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19 Dic
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Intervista all'autore - Sergio Verger

1. Ci parli un po' di Lei, della Sua vita. Da dove viene? Come e quando ha deciso di diventare scrittore?

Sono nato a Parma, ma i miei si sono trasferiti a Roma, per via del lavoro di mio padre. Ho quindi effettuato qui i miei studi ed è qui che ancora risiedo. Per la verità non ho deciso di diventare scrittore, anche se ho trovato il tempo per leggere romanzi del genere poliziesco, thriller e di spionaggio. In questo hanno contribuito molto i film del genere, iniziati proprio negli anni sessanta con le serie di James Bond di Fleming. Ho iniziato ad immaginare la prima storia quasi all'improvviso ed ho constatato che riuscivo a sviluppare la trama agevolmente. Naturalmente la parte difficile sta nel confezionare le azioni e i tempi nel modo corretto. Quella è veramente la parte più difficile.




2. Nell’arco della giornata qual è il momento che dedica alla scrittura?

Non c'è un momento particolare, anche se preferisco mettermi al computer la mattina. Ma quando sto svolgendo una parte del romanzo che ritengo essenziale, va bene qualsiasi ora.



3. Il suo autore contemporaneo preferito?

Come preferenze ve ne sono almeno tre sullo stesso livello: John Le Carre', Fleming ed ora sto scoprendo Robert Ludlum.



4. Perché è nata la sua opera?

Soprattutto vedendo i film del genere che più mi attraggono dove si intrecciano avvenimenti storici realmente accaduti con la vita di persone che, volenti o no, si sono trovate in quei contesti molto spesso tragici.



5. Quanto ha influito nella sua formazione letteraria il contesto sociale nel quale vive o ha vissuto?

Come formazione scolastica ho fatto studi tecnici, quindi ragioneria e tecnica bancaria, ma le materie letterarie erano le mie preferite. Ricordo che seguivo con interesse L'Iliade e L'Odissea che, per la maggior parte dei miei compagni, erano di una noia mortale. Ma c'era bisogno di prendere un diploma.



6. Scrivere è una evasione dalla realtà o un modo per raccontare la realtà?

Un po' tutte e due le cose, però considero che sia un modo per raccontare la realtà. Sia nei polizieschi che negli spy thriller si raccolgono storie che la realtà ha già partorito. È il famoso pensiero che, a volte, la realtà supera la fantasia.



7. Quanto di lei c’è in ciò che ha scritto?

Scrivendo e descrivendo un personaggio non si può fare a meno di immedesimarsi in lui e nel suo modo di agire, di pensare o di amare una donna.



8. C’è qualcuno che si è rilevato fondamentale per la stesura della sua opera?

Per la verità nessuno. Come già detto, il mio primo romanzo, "Diamanti avvelenati", l'ho ideato quasi per caso, pensando ad una situazione paradossale. Una volta iniziato, sono andato avanti vedendo con l'immaginazione lo svolgersi dei fatti.



9. A chi ha fatto leggere per primo il romanzo?

Le prime a leggere il mio primo romanzo sono state mia moglie e mia figlia.



10. Secondo lei il futuro della scrittura è l’e-book?

Penso che l'avanzare così impetuoso della tecnologia possa significare l'avvento dell'e-book, ma credo che, leggere un romanzo sfogliando le pagine di carta (soprattutto riciclata), dia una soddisfazione che l'e-book non può dare. Certo parlo per quelli della mia generazione, ma ritengo che anche molti giovani la pensino così.



11. Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?

Credo che questa sia un'interessante innovazione a tutti i livelli.  


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