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27 Giu
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Intervista all'autore - Salvatore Panza -

Ci parli un po' di Lei, della Sua vita. Da dove viene? Come e quando ha deciso di diventare scrittore?
Sono nato in Calabria, a Cosenza. Fin da piccolo ho avuto una grande passione per le storie. Diventare scrittore non è stata una scelta, bensì una necessità.
Durante il covid iniziai a scrivere quasi come per evadere da qual momento angusto e incerto in cui versava l’intera umanità. Oggi ho scelto di mettermi in gioco, di prendere sul serio quella voce interiore che mi spingeva a raccontare. Il libro che ho pubblicato nasce proprio da quella urgenza di comunicare, di condividere emozioni e domande con i lettori.
 
Nell’arco della giornata qual è il momento che dedica alla scrittura?
Non esiste un momento preciso in cui inizio a scrivere, creare, inventare. Esiste il momento in cui arriva l’ispirazione. Personalmente, arriva dal nulla. L’idea può arrivare in qualsiasi momento, ed è in quel momento che bisogna scriverla. Durante la stesura del mio romanzo ho capito che un’idea non scritta è un ‘idea persa (o comunque profondamente diversa da com’era in principio).
 
Il suo autore contemporaneo preferito?
Il mio autore contemporaneo preferito è Stephen King. Amo il modo in cui riesce a unire suspense e introspezione nei suoi romanzi. Sa raccontare le paure più profonde con una scrittura che rimane sempre coinvolgente e lucida. Al di là della fama legata all’horror, ciò che mi colpisce davvero della sua scrittura è la capacità di scavare nell’animo umano, di rendere reali e credibili anche le situazioni più surreali. I suoi personaggi sono sempre vivi, fragili, complessi. Mi affascina come riesca a trasformare la paura — non solo quella soprannaturale, ma anche quella quotidiana — in uno specchio per riflettere sulle nostre emozioni più intime. King mi ha insegnato che dietro ogni storia c’è sempre una verità nascosta e una apparente oltre a quella oggettiva.
 
Perché è nata la sua opera?
Scrivere questo libro è stato, per me, un modo per esplorare domande che non avevano risposte semplici, per dare forma a emozioni complesse. Più che raccontare una storia, sentivo il bisogno di condividere una verità emotiva, qualcosa che potesse risuonare anche in chi legge.
Dare una visione, uno squarcio, senza diventare pesante o ridondante su temi scomodi e poco trattati come la vita nelle carceri e la depressione. Anche se quello che spesso ci porta all’autodistruzione (come umanità) è quell’oggetto inanimato, che in natura non esiste. Noi stessi lo abbiamo creato. E alla fine ci si è rivoltato contro, ne siamo diventati schiavi, succubi, dipendenti: il denaro.
 
Quanto ha influito nella sua formazione letteraria il contesto sociale nel quale vive o ha vissuto?
Il contesto sociale in cui sono cresciuto ha avuto un peso fondamentale nella mia formazione letteraria. Osservare le dinamiche del potere, le disuguaglianze, l’ossessione per il denaro e lo status mi ha portato a interrogarmi fin da quando ero molto piccolo su cosa significhi davvero ‘riuscire’ nella vita.
Vivere in una società dove l’apparenza spesso vale più della sostanza mi ha spinto a cercare, attraverso la scrittura e la lettura, una verità più profonda.
 
Scrivere è una evasione dalla realtà o un modo per raccontare la realtà?
La scrittura mi permette di raccontare ciò che spesso la realtà nasconde dietro maschere sociali. Posso spingermi oltre la cronaca dei fatti per toccare verità più sottili: emozioni, contraddizioni, ferite.
Quindi sì, scrivere è un modo per allontanarmi dalla superficialità del mondo. Ma solo per ascoltarlo meglio e restituirlo, magari, più comprensibile, più umano.
 
Quanto di lei c’è in ciò che ha scritto?
Molto, come credo capiti per tutti gli altri scrittori. O per la maggior parte.
Penso che ogni opera contenga al suo interno una piccola parte del suo autore, indipendentemente dal fatto che essa sia un libro, un disco o un dipinto. Succede come quando si trova quella canzone che ascolti tante volte al giorno. Chi l'ha scritta ha messo un pezzo di sé in quel testo. E se in te scatena delle emozioni, ora hai un pezzo di un'altra persona in te. Che in quel momento stai amando. Un po’ come quando si sovrascrive sopra un disco.
 
C’è qualcuno che si è rivelato fondamentale per la stesura della sua opera?
Sicuramente tutte le persone a cui sono ispirati alcuni personaggi. Uno su tutti, Margaret.
 
A chi ha fatto leggere per primo il romanzo?
Alla mia collega Federica. Sentivo il bisogno di uno sguardo onesto, non per essere rassicurato, ma per capire se quello che avevo scritto arrivava davvero.
Quel primo confronto è stato fondamentale: non cercavo approvazione, ma verità. E a volte, la verità arriva proprio da chi ti conosce abbastanza da non mentirti.
 
Secondo lei il futuro della scrittura è l’ebook?
L’ebook fa ormai parte del presente della scrittura, più che del futuro. Ha reso la lettura più accessibile, più veloce, più leggera in senso pratico. Ma non credo che sostituirà del tutto il libro cartaceo. La carta ha un valore simbolico, sensoriale ed emotivo che l’e-book non può replicare: aprire un libro, sentirne l’odore, sottolineare una frase a penna sono gesti che creano un legame fisico con il libro stesso. Il cartaceo non potrà mai essere sostituito.
 
Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
Credo che l’audiolibro sia una nuova frontiera interessante e potente. Restituisce alla narrazione un aspetto antico: quello orale, fatto di voce, ritmo e ascolto. In un mondo dove il tempo sembra sempre meno, l’audiolibro permette di portare le storie con sé mentre si svolgono altre attività.
Non credo che sostituisca la lettura, ma la affianca

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