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BookSprint Edizioni Blog

19 Dic
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Intervista all'autore - Max Bruno

1. Che cos’è per Lei scrivere, quali emozioni prova?

Scrivere è raccontarti attraverso le cose che vedi, che senti; arrivare a poter rendere leggibile e quindi fruibile dagli altri ciò che riesci a decifrare.



2. Quanto della sua vita reale è presente in questo libro?

Tutte le storie, passando come un fascio di luce attraverso quel cristallo che è l'animo di chi le racconta, vengono rifratte e poi scomposte in uno spettro di colori. All'interno della loro gamma ho scelto le sfumature corrispondenti al colore delle lenti attraverso le quali da sempre sono abituato ad osservare le cose della vita. Se volessimo scendere più nel pratico allora parlerei, forse, di una certa mia ansia inappagata... di una certa tendenza a specchiarmi un po' nelle cose...




3. Riassuma in poche parole cosa ha significato per Lei scrivere quest’opera.

Innanzitutto, un po' come risolvere un complesso problema algebrico. Poi, però, anche come scrivere la sceneggiatura di un film avendo già ben impresso in mente il volto e il modo di recitare dell'attore protagonista.



4. La scelta del titolo è stata semplice o ha combattuto con se stesso per deciderlo tra varie alternative?

Chissà se un altro titolo sarebbe potuto apparire più pertinente. Le motivazioni che conducono alla sua scelta molte volte sono influenzate da altri aspetti che pescano nell'inconscio, in scorci di vita passata in suoni di voci o di parole, in particolari atmosfere... Il titolo di un libro porta sempre insieme a sé qualcosa di onirico.



5. In un’ipotetica isola deserta, quale libro vorrebbe con sé? O quale scrittore? Perché?

Penso proprio che rimpiangerei di non avere con me “Le città invisibili” di Calvino. È come se lo riscoprissi ogni volta che mi capita di riaprirlo per andare a rileggere qualcuna delle descrizioni delle sue cinquantacinque città. Ognuna di queste fa cogliere uno scorcio che lascia sospesi in un'atmosfera temporale indefinita dove reale e irreale hanno la stessa valenza in una successione che non segue un filo logico ma che si disperde in una rete entro la quale riesco a intraprendere percorsi sempre nuovi. Il tutto circondato da un'atmosfera fiabesca e desolata. Sarebbe perfetto per meditare su quell'isola...



6. E-book o cartaceo?

Senza ombra di dubbio cartaceo per la mia scarsa capacità di supportare a lungo l'impatto visivo di uno schermo luminoso. Trovo, però, ammesso che ne fossi capace, che mai potrei rinunciare all'emozione di portare appresso la fisicità del libro: il poter toccare con mano una storia, viverne lo spessore figurato assieme a quello reale delle pagine già lette e ancora da leggere, usare come segnalibro una vecchia foto, una matita con la quale sottolineare... poter custodire, tra le sue pagine, anche una foglia...un fiore.



7. Quando e perché ha deciso di intraprendere la carriera di scrittore?

Ho sempre avuto l'abitudine di annotare spunti o frasi che mi arrivavano da dentro o da fuori. Per delle fortuite congiunzioni, poi, si è presentata l'occasione per liberarle dalla gabbia di ciò che poteva somigliare ad una raccolta di aneddoti o di aforismi.



8. Come nasce l’idea di questo libro? Ci racconterebbe un aneddoto legato alla scrittura di questo romanzo?

Dalla memoria di storie legate alla guerra guerreggiata e non solo, tramandate oralmente, poi, anche per iscritto, da mio padre e transitate lungo le stagioni dell'infanzia sotto forma di nebulosi fantastici sogni popolati dalla magia della sua figura e da tutte le altre che, indistinte, si muovevano all'interno di visioni misteriose e sfuggenti proprie di quell'età. Queste storie sono, via via, negli anni, approdate in forme e pensieri collocati all'interno di scenari finalmente divenuti realistici ma al cui interno, tuttavia, residuava ancora la scia di quella lontana componente onirica. Mi chiedete di raccontarvi un aneddoto legato a questo mio romanzo? Potrebbe essere questo: arrivato a un crocevia in cui dover scegliere la direzione lungo la quale condurre i vari personaggi ed indeciso sul da farsi, ho sentito il bisogno di poterli vedere, intendo proprio guardare in faccia e, assieme ad essi, approfondire anche gli scenari all'interno dei quali essi si muovevano. Ho preso dunque la matita e mi son messo a disegnare “ricostruendo” volti, luoghi e stati d'animo senza impormi limiti temporali. Questa pausa di riflessione, necessaria, per la verità, anche per il sopravvenire di altri impegni è durata mesi. È stato, poi, alla fine, come se quelle storie fossero uscite dalla nebbia ed il loro definitivo emergere avesse schiarito anche le nebbie dei miei ultimi dubbi ed incertezze.



9. Cosa si prova a vedere il proprio lavoro prendere corpo e diventare un libro?

L'ho detto prima, scrivere un libro mi è parso quasi come svolgere e poi, pian piano, arrivare a risolvere un compito di matematica dove i dati presenti nell'ipotesi dalla quale ero partito dovevano essere inseriti in un procedimento analitico complesso prima che il groviglio di dati si snellisse, via via, fino a giungere alla risoluzione. Alla fine la soddisfazione ed anche il sollievo sono quasi risultati gli stessi che avevo sperimentato (troppi anni fa) dopo la temutissima prova di matematica della maturità scientifica anche se, questa volta, non dovevo misurarmi anche con il tempo che, in quell'occasione, scorreva via veloce.



10. Chi è stata la prima persona che ha letto il suo libro?

Martina. Una persona alla quale mi lega una storia molto delicata e particolare ed alla quale ho voluto affidare la bozza del mio libro per avere da lei conferma che tutto quanto avevo scritto potesse avere un senso e non solo per ciò che riguardava stile e sintassi.



11. Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?

Il termine frontiera lo vedrei più aderente ad una spinta per ragioni commerciali, espressione di una scelta venuta dall'alto. Mi sembra comunque un'ottima soluzione per persone private, per i più diversi motivi, della possibilità di leggerlo o di sfogliarlo un libro. Leggere un libro apre la mente anche perché, oltre ai volti ed agli scenari, ci si appropria delle voci, delle pause, dei tempi... anche per questo si rimane spesso delusi quando si va a vedere il film tratto dal romanzo che ci era tanto piaciuto.

 

 

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