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07 Nov
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Intervista all'autore - Alex Giuffrida

1. Ci parli un po' di Lei, della Sua vita. Da dove viene? Come e quando ha deciso di diventare scrittore?

Vengo da una bellissima provincia siciliana: Siracusa, una ex-capitale della Magna Grecia. Fin dalla prima infanzia (periodo che non è lontanissimo dai tempi attuali) mi diletto a scrivere cose assurde sognando di essere annoverato tra i più grandi scrittori (forse sembra un capriccio da bambino viziato più che un'ambizione). Non è l'unico sogno che ho, ne ho tanti altri. Ciò che motiva i miei sogni è l'insieme di problemi e di esperienze che mi sono ritrovato ad affrontare. La mia vita è sempre stata difficile a causa della mia povertà e dei conflitti interiori e interpersonali che affliggono troppo spesso tutti coloro che mi stanno intorno. Sono molto sensibile e anche molto emotivo, sebbene nella fase adolescenziale la mia emotività sia stata sostituita da un tormento tanto invisibile quanto dannoso, forse per vergogna e mancanza di autostima.

Così assorbo sempre più negatività e ho spesso il bisogno di scrivere e lanciare un grido d'aiuto. La mia solitudine è davvero molto frequente. Ma sono tutt'altro che asociale: infatti amo le persone e tutte le diverse sfumature caratteriali, sebbene io non mi ritrovi nella filosofia di coloro che esaltano e utilizzano con piacere il loro lato oscuro. Non mi ritengo ancora uno scrittore, sono troppo incompetente. Direi "ignorante". Spero che questa vita mi aiuti ad approfondire ciò per cui sono portato, riuscendo a salvarmi dalla fame, dalle cattiverie di certa gente e dalle insicurezze.



2. Nell’arco della giornata qual è il momento che dedica alla scrittura?

Non scrivo quasi mai, né ho il piacere di leggere frequentemente, purtroppo. Il libro (che amo chiamare "esperimento letterario") l'ho pubblicato durante i 7 mesi di social black-out. Non avevo più i soldi per ricaricare la chiavetta Internet. Non avevo modo di curare i miei rapporti virtuali su Facebook e ho realizzato improvvisamente che non avevo nessuno. A quel punto ho avuto il dannato bisogno di liberarmi di ogni emozione e dopo qualche idea ho cominciato a scrivere la mia vendetta cartacea. Ce l'avevo a morte con il mondo intero e con i miei lati oscuri, mi fidavo solo della mia luce interiore. Ma ormai era sempre più debole, sempre più fioca. Da qui nasce il mio libro.



3. Il suo autore contemporaneo preferito?

Suzanne Collins. Ci ha regalato una profezia veritiera e allo stesso tempo ha creato capolavori appassionanti con la saga "The Hunger Games".



4. Perché è nata la sua opera?

Perché la mia mente era così sconvolta e disperata da richiedere la continuazione del triste e scorrevole racconto, senza sosta; era come se io stesso volessi sapere cosa sarebbe successo nel mio mondo interiore. Dopo qualche giorno di vuoto, dovevo per forza ricominciare a scrivere. Di solito tutto quello che inizio si interrompe quasi subito. Solitamente perdo l'interesse e la concentrazione dopo poche pagine; mi succede qualcosa di seccante e torno subito alla vita di tutti i giorni, tra disagi e malinconie.



5. Quanto ha influito nella sua formazione letteraria il contesto sociale nel quale vive o ha vissuto?

Circa tanto così: 68 % contesto e storia della mia vita, 30 % fantasia ,2 % competenze letterarie.



6. Scrivere è una evasione dalla realtà o un modo per raccontare la realtà?

Può essere entrambe le cose; la scrittura, così come l'arte in generale, è uno strumento molto efficace e ha la funzione di dare al mondo e a noi stessi ciò che manca. Che proponga una fuga dalla realtà o la racconti così com'è, nuda e cruda, non è che cambi poi molto. È pur sempre una forma di ribellione. Un libro del tutto felice non credo possa esistere; c'è sempre qualcosa da aggiustare in questa vita e non si può essere indifferenti davanti a tutto quel male. Quando si nota che qualcosa non va bene si cerca generalmente di risolvere il problema, oppure si cerca di fuggire, se nel frattempo non si diventa schiavi dei propri lati oscuri. È così anche nella scrittura. Io credo che gli horror siano un grande sintomo di disagio. I thriller mostrano la meschinità (non caratteristica ma possibile) dell'essere umano, ma possono anche riflettere gli stessi lati oscuri dello scrittore. Sono convinto che parta tutto da processi e problematiche che coinvolgono la psiche. Almeno nella maggior parte dei libri (in quelli che hanno senso). Se si scrive solo per conquistare il pubblico, come ho spesso cercato di fare da bambino, non ne verrà fuori nulla. Credo inoltre che non si debba fare niente nella vita, senza un motivo valido. 7. Quanto di lei c’è in ciò che ha scritto?

Non tutto, perché non mi conosco ancora molto bene, ma sicuramente una buona parte di me.



8. C’è qualcuno che si è rilevato fondamentale per la stesura della sua opera?

Mio nonno mi ha fatto un regalo da sogno, che però non mi ha cambiato la vita. Attualmente le mie condizioni di vita sono abbastanza scadenti, però riconosco che potrebbe andarmi peggio: potrei vivere nel terzo mondo o essere già morto. Eppure qualcosa in me continua a urlare, dal profondo. C'è una parte di me che vuole assolutamente essere ascoltata e lanciare un messaggio; voglio essere utile per il resto del mondo e rimanere nei ricordi delle persone anche dopo la mia morte. Succederà, un giorno. Bisogna pensarci. Cosa darò, cosa lascerò al mondo, quando di me non resterà che qualche foto ingiallita?



9. A chi ha fatto leggere per primo il romanzo?

Beh, a mio nonno. Gli è piaciuto e ha deciso di aiutarmi e di finanziare la pubblicazione.



10. Secondo lei il futuro della scrittura è l’e-book?

No. Il futuro della scrittura è la sua morte, la sua fine (speriamo temporanea), come per tutto quello che è stato creato dall'uomo. Il mondo è sempre più corrotto, tutto si corrompe come a causa di una malattia che si diffonde a macchia d'olio. Questa tragedia potrebbe avvenire in un LONTANO futuro (e sarebbe meglio così), ma state certi che avverrà.



11. Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?

Carina come idea, se il libro è ben interpretato. Credo che leggere un'opera ad alta voce sia un'enorme responsabilità. Ma non ci può essere posto per l'improvvisazione, anche se ciò avviene con un impercettibile cambiamento delle parole, anche se fatto per errore. Se lo si deve proporre ad alta voce, si dev'essere prima di tutto all'altezza di tale responsabilità e poi si deve avere rispetto per ciascuna parola. Le parole sono sacre.



 

 

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Sabato, 07 Novembre 2015 | di @BookSprint Edizioni

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