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06 Ott
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Intervista all'autore - Alessandra Pellicciari

1. Ci parli un po' di Lei, della Sua vita. Da dove viene? Come e quando ha deciso di diventare scrittore?
La mia vita è stata senza nuvole fino all'età di nove anni quando persi mio padre a causa di un male che se lo portò via in tre mesi. Nel giro di un anno, io e mia madre, lasciammo Roma e ci trasferimmo a Brescia, città di cui lei è originaria. Fu un periodo molto difficile: nuova scuola, nuovi amici, nuova casa; insomma, tutto quello che fino a prima era stato il mio mondo, era crollato come un castello di carte. Fu allora che mi rifugiai nella scrittura: il mio diario era il mio porto sicuro e a lui regalavo ogni mia sensazione.
Già da piccola, leggevo e scrivevo speditamente, e, come mi racconta mia madre, amavo moltissimo la lettura. Qualcuno ha detto che il foglio bianco è la tela e le parole devono dipingerla. Ho sempre amato l'arte, ma di tutte le sue forme, la scrittura è quella che riesce a realizzare meglio i miei pensieri, i miei sogni, le mie sensazioni. In un libro posso essere qualsiasi personaggio io voglia, andare in qualunque angolo del mondo e far avverare ogni mio sogno. Questo è ciò che mi ha spinto verso questa strada, poter creare e dare vita a personaggi che, man mano che il libro procede, riesco perfino a sentire come degli amici.
 
2. Nell’arco della giornata qual è il momento che dedica alla scrittura?
Il momento in cui amo di più scrivere è la sera, quando il mondo comincia a farsi un pochino più silenzioso e quando l'intensa luce del giorno lascia spazio alle ombre più delicate. È allora che amo sedermi alla mia scrivania e cominciare a scrivere. Le prime idee mi piace buttarle giù a mano, come si faceva una volta; solo quando ho ben chiaro qualche capitolo allora passo al computer.
 
3. Il suo autore contemporaneo preferito?
Domanda difficile. Ci sono vari autori contemporanei che varrebbe la pena di includere tra i miei preferiti, ma se devo scegliere quale libro portare in un viaggio di un mese, allora dico Stephen King: non solo perché è l'autore che mi ha accompagnata per tutta la mia adolescenza, ma perché ha in sé una capacità rara di raccontare una storia senza essere troppo prolisso, senza annoiare e perché è il "re" del perfetto mix tra thriller e horror. Inoltre, i suoi personaggi sono spesso degli antieroi: uomini e donne (e spesso ragazzini), che devono fare i conti con la propria vita e con gli errori che hanno commesso.
 
4. Perché è nata la sua opera?
Questa mia opera nasce dalla voglia di cimentarmi nel territorio del giallo, il mio genere preferito, cercando di aggiungere un tocco di "americanità" che ho sempre amato nelle letture. Così ho deciso di ambientarlo a New York, che ne è il simbolo per eccellenza. Inizialmente non avevo pensato all'epoca di ambientazione, dando per scontato che fosse ai giorni nostri; poi, dopo qualche pagina, mi sono resa conto di voler alleggerire i personaggi da tutta la tecnologia che ormai fa parte della quotidianità e così è nata l'idea di tornare indietro nel tempo e ambientarlo negli anni'70. Ho cercato di creare una figura principale intorno alla quale girassero personaggi tipici e non dell'epoca, e ho dato vita a Jack Rempton, il nostro investigatore un pò scalcinato ma in gamba.
 
5. Quanto ha influito nella sua formazione letteraria il contesto sociale nel quale vive o ha vissuto?
Il contesto sociale in cui ho vissuto sicuramente mi è stato d'ispirazione: mio padre, poco prima di mancare, stava per realizzare il suo sogno di diventare sceneggiatore: amava scrivere come poche persone che ho conosciuto, e, se chiudo gli occhi, lo vedo chino sulla macchina da scrivere con i suoi fogli sparsi sul tavolo. Crescere con un padre amante della scrittura e della letteratura ha influito molto sulla mia vita e mi ha dato la spinta per tentare questa strada.
 
6. Scrivere è una evasione dalla realtà o un modo per raccontare la realtà?
Per me scrivere è entrambe le cose: è un'evasione perché nel momento in cui lo faccio per me non esiste altro all'infuori della mia storia, dei miei personaggi, che diventano una sorta di amici e che devo solamente indirizzare sulla strada giusta; ma credo sia anche un modo per raccontare la realtà: di omicidi, di tradimenti e di inganni ne succedono migliaia ogni giorno in tutto il mondo, e questa purtroppo è realtà, a cui scrivendo, si aggiunge un punto di vista personale.
 
7. Quanto di lei c’è in ciò che ha scritto?
In questo libro di me si possono trovare varie sfaccettature: anche se è un personaggio maschile, il protagonista ha dei tratti caratteriali che sono anche i miei: l'amore per i misteri, la tenacia ma anche qualche insicurezza e il vago senso di ingiustizia che ogni tanto compare nei suoi pensieri più intimi. C'è una mia passione per gli Stati Uniti, da me visitati varie volte, e dove appunto ho deciso di ambientare "Potrei dare un'occhiata al morto?". In ultimo si trova anche un pizzico di nostalgia per gli anni passati, quegli anni di cui tanto sentivo parlare dai miei genitori, dove ancora si riusciva a vivere senza tutta la tecnologia di cui disponiamo oggi e dove forse la vita e i rapporti umani erano un pochino più semplici.
 
8. C’è qualcuno che si è rivelato fondamentale per la stesura della sua opera?
In realtà questo romanzo non lo ha letto nessuno se non al suo termine. No, non posso dire che ci sia stato qualcuno con un ruolo fondamentale per la sua stesura, se non a livello di incoraggiamento psicologico nei momenti in cui le idee sembravano non arrivare mai. Per questo devo ringraziare una delle mie più care amiche che mi ha sempre incitato a non mollare; sento ancora la sua voce:" Scrivi!".
 
9. A chi ha fatto leggere per primo il romanzo?
La prima lettrice del libro è stata mia madre. La mamma è sempre la mamma si dice, no? E chi, meglio di lei, poteva darmi un giudizio spassionato e privo di ogni malizia?
 
10. Secondo lei il futuro della scrittura è l’ebook?
Domanda che crea in me dei contrasti. Ho sempre detestato l'ebook per il semplice, banale motivo di non poter assaporare a pieno il gusto di leggere un libro vero. Dov'era l'odore della carta stampata, la filigrana di una copertina o la virgoletta che segnava una pagina? Per necessità, qualche anno fa, ho ceduto all'acquisto di un Kindle e ho capito perché da molti venga considerato il futuro della scrittura: ero partita per un viaggio molto lungo e su quel piccolo monitor potevo trovare libri di ogni genere senza occupare il minimo spazio. Quindi se devo dare una risposta razionale direi sì, potrebbe essere il futuro, ma se devo rispondere col cuore dico no. Niente potrà mai sostituire un libro in... carta ed ossa.
 
11. Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
Credo che l'audiolibro sia utile perché può permetterti di ascoltare qualsiasi romanzo tu desideri mentre stai facendo altro: una passeggiata, ginnastica e via dicendo. Questo permette a persone che non ne hanno il tempo, di dedicarsi comunque all'ascolto del proprio libro preferito, e perché no, può anche avvicinare molta più gente ad appassionarsi ad un autore, ad un romanzo. Personalmente mi capita di ascoltarne, l'ultimo è stato "Il vecchio e il mare", libro letto una vita fa ma che avevo voglia di rispolverare. Forse da noi, in Italia, non è ancora diffuso come negli Stati Uniti, ma credo ci siamo buone probabilità che possa prendere piede.
 
 
 
 
 

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Venerdì, 06 Novembre 2020 | di @BookSprint Edizioni

1 COMMENTO

  • Link al commento Edoardo inviato da Edoardo

    Ottima intervista. Ho preferito leggerla dopo aver fatto lo stesso con il libro, rispecchiandomi in molte delle risposte di Alessandra. Grande autrice.

    Martedì, 24 Novembre 2020 14:35

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