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16 Ago
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Intervista all'autore - Giuseppe Donzelli

1. Ci parli un po' di Lei, della Sua vita. Da dove viene? Come e quando ha deciso di diventare scrittore?
È semplice sintetizzare il tutto. Sono nato a Napoli, e lì ho vissuto sino alla fine del 1989. Sebbene un dottorato di ricerca conseguito al Dipartimento di Sociologia della Boston University, negli USA, dovrebbe, teoricamente, includermi nelle file dei sociologi di professione, svolgo semplicemente il “mestiere” di imprenditore, dal settore della consulenza aziendale ad attività commerciali e di distribuzione.
Nel gennaio ’90 mi sono trasferito ad Hong Kong, dove, ancora oggi, vivo. In questi ultimi trent’anni, ho anche vissuto, sempre per necessità legate alle mie attività di impresa, per poco meno di due anni a Xiamen, in Cina Popolare, e ventisette mesi a Kuala Lumpur, capitale della Malaysia. Per quanto riguarda, poi, la decisione di diventare uno scrittore, beh no, non lo sono mai diventato perché non oso considerarmi tale. Preferisco definirmi un semplice artigiano dilettante della scrittura che, come tale, può esprimersi senza dover sottostare ad alcunché tipo di etichetta.
 
2. Nell’arco della giornata qual è il momento che dedica alla scrittura?
Certamente la sera, o ancor meglio, direi la notte. La tranquillità di quelle ore notturne diventa per me il momento ideale per sviluppare quelle idée che mi si sono formate in mente durante il giorno, specie al mattino, sotto la doccia.
 
3. Il suo autore contemporaneo preferito?
Mah, direi di sentire più affinità intellettuali con autori del passato, dai francesi, come Arthur Rimbaud e Charles Baudelaire, a quelli americani della Beat Generation, come Jack Kerouac, William Burroughs, Lawrence Ferlinghetti e Gregory Corso, oppure quelli russi, come Vladimir Majakovskij, Joseph Brodsky o Aleksandr Blok, solo per citarne alcuni.
 
4. Perché è nata la sua opera?
A dire il vero, non ne ho la più pallida idea: è solo accaduto così!
 
5. Quanto ha influito nella sua formazione letteraria il contesto sociale nel quale vive o ha vissuto?
Devo supporre che abbia contribuito in maniera assoluta. Un po’ tutti noi siamo oggi il frutto delle nostre esperienze passate, che siano esse di natura familiare, accademica, lavorativa, relative ai rapporti interpersonali avuti – casuali o costruiti e sviluppati - o quant’altro.
 
6. Scrivere è una evasione dalla realtà o un modo per raccontare la realtà?
Credo, ovviamente, di poter dare una risposta esclusivamente per quanto riguarda me stesso e non in termini generali: l’essere umano, come tale, produce e rappresenta un’infinita serie di sfaccettature caratteriali e, conseguentemente, altrettante infinite modalità di essere e di percepire cose e fatti. Per me personalmente, la scrittura rappresenta principalmente un esercizio mentale, l’espressione fisica attraverso la parola scritta, delle mie idée. Che poi dette idée siano correlate ad una specifica realtà, di luogo o temporale, oppure ad un immaginario, beh, diventa, per me, ininfluente.
 
7. Quanto di lei c’è in ciò che ha scritto?
Credo molto, molto davvero. C’è il mio amore per la musica jazz, come anche l'aver voluto costruire il personaggio del protagonista quasi come una mia personale rivalsa su me stesso per essere, io, rimasto, sin da ragazzo, un davvero mediocre esecutore, sia al piano che al sax, di quella musica che tanto amo e che è stata il filo conduttore di tutta la mia vita.
E poi c’è il mio tanto viaggiare, il mio aver vissuto in posti diversi del mondo, i miei incontri con una moltitudine di persone di tutti i generi, da quelle più modeste ai più alti dignitari governativi. E, forse, ancora altro di cui, ad oggi, anch’io stesso non sono riuscito a rendermene conto.
 
8. C’è qualcuno che si è rivelato fondamentale per la stesura della sua opera?
No, non credo. A parte me stesso, ovviamente.
 
9. A chi ha fatto leggere per primo il romanzo?
Al mio figlio più grande, che ha 44 anni, che è nato in Italia e vive ora, dopo 11 anni all’estero, a Milano. Il più piccolo, di 27 anni, che è nato e vive ad Hong Kong, non avrebbe potuto: parla 3 lingue ma non parla italiano. I due fratelli parlano tra di loro in inglese.
 
10. Secondo lei il futuro della scrittura è l’ebook?
Potrebbe, e ne sono terrorizzato all'idea. Per me leggere un libro, oltre, ovviamente, al contenuto riveste grande importanza il piacere della sensazione al tocco della carta allo sfogliare le pagine.
 
11. Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
Esiste. E non mi piace! Per quanto mi riguarda, considero la lettura una componente fondamentale del quotidiano. Inoltre, leggere significa – o, almeno, dovrebbe significare – apprendere. La differenza relative all’acquisizione dei dati tra memoria visiva e memoria uditiva - entrambe categorie diverse del concetto più ampio di memoria, il ricordo delle informazioni – possono essere notevoli. Specialmente in considerazione del fatto che durante la lettura, spesso memoria visiva e uditiva – quando, leggendo, si ascoltano mentalmente le parole lette - si sovrappongono, si intersecano ed aumentano esponenzialmente il ricordo delle informazioni.
Ma, in fondo, quanto appena esposto è solo un’ulteriore riprova che io sono un figlio del secolo scorso, anche se, in verità, la cosa non mi disturba affatto.
 
 
 
 
 

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