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20 Ott
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Intervista all'autore - Giuseppe Pierdomenico

1. Ci parli un po' di Lei, della Sua vita. Da dove viene? Come e quando ha deciso di diventare scrittore?
Sono un imprenditore che ha trascorso circa 40 anni della vita professionale in aree geografiche a dir poco problematiche. Sono nato nell'Abruzzo rurale degli anni Cinquanta, sono poi emigrato a Torino per frequentare il Politecnico.
Ho deciso di iniziare a scrivere solo nel 2019, in quanto, per ragioni di sicurezza ero confinato in casa a Tripoli. Ho così trovato nella scrittura un modo nuovo di trascorrere le lunghe ore di solitudine. In realtà all'inizio non era mia intenzione pubblicare alcunché, volevo tenere per me quanto avevo scritto; poi mi sono detto che forse sarebbe stato interessante condividere le mie emozioni con qualcun altro. Ci ho preso gusto, e finora ho già completato 4 romanzi, di cui Savana Selvaggia è il secondo pubblicato.
 
2. Nell’arco della giornata qual è il momento che dedica alla scrittura?
Sono molto mattiniero.
Di solito inizio a scrivere alle 6 e smetto alle 9. Dopo tale orario diventa impossibile concentrarsi. Il telefono squilla in continuazione, le visite si susseguono, il lavoro ha bisogno delle dovute attenzioni. Pertanto alle 9 smetto e riprendo il giorno successivo. Talvolta ho con me un piccolo taccuino, e se durante la giornata mi viene qualche idea che potrebbe essere inserita in quanto sto scrivendo, lo appunto, sperando poi di utilizzarlo nel giorno successivo.
 
3. Il suo autore contemporaneo preferito?
Prima di iniziare a scrivere ero un lettore seriale, credo di aver letto almeno un migliaio di libri o forse più.
Tra gli autori preferiti, a parte me stesso naturalmente, non ci sono autori italiani; in particolare posso citare:
Ken Follet (di cui ho letto tutti i suoi libri);
John Grisham (altrettanto);
Dan Brown (come sopra);
Wilbur Smith, il mio preferito in assoluto;
Glenn Cooper, altro autore di cui credo di aver letto tutto.
 
4. Perché è nata la sua opera?
La ragione è stata quella di lanciare un messaggio e un appello.
La mia opera Savana Selvaggia va inquadrata in una trilogia che affronta tre temi che toccano l'Africa di questi anni:
> la immigrazione clandestina, di cui si parla nel primo volume della trilogia;
> lo smaltimento dei rifiuti radioattivi in Africa trattato in Savana Selvaggia
> La neo-colonizzazione dell'Africa da parte dei cinesi (non ancora pubblicata).
I tre romanzi, pur avendo tutte le caratteristiche di opere di avventura, di totale fantasia, in realtà nascondono una denuncia che spero il lettore possa far suo e spingere chi ha ruoli politici a intervenire.
 
5. Quanto ha influito nella sua formazione letteraria il contesto sociale nel quale vive o ha vissuto?
Direi che è stato fondamentale. Le esperienze giovanili, le frequentazioni durante gli anni universitari a Torino, dove non era raro trovare la scritta "ingresso vietato a cani e meridionali", le successive esperienze di lavoro nei paesi arabi, hanno contribuito a modellare il mio carattere.
Tutto questo inevitabilmente ha condizionato il mio modo di scrivere e di vedere le cose. Peraltro nella trilogia sono proprio narrate situazioni di vita vissuta frammiste ad altre di pura e totale fantasia.
Sfido il lettore a distinguere le una dalle altre.
 
6. Scrivere è una evasione dalla realtà o un modo per raccontare la realtà?
Entrambe!
Da un lato mi piace raccontare la realtà che talvolta "piego" alle mie esigenze narrative. Questo lavoro di adattare la realtà vissuta integrandola con situazioni di pura fantasia è in qualche modo anche una evasione.
Peraltro come ho già detto in un punto precedente, la trilogia parte da tre realtà ben note e documentate, sulle quali ho costruito situazioni di pura "evasione".
 
7. Quanto di lei c’è in ciò che ha scritto?
Molto.
Chi ha letto il mio primo lavoro è convinto che si tratti di una opera totalmente autobiografica. In realtà lo è in parte.
Nel romanzo Savana Selvaggia ci sono molte situazioni di totale fantasia, ma anche riferimenti alla mia persona, non a caso il protagonista si chiama Giuseppe come l'autore.
Forse inconsciamente ho voluto trasmettere questo messaggio che non è sfuggito al lettore attento.
 
8. C’è qualcuno che si è rivelato fondamentale per la stesura della sua opera?
Più che qualcuno, direi "qualcosa".
Non credo che avrei mai potuto scrivere una opera di oltre cinquecento pagine se non avessi avuto con me il mio fedele PC.
Impossibile anche solo immaginare di scrivere nel modo tradizionale una simile corposa opera, peraltro credo di aver dimenticato come si scrive con carta e penna, quando ci provo, i risultati sono a dir poco imbarazzanti.
 
9. A chi ha fatto leggere per primo il romanzo?
Una coppia di amici di Genova.
La signora, attenta lettrice, costretta in convalescenza da una lunga malattia, ha dedicato alla lettura del mio lavoro molto tempo, riservandosi di esprimere un parere di cui ho tenuto conto prima di cercare un editore.
Anche lui si è espresso in modo assolutamente lusinghiero, entrambi incitandomi a scrivere ancora; ma forse lo hanno fatto per tenermi impegnato, lontano da loro!
 
10. Secondo lei il futuro della scrittura è l’ebook?
Assolutamente SI!
Anche se da persona vissuta a cavallo tra due epoche storiche molto diverse tra loro, la sensazione che si prova avendo un "cartaceo" in mano non può essere paragonata al freddo strumento tecnologico.
Talvolta mi viene da pensare che la mia generazione è stata davvero fortunata: è passata dall'utilizzo del pennino immerso nel calamaio con le inevitabili macchie, alla stampante laser, a colori e alta definizione.
 
11. Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
Credo che questa sia la sfida del prossimo futuro.
Questa formula sarà sicuramente quella che riscuoterà il maggiore successo e forse decreterà il tramonto definitivo del "cartaceo" e forse anche dell'ebook.
A meno che, immaginando un ulteriore salto qualitativo, la tecnologia non inventi una specie di cuffia dove, senza suono, il libro entra direttamente nel nostro stanco cervello.
Credo che non mi piacerebbe!!
 
 
 
 
 

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