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08 Ago
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Intervista all'autore - Mariano Acquaviva

1. Che cos’è per Lei scrivere, quali emozioni prova?
«È buffo come i colori del vero mondo diventano veramente veri soltanto quando uno li vede sullo schermo», diceva il protagonista di un noto film di Kubrick. Potrei dire lo stesso della scrittura: è strano come i sentimenti e le emozioni diventino reali nel momento in cui li si mette per iscritto.
Scrivere per me è il momento in cui confrontarsi e rappacificarsi con se stessi. Una catarsi, insomma.
 
2. Quanto della sua vita reale è presente in questo libro?
Direi poco, anche se nell'opera ho fatto affluire le tematiche che mi sono più care: su tutte, l'incapacità di stringere un legame affettivo e l'ingiustificato senso di colpa come un peccato originale da scontare.
 
3. Riassuma in poche parole cosa ha significato per Lei scrivere quest’opera.
Scrivere il mio primo romanzo ha significato esprimere in modo profondo alcuni pensieri che non sarebbero traducibili diversamente.
Ad un certo punto dell'opera, però, devo ammettere di essermi fermato e di aver pensato che i miei personaggi si fossero sganciati da me e avessero cominciato a vivere di vita propria. Un'emozione indescrivibile!
 
4. La scelta del titolo è stata semplice o ha combattuto con se stesso per deciderlo tra varie alternative?
La scelta è stata piuttosto semplice, visto che avevo in mente sin dall'inizio la struttura dell'opera e il suo finale. Penso che il titolo sia appropriato, nel senso che renda al lettore l'idea del romanzo: si tratta di una storia (non un'opera di grandi dimensioni, quindi) che parla di una persona che ritiene di dover scontare una colpa.
 
5. In un’ipotetica isola deserta, quale libro vorrebbe con sé? O quale scrittore? Perché?
Un romanzo di Dostoevskij, il mio autore preferito. In alternativa, uno di Hugo, tipo “L'uomo che ride” o “Notre Dame de Paris”.
 
6. Ebook o cartaceo?
Cartaceo, ma ho letto diversi ebook. Basti pensare che ho letto in formato digitale due opere grandiose (anche per dimensioni) come “Guerra e Pace” e “I miserabili”.
 
7. Quando e perché ha deciso di intraprendere la carriera di scrittore?
Non posso dire che si tratti di una carriera, visto che la mia professione è un'altra. Mi piacerebbe molto, però, continuare a scrivere: ho già altri due progetti nel cassetto.
 
8. Come nasce l’idea di questo libro? Ci racconterebbe un aneddoto legato alla scrittura di questo romanzo?
Riflettevo da tempo sull'idea di scrivere qualcosa di compiuto, un'opera che potesse definirsi un romanzo vero e proprio. L'idea iniziale mi è giunta da un passo della Bibbia, ove si dice che Dio punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione. Un po' quello che accade al protagonista del mio romanzo.
Se dovessi raccontare un aneddoto, sarebbe questo: l'intera opera è stata scritta a mano, prima su fogli separati e poi su un quaderno, corredata delle raffigurazioni dei principali personaggi. Solo successivamente ho provveduto a trascrivere tutto al computer. Un lavoro immane!
 
9. Cosa si prova a vedere il proprio lavoro prendere corpo e diventare un libro?
Si tratta senza dubbio di una grande soddisfazione. Tuttavia, sono ben consapevole che si tratta solamente di una prima opera e che, per essere considerati scrittori, ci vuole ben altro.
 
10. Chi è stata la prima persona che ha letto il suo libro?
Ho sottoposto la mia opera all'attenzione di alcuni amici: dubito l'abbiano mai letta!
 
11. Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
Darwin diceva che la specie che sopravvive è quella che è in grado di adattarsi e di adeguarsi meglio ai cambiamenti dell'ambiente in cui si trova; condivido il pensiero, anche se l'audiolibro mi sembra un modo un po' "pigro" di approcciarsi alla letteratura.
 
 
 
 

 

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