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10 Feb
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Intervista all'autore - Micaela Licata

1. Che cos’è per Lei scrivere, quali emozioni prova?

Questa domanda è molto speciale, perché anch'io me la sono fatta parecchie volte. Scrivere per me non è mai stata una passione, bensì qualcosa di molto più profondo. L'ho capito quando mi sono chiesta quale impiego avrei voluto svolgere per tutta la vita... Ho molte passioni e molti hobby: mi piace disegnare, ad esempio, sciare, adoro cantare, anche se non sono per niente capace, e ogni tanto suono qualche accordo con la chitarra, ma non potrei mai disegnare o suonare per vivere. Non sarei felice. Scrivere è l'unico mestiere che ho sempre desiderato. Avevo solo undici anni quando ho iniziato e a dodici ho scritto il mio primo libro. Certo, era un libro scritto col vocabolario di una dodicenne e narrava le avventure di una ragazzina, ma è stato il principio, la prima pagina di questo mio grande amore che è la scrittura. Quando scrivo entro in un mondo da me creato, un mondo soltanto mio e le ore scorrono veloci senza che me ne accorga. Scrivere è una necessità, ma non a scopo terapeutico, bensì perché ne avverto il bisogno, il desiderio. Scrivere è come respirare, non posso farne a meno e di certo non voglio.



2. Quanto della sua vita reale è presente in questo libro?

Un pennello si lascia sempre sfuggire una setola sulla tela. Credo che sia quasi impossibile estraniarsi completamente da ciò che si fa. Per quanto un libro possa essere un'opera fittizia, se pur verosimile, si porta appresso un tassello dell'anima di chi l'ha scritto. A pensarci bene mi riconosco nella figura di Chris Reagan, uno dei tre protagonisti, per quanto riguarda il fatto che non si è mai sentito ben accetto. Anch'io ho avuto esperienze simili in cui parecchie persone non mi capivano, anzi mi escludevano e mi sono odiata per questo. Ma alla fine ho capito che non ero io a non meritare loro, ma loro a non meritare me. Dopotutto, come Chris ha incontrato Marjolaine e Zachary, io ho avuto la fortuna di incontrare molte altre persone che oggi sono miei cari amici. Alla fine si tratta solo di fare le amicizie giuste. Spero che questa mia esperienza possa servire a chi non è ancora riuscito a sentirsi accettato.



3. Riassuma in poche parole cosa ha significato per Lei scrivere quest’opera.

Una sfida. Ho voluto immergermi nelle situazioni, ho cercato di entrare nella testa e nel corpo di ogni personaggio. Uomo o donna, ho voluto vestire i loro panni, finché non ho visto che iniziavano a prendere forma, a muoversi. Mi piace l'idea di poterli sentire e vedere come fossero vivi. Solo così un personaggio può dirsi completo, vero e spero vivamente di esserci riuscita.



4. La scelta del titolo è stata semplice o ha combattuto con se stesso per deciderlo tra varie alternative?

Questa domanda mi fa sorridere, perché ho sempre combattuto con me stessa per decidere, non solo il titolo del libro, ma anche quello relativo a ogni capitolo. In definitiva, col senno di poi, credo che "Scegli" sia la parola che più incarna il significato di ciò che ho voluto trasmettere: il valore di compiere le proprie scelte. Senza la possibilità di scegliere la vita perderebbe importanza, perderebbe la magia dell'inaspettato e non potremmo rallegrarci delle scelte giuste né crescere per mezzo di quelle sbagliate.



5. In un’ipotetica isola deserta, quale libro vorrebbe con sé? O quale scrittore? Perché?

Sono molti gli autori del passato che ho avuto il piacere di leggere e ognuno di loro mi ha insegnato qualcosa e regalato infinite emozioni, ma uno più di tutti. Charles Dickens non è solo lo scrittore che più preferisco; è stato per me un maestro, un personaggio che, anche se vissuto in un epoca diversa e lontana, è riuscito a ispirarmi, ad aprirmi gli occhi su molti aspetti della scrittura. Si è occupato di me attraverso i suoi capolavori e per mezzo di quello che oggi conosciamo e che traspare dai suoi racconti. Perciò, in un'ipotetica isola deserta vorrei vedere la figura di Dickens intravvedersi all'orizzonte. Sicuramente con me avrei la mia copia in lingua originale di "A Christmas Carol" e guarderei incredula, trepidante, con gli occhi sommersi da lacrime di gioia quella figura familiare farsi via via sempre più nitida e vicina.



6. E-book o cartaceo?

Preferisco decisamente un libro cartaceo, capace di assecondare i miei piccoli capricci. Ad esempio, se una frase mi colpisce voglio poterla sottolineare a matita e non rinuncio a quell'odore particolare e inconfondibile della carta e allo sfogliare d'ogni pagina. Però non ne farei una regola fissa per chiunque. Dopotutto non importa se la scatola è rossa o gialla, l'importante è che le caramelle mi piacciano.



7. Quando e perché ha deciso di intraprendere la carriera di scrittore?

La mia non è stata una decisione, è stato qualcosa che ho avvertito, scoperto vivere dentro di me. Predisposizione, impegno, esercizio e costanza sono fondamentali per chi vuole eccellere nel proprio campo, ma se manca quel qualcosa, quella scintilla nel cuore... allora non sarà possibile raggiungere nuovi obiettivi e migliorare. Questo perché la scintilla, così mi piace chiamarla, che sento esserci sempre stata in me, non ha nulla a che fare con la bravura, col talento. Per alcuni posso non avere grandi capacità, possono giudicarmi priva di predisposizione, ma la fiamma che arde nel mio petto la sento solo io ed è lei che mi spinge a rialzarmi dopo ogni caduta. Il talento e l'esercizio aiutano, ma senza il coraggio e la giusta perseveranza non sono nulla. Sono solo il contorno della sostanza. La forza risiede nel profondo, non nelle nostre capacità. Questa scintilla non mi rende più brava o più speciale, semplicemente mi rende Micaela e mi regala la certezza che qualunque cosa accada non smetterò mai di inseguire il mio più grande sogno: vivere per scrivere e scrivere per vivere.



8. Come nasce l’idea di questo libro? Ci racconterebbe un aneddoto legato alla scrittura di questo romanzo?

Come nasce l'idea di questo libro? Le sue radici risalgono alla prima superiore e si portano appresso una storia che ha avuto un certo impatto su chi l'ha vissuta. Il primo anno l'ho frequentato al liceo classico, perché speravo potesse arricchire le mie conoscenze meglio di qualunque altra scuola, anche se così non è stato. Lì ho conosciuto una ragazza che stimavo profondamente. Era molto più matura di me e per questo la emulavo, era una persona decisamente affidabile. Non eravamo amiche, perché all'epoca era troppo timida per fare amicizia, ma la osservavo da lontano. Una volta superato il primo anno, ho deciso di iscrivermi all'artistico e non ho mai più sentito parlare di quella ragazza, sino al mese di febbraio, mese in cui sono venuta a conoscenza che si era suicidata, sparandosi un colpo di pistola. Chiaramente mi dispiaceva e tuttora non oso neanche immaginare il dolore che amici e parenti devono aver provato e che ancora oggi non li lascia totalmente liberi. Come ho detto non eravamo legate, ma questo fatto, in qualche modo, è riuscito a segnarmi e mi ha spinto a voler raccontare una storia che la vedesse coinvolta. Non so perché, forse per ricordarla o forse perché semplicemente sentivo di doverlo fare, perché era giusto così. Questa è una storia che porto con me da quel fatidico mese di febbraio e non è una storia che voglio tenere nascosta. Bisognerebbe parlare delle cose brutte come di quelle belle, perché sia le une che le altre ci rendono quello che siamo e rinnegarle non porterebbe che a star male.

Un aneddoto legato alla stesura del libro riguarda sicuramente un mio caro insegnate, il quale ringrazio infinitamente con tutto il cuore. Ho sempre sofferto, e tuttora soffro, di bassa autostima, ma non voglio farne una debolezza, bensì una forza. Così, un venerdì dell'ultimo anno, ho preso coraggio e sono uscita dal mio guscio. Ho chiesto a questo professore di leggere il primo capitolo. Essendo lui una persona di cui ho la massima stima e so essere totalmente sincero, avevo il timore che mi dicesse che la scrittura non era il mio mondo, che non ero nata per questo. Dopo una lunga attesa ho scoperto che il capitolo gli era piaciuto. Credo che a volte, in quanto esseri umani, avvertiamo soltanto l'esigenza che qualcuno ci dia la forza che in quel momento ci manca. 




9. Cosa si prova a vedere il proprio lavoro prendere corpo e diventare un libro?

È la realizzazione di un sogno. Devo ammettere che è una sensazione speciale vedere i propri sogni divenire reali, concreti. Mi piace l'idea di poter condividere una mia creazione con le persone e, magari, regalare emozioni. Inoltre, a parer mio la scrittura, come l'arte in genere, non dovrebbe soltanto intrattenere, ma soprattutto lasciare un segno in chi la riceve. Sarebbe bello sapere che chi legge il mio libro si rivede in alcuni aspetti dei personaggi o delle situazioni che si vengono a creare e può, così, trovare le risposte che da solo non riesce a scovare.



10. Chi è stata la prima persona che ha letto il suo libro?

La mia famiglia è sempre la prima a leggere qualunque cosa scrivo. Mia madre, mio padre e mio fratello mi hanno sempre sostenuta, hanno creduto in me anche quando io stessa non lo facevo e non posso essere altro che grata e felice per questa famiglia straordinaria. Mio padre è il mio eroe, la sua presenza nella mia vita è un punto fondamentale. Si interessa a ciò che amo e mi sostiene, mi sprona, ma soprattutto mi ripete sempre che sono in grado di fare qualsiasi cosa. Mio fratello è il mio piccolo aiutante, anche se ormai ha tredici anni per me sarà sempre il mio fratellino. Essendo la maggiore sento sempre di doverlo proteggere da tutto e tutti, ma la cosa è reciproca. Siamo molto legati, nonostante i sei anni di differenza, ed è proprio vero che un fratello ti arricchisce dentro. Per ultima, ma non per importanza, mia madre: è la mia roccia, è colei che mi aiuta a risollevarmi dopo ogni caduta, colei che mi ha insegnato a camminare in questo mondo tortuoso e che mi accompagna ogni giorno. Il nostro è un rapporto speciale. Qualunque sia la ragione, mia madre è la prima persona in assoluto che chiamo quando qualcosa non va. È uno scudo, è un sostegno, è la persona più forte e importante che ci sia. Spesso non ci rendiamo conto di quanto le nostre madri riescano a sorreggere sulle loro spalle il peso dei nostri problemi. Se ne fanno carico e li risolvono. Quindi non posso che dire grazie per questi genitori meravigliosi e per questo fratellino fantastico.



11. Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?

Non sono molto informata sull'argomento, ma ho sentito dire che sia molto più in voga in America o comunque in altri paesi d'Europa che qui in Italia, ma penso sia indispensabile. Audiolibro significa offrire una possibilità in più a tutti coloro che non possiedono il dono della vista e a tutti coloro che non hanno molto tempo a disposizione o presentano disturbi di apprendimento e, quindi, fanno fatica a leggere. Bisognerebbe perseguire questa strada e rendere accessibile quanti più libri anche a queste persone. La lettura è un diritto di tutti.

 


 

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