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03 Mar
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Intervista all'autore - Giuseppe Jogna

1. Ci parli un po' di Lei, della Sua vita. Da dove viene? Come e quando ha deciso di diventare scrittore?
Sono nato ed ho vissuto la fanciullezza e la gioventù in un piccolo paese della pedemontana friulana, dove la mia famiglia si barcamenava con l'allevamento di pochi capi di bestiame e spostava la residenza estiva, da primavera all'autunno, nella sede di montagna per sfruttare i pascoli colà presenti.
Mio padre emigrava stagionalmente in Francia per aiutare la famiglia con il suo lavoro di muratore. Da bambino ho avuto contatti e conoscenza diretta con i partigiani "rossi" e "verdi" in montagna e con i "cosacchi" giù in paese. Malgrado le difficoltà economiche e logistiche sono riuscito a frequentare le scuole tecniche arrivando al titolo di "perito industriale - capotecnico", che mi ha consentito di avviare la professione liberale. La voglia di scrivere è venuta in tarda età, infatti ho pubblicato il primo lavoro soltanto nel 2011.
 
2. Nell’arco della giornata qual è il momento che dedica alla scrittura?
Non ho un periodo della giornata che dedico alla scrittura infatti, malgrado l'età, continuo a lavorare praticamente a tempo pieno. Mi diletto a scrivere il sabato e la domenica, come ho fatto anche in passato.
 
3. Il suo autore contemporaneo preferito?
Sono diversi gli autori che preferisco, da Pier Paolo Pasolini a Oriana Fallaci, a Giampaolo Pansa fino a Sergio Rizzo. Leggo con simpatia, anche per vicinanza territoriale, Mauro Corona.
 
4. Perché è nata la sua opera?
Sono molto rammaricato per non aver saputo cogliere le tante cose che mia madre mi raccontava e ciò, dopo la sua scomparsa, mi ha fatto venire un rimorso di coscienza che mi ha spinto a scrivere ciò che era ancora presente nella mia memoria, soprattutto quella vissuta da bambino. Sull'onda di ciò ho voluto andare oltre, ricordando episodi della vita militare, del tragico terremoto del 1976 e della mia lunga militanza ai vertici istituzionali della categoria professionale.
 
5. Quanto ha influito nella sua formazione letteraria il contesto sociale nel quale vive o ha vissuto?
Molto. Proprio il contesto sociale in cui mi sono trovat0, per oltre quarant'anni, in rappresentanza istituzionale a Roma, mi ha consentito di partecipare attivamente al confronto su tematiche di politica economica, comunitaria e legislativa, che molto hanno contribuito alla mia formazione. Il doversi districare con le procedure che possono portare ad un provvedimento legislativo lo considero un vero e proprio arricchimento.
 
6. Scrivere è una evasione dalla realtà o un modo per raccontare la realtà?
Decisamente il modo di raccontare la verità, soprattutto quella ancora presente nella mente di un bambino, diventato adulto e poi vecchio. Non voglio tuttavia escludere che il tanto tempo passato, alcuni episodi, possano aver subito qualche alterazione romanzata.
 
7. Quanto di lei c’è in ciò che ha scritto?
Molto, al punto che pensavo al titolo: "come si può spendere una vita", poi sostituito dalla attuale proprio in coerenza con l'incontro con il mio avo.
 
8. C’è qualcuno che si è rivelato fondamentale per la stesura della sua opera?
Sono stato avviato a scrivere il precedente libro: "La grande opportunità" dalla dott.ssa Benedetta Pacelli, addetto stampa del nostro Consiglio Nazionale. Da cosa nasce cosa e quindi ho proseguito.
 
9. A chi ha fatto leggere per primo il romanzo?
A mia moglie che si è preoccupata di farmi notare qualche refuso e chiedermi spiegazioni.
 
10. Secondo lei il futuro della scrittura è l’ebook?
Penso di sì.
 
11. Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
Anche questa novità ritengo possa farsi strada nel futuro, perché penso che più di qualcuno vorrà evitare lo sforzo della lettura, che è e rimane il metodo più efficace per far funzionare meglio la memoria.
 
 
 
 
 

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