1. Ci parli un po' di Lei, della Sua vita. Da dove viene? Come e quando ha deciso di diventare scrittore?
Sono nato a Sassari perchè mio padre era direttore amministrativo della filiale FIAT, lui era catanese e mia mamma era veneziana.
Nel 1950 fu trasferito a Brescia dove mi diplomai in Ragioneria e cominciai a praticare l'atletica leggera come mezzofondista.
Nel 1963 entrai in Fiat a Verona, poi a Pavia, infine a Torino nel 1977, come addestratore commerciale, poi addetto alla Pubblicità e Promozione, caporedattore dell'house organ della Direzione Commerciale Italia.
Prepensionato nel 1994 cominciai la carriera di giornalista sportivo
Non ho mai deciso di diventare scrittore, io sono nato scrittore, è una vocazione che è dentro di noi, anche se nel labirinto della vita prendiamo un'altra strada.
2. Nell’arco della giornata qual è il momento che dedica alla scrittura?
Non c'è un momento preciso, quando viene l'estro, anche perchè i miei molteplici interessi condizionano la mia attività.
La situazione migliore è quando corro, nella mia ora di allenamento, a giorni alterni data l'età, sono solo con me stesso e mi sento libero da ogni condizionamento, anche quando lavoravo il momento migliore per risolvere i miei problemi era l'ora e mezza di preparazione alle maratone.
Fanno eccezione le poesie, il momento migliore è la sera, quando tutto tace e affiorano i sentimenti, le sensazioni e i ricordi.
3. Il suo autore contemporaneo preferito?
Sono due: Indro Montanelli e Oriana Fallaci, giornalisti e storici come me, alla ricerca della "verità", disincantati e scevri dal politicamente corretto che anch'io aborro (per dirla con Mughini)
La storia è scritta dai vincitori e come dice Giampaolo Pansa " i vinti non dimenticano", ho conosciuto Pansa quando convocava i eresponsabili della comunicazione aziendale FIAT in corso Marconi, anche lui un grande personaggio.
4. Perché è nata la sua opera?
Da giovane sottotenente di Fanteria a Trieste nel 1963 ho avuto contatti al Circolo Ufficiali con esuli giuliani, ho visto le foibe di Monrupino e Basovizza e la Grotta Gigante di Opicina, ho respirato l'aria che tirava e mi sono ricordato del mio più caro compagno di scuola Roberto Gazich che mi aveva accennato a quello che avevano passato, avevo visto all'Ospedale Militare di Brescia ancora nel 1950 i profughi di quella parte d'Italia così vigliaccamente sottratta e quando alla premiazione del mio primo libro a Pordenone conobbi il circolo Villotte ebbi la spinta a studiare gli avvenimenti di quegli anni in cui furono cacciati dalla loro terra e alla fine ebbi tutte le informazioni utili per raccontare la loro tragedia senza animosità ma con onestà e partecipazione
5. Quanto ha influito nella sua formazione letteraria il contesto sociale nel quale vive o ha vissuto?
Non si può prescindere da quello che siamo, dalle esperienze positive e soprattutto negative che si sono vissute, lo scrittore è un curioso e un generoso, vuole rendere partecipi gli altri delle sue vittorie e delle sue sconfitte, delle sue amarezze e delle sue gioie. Sarà che sono un "acquario", ma sento in me l'esigenza di dare, di rendere partecipi gli altri dei miei pensieri
6. Scrivere è una evasione dalla realtà o un modo per raccontare la realtà?
Da quanto ho detto prima scrivere è raccontare la realtà che noi percepiamo, l0 scrittore deve essere uno specchio in cui gli altri dovrebbero riconoscere se stessi, le loro debolezze e le loro virtù, prendere atto che la vita non sempre dà quello che noi desidereremmo, ma quella che le circostanze ci portano a vivere.
Nel mio primo libro paragono la vita ad un labirinto: sappiamo da dove entriamo, ma non sappiamo da dove e quando usciremo, dipende dalle decisioni che prendiamo o altri ci impongono quando arriviamo a un incrocio, dunque la vita va vissuta senza rimpianti e senza debolezze, ma con rispetto e volontà.
7. Quanto di lei c’è in ciò che ha scritto?
Di me c'è tutto, la profonda religiosità, che ha nei dieci comandamenti e nel Vangelo di Cristo la sua stella polare.
C'è la passione civile per un popolo costretto con la forza e col terrorismo a lasciare la propria terra; nel mio piccolo anch'io ho dovuto lasciare la terra in cui sono nato la Sardegna, che ancora oggi ricordo con un magone.
C'è la vita militare: dieci mesi da ufficiale, se fatti con onestà, restano per sempre nel cuore e nella mente.
C'è il rispetto per i vinti della Decima MAS, ma anche per i partigiani di Ozegna, non esistono buoni e cattivi, esistono UOMINI, che i governanti non devono obbligare a compiere azioni vergognose.
8. C’è qualcuno che si è rivelato fondamentale per la stesura della sua opera?
Non qualcuno, ma il sistema informativo attualmente disponibile sul WEB, senza di quello non sarebbe bastato un anno alla documentazione, assolutamente indispensabile per una visione a 360° di tutti i fatti.
9. A chi ha fatto leggere per primo il romanzo?
Al dottor Scordo, mio direttore all' Addestramento FIAT, uomo di profonda cultura e umanità, gambizzato negli anni di piombo a Torino dalle Brigate Rosse, un amico come ce ne sono pochi.
10. Secondo lei il futuro della scrittura è l’ebook?
Non credo, ho l'abbonamento a La Stampa che costa 400 euro, potrei spendere la metà con l'edizione on line, ma a me piace avere la carta su cui leggere.
Certo la mia età influisce e non poco, ma la DAD ha dimostrato che il contatto tramite l'web non è premiante e motivante.
11. Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
Forse ha qualche possibilità in più, da piccolo mi piaceva sentire mia madre leggere la favole, aveva anche recitato in una filodrammatica con mio nonno, soprattutto per gli anziani potrebbe essere una comodità, mia zia, alla quale avevo regalato il mio primo libro, ha dovuto farselo leggere non avendo più la vista al top.