata, come culmine di un processo di guarigione interiore dalla dura esperienza del Covid che mi ha colpito in forma grave. Prima di ammalarmi, avevo predicato, come tutti i sacerdoti durante il lockdown, via web sui social, poiché le chiese erano chiuse ai fedeli.
Dopo la malattia ho ripreso le omelie da web e ho iniziato a trascriverle e a riflettere e poi, ho aggiunto alcune considerazioni finali alla luce della esperienza vissuta.
Mentre facevo questo mi è venuta l'idea di farne un libro, incoraggiato anche da chi mi aiutava psicologicamente, poiché quel libro avrebbe dato un ulteriore valore alla mia dolorosa esperienza, potendo essere d'aiuto a qualcuno.
 
Quanto ha influito nella sua formazione letteraria il contesto sociale nel quale vive o ha vissuto?
Il contesto sociale in cui sono cresciuto e in cui ho svolto quasi sempre il mio ministero è sempre stato segnato da problematiche umane e sociali, che spesso mi hanno posto di fronte al dolore e alle povertà umane e a situazioni complesse che hanno richiesto di non accontentarmi di risposte di circostanza, ma mi hanno spinto sempre a cercare un senso e una bellezza per cui amare la vita.
Tuttavia, prima di questo libro non ho scritto altro, se non articoli per riviste, pertanto non saprei rispondere con una considerazione generale. Posso certamente dire che in questo libro, anche nelle omelie che precedono la malattia, emerge chiaramente lo spirito di chi, a confronto col dolore e la fatica di vivere, cerca di comprendere e di far emergere una bellezza di senso, attraverso una riflessione umana profonda, illuminata e guidata dalla fede cristiana.
 
Scrivere è una evasione dalla realtà o un modo per raccontare la realtà?
Come dicevo poc’anzi, ho sempre rimandato l'idea di scrivere, perché ritengo che si debba scrivere con onestà soltanto ciò che è stato misurato con la vita vissuta e che a poco serva il frutto di una mera speculazione. Alla luce di questo e pensando a quanto ho scritto, ritengo che scrivere sia una comunicazione dell'esperienza e quindi una condivisione di sé.
 
Quanto di lei c’è in ciò che ha scritto?
Di me c'è il dolore, c'è la paura, c'è la lotta, la speranza, i dubbi, la solitudine e gli affetti raccontati e condivisi, ma soprattutto c'è la parte più intima di me stesso, cioè la mia fede, intesa come rapporto con Dio, che è più intimo a me di me stesso.
 
C’è qualcuno che si è rivelato fondamentale per la stesura della sua opera?
Certamente devo ringraziare la psicoterapeuta EMDR, Rosanna Lauro di Bisceglie, che in modo professionale, generoso e fraterno mi ha aiutato ad affrontare i fantasmi della terribile esperienza, che inizialmente facevo fatica a anche solo a ricordare. La reazione ansiosa mi portava a sofferenze anche fisiche, quando tentavo di rivivere quei momenti. Senza un percorso di dissociazione dei ricordi dall'ansia non avrei mai potuto riflettere. Anche da parte sua ho ricevuto l'incoraggiamento a pubblicare e da lei, insieme a suo marito Matteo, anche un sostegno economico per farlo.
 
A chi ha fatto leggere per primo il romanzo?
Non si tratta di un romanzo. Tuttavia, nella sua completezza non l'ho fatto leggere ancora a nessuno e solo ai più intimi ho rivelato che sarà pubblicato a breve.
 
Secondo lei il futuro della scrittura è l’ebook?
Spero di no, anche se lo temo.
Con un libro che vale, si crea un rapporto non solo col contenuto letto, ma anche con la sua materialità. Il libro che hai letto continua a esserci con il suo tatto i suoi colori, ma soprattutto con le sue sottolineature. Il libro continua ad esistere e a farsi vedere, esercitando anche in seguito il suo richiamo.
L'ebook mi appare evanescente... pura memoria che sbiadisce col tempo.
 
Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
Penso che valga quanto detto sopra e in più, nell'audiolibro, manca anche l'elemento visivo, che fissa e fa tornare nella mente. È diverso l'input offerto dalla parola sentita o dalla parola vista.
Sono considerazioni da Matusalemme, che forse non saranno valide per chi ha ricevuta una formazione diversa dalla mia. Per questo, sebbene trovo certe novità un impoverimento per la mia esperienza, non le condanno a priori, ritenendo che dipenda molto dalla formazione di ognuno.

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