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12 Set
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Intervista all'autore - Paola Urso -

Che cos’è per Lei scrivere, quali emozioni prova?
Scrivere, per me, è molto più che mettere insieme parole. È un gesto antico, quasi rituale. È come sedermi davanti a una parte di me che ho dimenticato e chiederle di raccontarsi.
In NeuroAlchimia, la scrittura è diventata un laboratorio dell’anima: ogni frase che nasceva portava con sé una vibrazione, una memoria, una verità che non avevo ancora avuto il coraggio di dire.
Scrivere è anche attraversare un piccolo dolore, ogni volta. Perché per dire qualcosa di autentico, devi prima svuotarti, stare zitta, aspettare che qualcosa più grande di te si manifesti. E poi arriva quel momento – raro ma reale – in cui le parole ti sorprendono. Ti superano. Non le hai più pensate tu… ti sono arrivate. Allora capisci che non stai solo scrivendo: ti stai ricordando chi sei, o chi sei stata prima che il mondo ti chiedesse di dimenticarlo.
L’emozione più forte? La vertigine. Quella sensazione che ogni parola possa cambiare qualcosa – non fuori, ma dentro. Come se scrivere fosse un modo per ritrovare casa in sé stessi
 
Quanto della sua vita reale è presente in questo libro?
Molto. Ma non nel senso di una cronaca o di un’autobiografia. Le esperienze che ho vissuto – le più difficili, quelle che ti cambiano davvero – non sono raccontate in modo diretto. Però ci sono. Sono diventate materia sottile, si sono trasformate in simboli, in scene oniriche, in passaggi nascosti tra le righe. Ogni dolore attraversato, ogni blocco che ho cercato di sciogliere, ogni piccola epifania che ha illuminato un momento buio… tutto ha trovato il modo di esprimersi nei personaggi, nei sogni, nelle visioni che abitano NeuroAlchimia.
Ma adesso, sinceramente, sento che questo libro non mi appartiene più. È nato dal mio cammino, sì, ma si è staccato da me. Ora è come una casa aperta: chi entra trova qualcosa di suo. Lo riconosce. È un territorio vivo, che ognuno può attraversare con il proprio passo, con il proprio dolore e la propria luce. E questo, forse, è il dono più grande della scrittura: vedere che una storia nata da te può diventare un ponte per altri.
 
Riassuma in poche parole cosa ha significato per Lei scrivere quest’opera.
È stato, davvero, un rito di seconda nascita. Non solo un processo creativo, ma una trasformazione interiore che mi ha chiesto sincerità, coraggio e una certa dose di resa. Scrivere NeuroAlchimia ha significato accettare di farmi attraversare da tutto ciò che avevo cercato per anni di mettere in ordine: frammenti, ferite, intuizioni, memorie sparse… e lasciare che fosse la scrittura a dare un senso a quel caos apparente.
Non è stato sempre facile. A volte scrivere questo libro è stato come camminare a occhi chiusi dentro di me, senza sapere cosa avrei trovato. Ma a ogni passo si apriva una via, e ogni parola tracciata era anche un atto di guarigione. Come se il passato, nel momento in cui prendeva forma nel racconto, smettesse di avere potere su di me e cominciasse invece a offrire strumenti agli altri.
A un certo punto mi sono accorta che non stavo solo scrivendo una storia. Stavo costruendo una mappa. Un percorso che, pur partendo dalla mia vita, era fatto per essere percorso da altri. E lì ho capito che NeuroAlchimia era più grande di me. Era nato per diventare casa, specchio e soglia per chiunque stesse cercando una via per tornare a sé stesso.
 
La scelta del titolo è stata semplice o ha combattuto con sé stessa per deciderlo tra varie alternative?
Ho lottato a lungo con il titolo. Ne ho scritti tanti su fogli sparsi, li ho provati sulla pelle, li ho ripetuti a voce alta per sentire se vibravano nel modo giusto… ma nessuno sembrava contenere davvero il cuore dell’opera. Mi sembravano sempre troppo piccoli, troppo razionali o, al contrario, troppo lontani dal linguaggio vivo che sentivo muoversi dentro il testo.
Poi, un giorno, mentre rileggevo alcune frasi scritte di getto, è emersa questa parola composta: NeuroAlchimia. Ed è stato come un click, un’intuizione netta. Ho capito che era lei. Non perché fosse "piacevole", ma perché era vera. Racchiude tutto ciò che il libro-corso cerca di fare: unire il sentire al sapere, la scienza all’esperienza, il cervello all’anima, la memoria personale al mistero collettivo.
È una parola che non esisteva, ma che adesso esiste. È diventata un portale, una soglia simbolica: chi la pronuncia sente che dentro ci sono due mondi che dialogano, finalmente, senza escludersi. NeuroAlchimia è per me questo: una scienza sacra che non cura dall’alto, ma accompagna da dentro. Una storia che apre sentieri. Una medicina che si riceve leggendo.
 
In un’ipotetica isola deserta, quale libro vorrebbe con sé? O quale scrittore? Perché?
Porterei con me Fernando Pessoa. Non un singolo libro – sarebbe impossibile sceglierne uno solo – ma la sua voce intera, sparsa nei frammenti, nei suoi mille volti, nei versi scritti a margine dell’esistenza. Pessoa è, per me, più di uno scrittore. È una presenza. Una coscienza che non pretende di avere risposte, ma ti accompagna a formulare domande che nessun altro osa.
Con lui, anche l’isolamento più profondo non sarebbe mai davvero solitudine. Perché lui porta con sé una folla silenziosa: de Campos, Soares, Reis… e tutti quegli altri nomi senza nome che parlano da dentro come sogni travestiti da pensieri. Pessoa ha quella qualità rara di farti sentire visto, anche quando sei smarrito. Non ti consola, non ti addolcisce la vita, ma ti risveglia. Ti fa accettare l’enigma dell’essere con una grazia spietata.
In un’isola deserta, non sarei sola: saremmo almeno in quattro o cinque. Tutti me, tutti lui. E tra un silenzio e l’altro, scriveremmo insieme una nuova pagina che nessuno ha mai letto.
 
Ebook o cartaceo?
Cartaceo, senza dubbio. NeuroAlchimia non è solo un libro da leggere, è un oggetto rituale, un compagno di percorso. Va toccato, sfogliato lentamente, va vissuto. Ci sono frasi che si devono sottolineare con una matita, altre da cerchiare più volte, altre ancora da lasciare sedimentare sul comodino come se potessero agire anche nel sonno. Il cartaceo ha un tempo diverso, più vicino al respiro. E ogni capitolo, nel libro, ha una vibrazione unica. Cambia la densità, cambia l’energia. Quando lo tieni tra le mani, senti che c’è qualcosa che pulsa.
L’ebook ha la sua utilità, certo. Ma per un libro come NeuroAlchimia, che è fatto per essere attraversato più volte, in diversi momenti della vita, il cartaceo è insostituibile. È come avere un amuleto, una bussola tangibile. Un oggetto che sa custodire non solo le parole scritte, ma anche le emozioni di chi legge. Un lettore può tornare su una pagina anni dopo e trovare ancora lì la traccia del suo cambiamento. E questo, un file non lo può offrire.
 
Quando e perché ha deciso di intraprendere la carriera di scrittrice?
In realtà, non c’è stato un momento preciso. Non ho mai detto a me stessa: “Adesso divento una scrittrice.” È successo. Lentamente, come accadono le cose vere. Ho sempre scritto, fin da bambina. Ma per molto tempo ho tenuto tutto nascosto, come se le parole che uscivano da me fossero troppo fragili per il mondo, o troppo intime per essere comprese.
Poi, un giorno, ho sentito che la mia voce non voleva più restare in silenzio. Non per vanità, ma per verità. Avevo attraversato momenti difficili, trasformazioni profonde, e qualcosa dentro di me sapeva che quelle esperienze non erano state inutili. Volevano diventare parola, strada, testimonianza. Scrivere è stato il modo più sincero e radicale che ho trovato per restituire qualcosa al mondo. Un’offerta, quasi una preghiera.
NeuroAlchimia nasce da lì. Non da un progetto di carriera, ma da una necessità dell’anima. È la mia voce che cerca casa in chi legge. È un gesto d’amore verso chi si sente smarrito, verso chi sta cercando la propria mappa, come l’ho cercata io. Scrivere, per me, è questo: creare u luogo dove anche il dolore ha senso, dove la trasformazione è possibile, e dove ogni lettore può riconoscersi e iniziare il proprio cammino.
 
Come nasce l’idea di questo libro? Ci racconterebbe un aneddoto legato alla scrittura di questo romanzo?
L’idea non è nata da un piano, ma da una necessità. Una di quelle domande che ti abitano dentro per anni, silenziosamente, e che a un certo punto bussano forte, come per dire: "Adesso basta aspettare."
Ricordo una sera in particolare. Avevo appena guidato un gruppo in una meditazione profonda, e alla fine c'era un silenzio denso, carico. Negli occhi di chi avevo davanti ho visto qualcosa che mi ha scosso: la stessa domanda che io stessa portavo da tempo, quasi senza volerlo formulare a parole.
"Come si cambia davvero?"
Non intellettualmente. Non solo con le tecniche, i metodi, le buone intenzioni. Ma nel profondo. Nella vita vera.
E allora mi è arrivata come un lampo la risposta: forse il cambiamento ha bisogno di una storia per diventare reale.
Quella notte, tornata a casa, ho preso un quaderno che avevo tenuto da parte da mesi. Era rimasto vuoto, come se aspettasse il momento giusto. L’ho aperto senza pensare troppo, e ho scritto:
“RESET”
Era un varco.
Da lì non mi sono più fermata. Ogni giorno sentivo che qualcosa mi chiamava a continuare. Era come se la storia si stesse scrivendo da sola, usando le mie mani. Ma dentro quella storia, c’ero io. E c’era anche chi ancora non conoscevo, ma che avrei incontrato attraverso le pagine.
 
Cosa si prova a vedere il proprio lavoro prendere corpo e diventare un libro?
È difficile spiegare a parole. È un’emozione che ha qualcosa di commovente e misterioso insieme. Come vedere un sogno che hai custodito nel silenzio più profondo diventare improvvisamente visibile, tangibile. Lo tocchi, lo sfogli, e ti rendi conto che non è più solo tuo. NeuroAlchimia è nato dal mio cuore, dai miei silenzi, dai miei attraversamenti… ma ora vive nel mondo. E non mi appartiene più.
Ogni volta che lo vedo stampato, con la sua copertina e le sue pagine, sento una sorta di stupore grato. È come se avesse preso vita, come una creatura autonoma che ha deciso di camminare per conto suo. E non cammina a caso: NeuroAlchimia si fa specchio per chi lo legge, bussola per chi si è perso, compagna per chi sta cercando una strada che non ha ancora un nome.
Sapere che ciò che mi ha guarito, anche solo in parte, possa ora toccare altri cuori, è qualcosa che mi commuove davvero. Perché allora comprendi che il dolore non è stato inutile. Che ogni pagina vissuta dentro di te, ora è diventata pagina viva anche per qualcun altro
 
Chi è stata la prima persona che ha letto il suo libro?
La prima persona che ha letto NeuroAlchimia non era un critico, né un collega. Era una persona che, in quel momento della sua vita, non credeva più in sé stessa. Non aveva più parole da offrire né da ricevere. Era stanca, svuotata. Ma per qualche ragione ha accettato di leggere, in silenzio, senza aspettative.
Ricordo che non diceva nulla mentre sfogliava le pagine, solo ogni tanto sospirava piano, come se qualcosa si stesse sciogliendo dentro di lei. Quando ha finito, ha chiuso il libro con un gesto lento, e mi ha guardata. Gli occhi erano lucidi, ma non c’era dolore: c’era un riconoscimento. E mi ha detto solo questo:
“Non so cosa mi sia successo, ma qualcosa in me si è mosso.”
In quel momento ho capito che il libro era pronto. Pronto per essere donato, condiviso, lasciato andare nel mondo. Se anche avesse toccato una sola anima in profondità, sarebbe già bastato. E invece quella lettura è diventata la prima di molte. Ognuna diversa, ognuna con una verità da risvegliare
 
Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
Credo che l’audiolibro non sia solo un formato moderno, ma una riscoperta antica. Prima della scrittura, c’era la voce. C’erano le storie sussurrate, i canti, le parole tramandate attorno al fuoco. La voce ha un potere primordiale: porta con sé ritmo, respiro, intenzione. È un veicolo sottile. E quando le parole vengono ascoltate, non passano solo per la mente: entrano nel corpo, si depositano nei luoghi dove la lettura non arriva.
Nel caso di NeuroAlchimia, la voce trasforma il libro in qualcos’altro. Letto ad alta voce, diventa quasi un rito sonoro. Ogni parola risuona come se avesse una vibrazione sua, e può toccare corde che magari erano silenziose da anni. C’è chi ascolta e sente aprirsi un ricordo, un’immagine, un’emozione che non sapeva nemmeno di portare dentro.
Per questo, l’audiolibro non è solo comodo: è trasformativo.
È un altro modo per riscriversi dentro. Per camminare nel libro non con gli occhi, ma con l’anima in ascolto.

 

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