2. Nell’arco della giornata qual è il momento che dedica alla scrittura?
In linea di massima, non vi sono momenti particolari da dedicare alla scrittura anche perché ho voluto evitare che questa attività diventasse tanto professionale da essere inquadrata entro schemi predefiniti. Quando entro nel mio studio non devo avere la sensazione di entrare in un ufficio ma la piacevole consapevolezza di manifestare, libera ed incondizionata, la mia personalità intima e di esprimere senza riserve i miei pensieri.
3. Il suo autore contemporaneo preferito?
Con tutta franchezza, non posso dire a quale autore vada la mia preferenza. Potrei azzardare i nomi di Calvino, Pavese, Vittorini, Pasolini o D'Annunzio, ma sarebbe una visione riduttiva del mio mondo letterario. Posso soltanto dire che, al momento, prediligo le ultime creazioni di Maurizio Di Giovanni, fra gli italiani, di Pamuk fra gli europei e Borges fra i latino americani, ma la valutazione può naturalmente cambiare.
4. Perché è nata la sua opera?
Per caso e per divertimento. Quasi per caso, e senza l'intendimento di scrivere un romanzo, ho descritto la passeggiata di un signore frettoloso sul Lungotevere, nei pressi dello Stadio Olimpico, e poi, senza pensarci, ho continuato a riempire le pagine fino a rendermi conto che stava nascendo un romanzo.
5. Quanto ha influito nella sua formazione letteraria il contesto sociale nel quale vive o ha vissuto?
Molto, anzi in maniera determinante. Da adolescente trascorrevo le ore esplorando la nutrita libreria paterna, a scuola seguivo con interesse le lezioni di letteratura e mi procuravo i libri di quasi tutti gli autori che studiavo (italiani, latini e greci ma anche inglesi o francesi), la sera con gli amici partecipavo ad interminabili discussioni culturali. In effetti ci sentivamo, con molta presunzione, gli "intellettuali" degli ambienti frequentati e tale atteggiamento doveva accompagnarci fino al momento di confrontare le nostre idee con la realtà sociale, la vera dimensione e non quella ipotizzata nei nostri sterili ed eruditi discorsi. L'esperienza del ’68 (non di quello violento, beninteso) ha finito di formarmi.
6. Scrivere è una evasione dalla realtà o un modo per raccontare la realtà?
Non è certo una evasione dalla realtà perché nei miei romanzi non c'è mai il tentativo di disconoscerne il valore né la volontà di contrapporla ad una dimensione diversa. Del resto, una visione catartica del mondo sarebbe contraria alle stesse finalità del libro che si propone soltanto di raccontare una storia di pura fantasia, ambientata in una realtà oggettiva della quale, però, non si vogliono e non si possono dare giudizi perché l'autore non ha inteso scrivere un saggio mascherato da romanzo.
7. Quanto di lei c’è in ciò che ha scritto?
Come in tutti i miei romanzi, il personaggio principale caratterizza i miei valori, esprime le mie idee e, in parte, riecheggia le mie esperienze. Il resto è pura fantasia.
8. C’è qualcuno che si è rilevato fondamentale per la stesura della sua opera?
Nessuno.
9. A chi ha fatto leggere per primo il romanzo?
A mia moglie Nadia, che è stata una collaboratrice severa ed accorta, correggendo i numerosi errori del manoscritto e fornendo, come ha fatto per le altre opere, una utile valutazione del romanzo.
10. Secondo lei il futuro della scrittura è l’e-book?
È difficile dirlo perché la società è cambiata. Certo che il fascino del libro stampato, quando lo si tiene in mano, si annusa il profumo di stampa, lo si cerca e lo si sfoglia nelle librerie, ci consente annotazioni e sottolineature per evidenziarne le parti ritenute più interessanti, si ripone con cura sullo scaffale con la riserva di riprenderlo, sono tutte emozioni che un e-book non può dare e che probabilmente rende i fruitori del libro elettronico esposti ad una difficile simbiosi con l'autore ed alla possibile identificazione dell'opera con un semplice e mero prodotto del computer.
11. Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
Tutto il male possibile. Ci fa sentire come bambini che ascoltano una favola dalla mamma prima di dormire, solo che in quel caso il bambino, anche se non sa leggere, ha pur sempre un libro di favole da sfogliare.