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BookSprint Edizioni Blog

12 Mag
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Intervista all'autore - Alice Bianchi -

Ci parli un po' di Lei, della Sua vita. Da dove viene? Come e quando ha deciso di diventare scrittrice?
Per rispondere alla domanda "Da dove vieni?", inizierei raccontando qualcosa del contesto in cui sono cresciuta.
Nata e sempre vissuta a Milano, ho avuto la fortuna di trovarmi immersa in una città piena di opportunità, fatta di enormi realtà e, al tempo stesso, di piccoli spazi intimi. Una città che insegna a osservare il mondo da prospettive diverse. La mia famiglia è sempre stata molto supportiva, un elemento fondamentale per chi sceglie di seguire una passione che, all'inizio, sembra solo un sogno lontano. Vivere a Milano mi ha dato la possibilità di confrontarmi con tante esperienze, tra la frenesia della città e la calma delle vacanze trascorse in luoghi più raccolti, dove tutto sembrava rallentare. Questa alternanza di ambienti ha profondamente influenzato il mio modo di vivere e di percepire ciò che mi circonda.
Per quanto riguarda la decisione di diventare scrittrice, anche questa è nata raccontando. Dopo aver accumulato pagine e pagine di storie, riflessioni e piccoli universi, è arrivato il momento in cui guardare i miei lavori finiti non mi bastava più. Ho sentito il bisogno di dare loro una vita oltre il foglio, di condividerli. La scrittura, per me, non è mai stata solo un esercizio: è emozione pura, un ponte tra quello che vivo dentro e ciò che può arrivare agli altri. È stato questo desiderio di trasmettere emozioni, di far viaggiare le parole oltre me, che mi ha portato a scegliere consapevolmente la strada della scrittura.
 
Nell’arco della giornata qual è il momento che dedica alla scrittura?
Nell'arco della giornata, ogni momento può essere quello giusto per dedicarmi alla scrittura. Ciò che cambia, di volta in volta, è il metodo e l’atmosfera in cui mi immergo. Spesso mi piace rifugiarmi nei bar, con una tazza di ginseng fumante e un bicchiere d'acqua frizzante al mio fianco: sistemo il tablet, collego la tastiera, e da lì tutto diventa un flusso naturale, quasi spontaneo, come se le parole sapessero già dove andare. Altre volte, invece, preferisco il silenzio della sera tardi, quando la casa si spegne e resta solo la luce blu del computer a rischiarare la stanza. In quei momenti la scrittura assume un'intimità diversa, più raccolta, quasi segreta.
Tuttavia, il momento e il luogo che più amo in assoluto sono i pomeriggi in montagna. Seduta su una panchina o per terra, tra gli alberi di una pineta, con l'aria fresca che profuma di resina e il suono del vento tra i rami, la scrittura diventa qualcosa di ancora più profondo. È lì che le parole sembrano nascere direttamente dal cuore.
 
Il suo autore contemporaneo preferito?
Senza ombra di dubbio, il mio autore contemporaneo preferito è Thomas Harris. Non è solo questione di stile o di trame ben costruite: è il modo in cui riesce a farti entrare nella mente dei suoi personaggi, a farti vivere dentro di loro, che mi affascina ogni volta. Quando leggo Harris, non sto semplicemente seguendo una storia: sto respirando l’aria che respirano i suoi protagonisti, sentendo le stesse inquietudini, le stesse emozioni.
La saga di Hannibal, in particolare, è qualcosa che mi ha lasciato un segno profondo. Harris ha questo talento raro di raccontare l'orrore senza mai renderlo volgare o gratuito. Hannibal Lecter è un personaggio complesso, affascinante e terribile allo stesso tempo, e Harris lo costruisce con una cura incredibile: ogni dettaglio, ogni pensiero non detto, ogni sfumatura dell'anima viene dosata con una precisione quasi chirurgica.
Amo il suo metodo di scrittura perché non ti dà mai tutto e subito. Ti fa entrare piano, ti avvolge, ti fa scoprire pezzo dopo pezzo i lati più nascosti dei suoi personaggi. E alla fine ti rendi conto che non sei solo spettatore: sei diventato parte di quel mondo, un po’ complice, un po’ vittima. È una sensazione unica, ed è per questo che Harris rimane il mio riferimento più forte.
 
Perché è nata la sua opera?
La mia opera è nata in modo molto spontaneo, quasi per gioco. Tutto è cominciato durante un pomeriggio passato con il mio migliore amico, Leonardo. Stavamo sfidandoci a creare dei personaggi, partendo da una parola chiave che avrebbe guidato tutto: "circo". È stato un processo creativo leggero e divertente, pieno di idee che si rincorrevano senza troppi schemi. Leonardo diede vita a Faust, mentre io creai Angus, costruendoli prima di tutto a livello estetico, immaginandone l’aspetto, le espressioni, i colori.
Quello che era iniziato come un semplice gioco si è trasformato, poco a poco, in qualcosa di molto più grande. I personaggi hanno cominciato a prendere vita propria, a raccontarmi le loro storie. È stato in quel momento che ho capito che non potevo lasciarli lì, incompiuti: dovevo raccontarli, scrivere di loro. Così è nato il mio libro, da un momento di condivisione e fantasia pura.
 
Quanto ha influito nella sua formazione letteraria il contesto sociale nel quale vive o ha vissuto?
Il contesto sociale in cui sono cresciuta ha influito moltissimo sulla mia formazione letteraria. Sono sempre vissuta immersa nella lettura e nella cultura, in un ambiente in cui la curiosità e la conoscenza erano valori fondamentali. Mio padre ha una grande passione per la storia, una passione che mi ha trasmesso fin da piccola, raccontandomi eventi, personaggi e aneddoti che hanno alimentato in me il desiderio di conoscere e approfondire.
Anche mia madre ha avuto un ruolo importantissimo nel mio percorso: avendo frequentato il liceo classico e poi l'università, è stata per me una fonte continua di ispirazione. È grazie a lei se ho deciso di intraprendere il percorso di studi che sto seguendo oggi. La loro influenza non si è limitata all'ambito scolastico: è stata una presenza quotidiana, fatta di libri sparsi per casa, discussioni appassionate, stimoli costanti.
Tutto questo ha creato in me non solo l'amore per la lettura e la scrittura, ma anche un modo particolare di osservare il mondo, sempre alla ricerca di storie, di significati nascosti, di connessioni profonde tra ciò che viviamo e ciò che raccontiamo.
 
Scrivere è una evasione dalla realtà o un modo per raccontare la realtà?
Per me scrivere è entrambe le cose: un'evasione dalla realtà e, allo stesso tempo, un modo per raccontarla. Uno non esclude l'altro, anzi, convivono in modo naturale. Nei miei libri mi piace raccontarmi, ma anche celarmi, nascondermi tra le righe. È qualcosa che nasce spontaneamente, senza una vera scelta consapevole.
Sinceramente, non credo saprei scrivere esclusivamente per evadere dalla realtà, così come non riuscirei a raccontarla in modo totalmente oggettivo. Un'emozione, ad esempio, è parte della realtà, e quando la si descrive, si porta inevitabilmente con sé una parte di verità. Allo stesso tempo, ogni emozione trasforma, filtra, colora ciò che raccontiamo, rendendo impossibile rimanere completamente ancorati all'oggettività.
Per questo, l’idea di scrivere solo per evadere o solo per documentare la realtà non mi appartiene: la scrittura, per me, è il punto di incontro tra ciò che viviamo e ciò che immaginiamo.
 
Quanto di lei c’è in ciò che ha scritto?
C'è molto di me in ciò che ho scritto. Come dicevo anche nella risposta precedente, mi piace sia espormi sia celarmi tra le righe. Scrivere per me è un modo per raccontarmi senza farlo mai del tutto apertamente, lasciando che chi legge possa intravedere pezzi di me senza mai avere un quadro completo. Proprio per questo motivo, preferisco lasciare ai lettori il dubbio e il piacere di cercare di capire quanto e come questo equilibrio tra esposizione e mistero sia bilanciato nelle mie storie.
 
C’è qualcuno che si è rivelato fondamentale per la stesura della sua opera?
Senza alcun dubbio, Leonardo. Il mio migliore amico, abbiamo una relazione spesso travagliata, ma quello che mi piace è che troviamo sempre il modo di andare avanti insieme.
 
A chi ha fatto leggere per primo il romanzo?
La prima persona a cui ho fatto leggere il romanzo è stata Leonardo. Mi sembrava doveroso che fosse lui il primo a conoscere le avventure del personaggio che aveva creato. Inoltre, c'è un aspetto molto personale che ha influito su questa scelta: sono estremamente materna con i miei personaggi. Li considero quasi come delle creature vive, che crescono e si evolvono pagina dopo pagina.
Condividere con Leonardo la soddisfazione di vederli "cresciuti" è stato naturale, quasi necessario. Era come chiudere un cerchio: da quel pomeriggio in cui li abbiamo immaginati insieme fino al momento in cui sono diventati protagonisti di una storia vera e propria.
 
Secondo lei il futuro della scrittura è l’ebook?
Purtroppo, credo che il futuro della scrittura sia legato all'ebook. È un'era digitale, e la tecnologia offre vantaggi che, in qualche modo, sembrano inevitabili. Tuttavia, rimango di parte: il mio cuore è legato al cartaceo. Non c'è niente di più bello che tenere un libro tra le mani, sentire il profumo della carta e il suono delle pagine che si sfogliano. Per me, il cartaceo rappresenta qualcosa di tangibile, di fisico, che un ebook non potrà mai sostituire completamente.
 
Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
Penso che l’audiolibro rappresenti una bellissima opportunità, soprattutto quando lo si considera dal punto di vista dell’inclusività. È un mezzo che apre la porta alla lettura a chi, per motivi di disabilità visive o difficoltà legate alla vista, non avrebbe accesso ai libri tradizionali. Ma non solo: gli audiolibri offrono anche una nuova modalità di fruizione per chi ha uno stile di vita frenetico, permettendo di "leggere" mentre si è in movimento, che si tratti di pendolari, viaggiatori o semplicemente di chi preferisce ascoltare una storia piuttosto che leggerla. È un’evoluzione che arricchisce il panorama della lettura, senza però toglierne il fascino e la magia del formato cartaceo.

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