Ci parli un po' di Lei, della Sua vita. Da dove viene? Come e quando ha deciso di diventare scrittore?
La mia vita è stata piuttosto movimentata: ho seguito i miei genitori nei loro trasferimenti in gran parte d’Italia, dal Sud al Nord, passando anche per Roma, a causa dei cambiamenti lavorativi di mio padre.
Appena diplomato, ho iniziato a lavorare: prima in ambito bancario, per oltre trent’anni, poi come libero professionista. Questo percorso mi ha permesso di conoscere realtà diverse e incontrare persone di ogni tipo. Curioso e attento ai dettagli che il mondo offre ogni giorno, sono sempre stato affascinato dalle storie e dalle personalità che ho avuto il piacere di incontrare. In passato ho scritto soprattutto di economia e finanza, raccontando eventi che hanno lasciato un segno nelle persone. Negli ultimi anni, invece, ho sentito il bisogno di dare voce a idee e storie che da tempo mi accompagnavano, trasformandole in narrativa.
Il suo autore contemporaneo preferito?
Faccio un torto a tantissimi bravi autori, e nomino Giorgio Faletti, di poco davanti a Stephen King.
Perché è nata la sua opera?
Per puro caso. Ho ascoltato il racconto di un amico, che ha vissuto una parentesi di vita fuori dagli schemi, e da lì è nato il romanzo “Uragano Asia”, quasi a confermare che, a volte, accade davvero ciò che meno ci si aspetta.
Quanto ha influito nella sua formazione letteraria il contesto sociale nel quale vive o ha vissuto?
Moltissimo. Soprattutto durante gli anni del liceo. Ho avuto una professoressa di italiano che definirei semplicemente eccezionale. Basti pensare che, insieme a tutti i miei compagni di classe, la chiamavamo “La Mamma”, tanto era autentico il suo rapporto con noi. Direi che una certa propensione a “scrivere decorosamente” l’avevo da sempre, ma con lei ho affinato alcune caratteristiche fondamentali. Probabilmente la mia voglia di scrivere nasce anche da quel periodo.
Scrivere è una evasione dalla realtà o un modo per raccontare la realtà?
Niente e nessuno possono davvero farci evadere completamente dalla realtà, se non per brevi momenti, come in un semplice sogno. Per me, scrivere non è tanto un’evasione totale, quanto piuttosto un modo per raccontare la realtà con uno sguardo leggermente velato, come se tenessi una mano, comunque aperta, davanti agli occhi, quasi per provare a nascondermi, in parte, mentre provo a fuggire da ciò che mi circonda. Scrivere mi permette di osservare il mondo da una prospettiva diversa, di mettere in luce dettagli che spesso passano inosservati e di esprimere emozioni che altrimenti resterebbero silenziose. Tuttavia, per quanto ci si possa nascondere dietro le parole, la realtà resta sempre lì, immutabile, davanti a noi, pronta a essere affrontata e compresa.
Quanto di lei c’è in ciò che ha scritto?
Tutto e niente. Ho trascritto in parte le vicende che mi sono state raccontate, inserendo sprazzi di vita vissuta per vedere se, insieme, potessero adattarsi a un romanzo di speranza. Di me ci sono la voglia di farcela, sempre, e la determinazione a raggiungere l’obiettivo prefissato. Magari anche attraverso una storia d’amore. E questo credo sia il sogno di tantissime persone.
C’è qualcuno che si è rivelato fondamentale per la stesura della sua opera?
Direi di sì: me stesso. Ho iniziato a lavorare al manoscritto quasi per gioco, senza particolari aspettative, spinto più dalla curiosità che da un progetto preciso. Poi, man mano che le pagine prendevano forma, ho scoperto dentro di me una determinazione che forse neppure immaginavo di avere. È stata una sfida continua: trovare il tempo, mantenere la concentrazione, affrontare i momenti di stanchezza o di dubbio. Non sono mancati ostacoli, ma le volte (poche, in realtà) che pensavo di fermarmi, qualcosa dentro mi spingeva a proseguire. Credo che la parte più importante sia stata proprio questa: scoprire che, quando credi davvero in qualcosa, la forza per arrivare in fondo la trovi dentro di te.
A chi ha fatto leggere per primo il romanzo?
L’ho fatto leggere per intero, una volta terminato, alla mia ex moglie, che ha espresso impressioni positive e mi ha incoraggiato a pubblicarlo. Qualche stralcio l’avevo letto io stesso, durante la scrittura, a un’amica, giusto per vedere “l’effetto che fa”. Anche in quel caso, la reazione era stata positiva.
Secondo lei il futuro della scrittura è l’ebook?
Potrebbe essere, soprattutto considerando la rapidità con cui la tecnologia avanza e le nuove abitudini di lettura che si stanno diffondendo. L’ebook offre praticità, accessibilità e la possibilità di portare con sé intere biblioteche in un unico dispositivo. Tuttavia, per me il fascino del libro cartaceo resta insostituibile: il gesto di sfogliare le pagine, il loro profumo, la fisicità del volume tra le mani. Sono sensazioni che nessun supporto digitale potrà mai replicare. Credo che il futuro sarà un equilibrio tra le due realtà: il digitale per la comodità e l’immediatezza, il cartaceo per il piacere sensoriale e affettivo che da sempre accompagna la lettura.
Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
Credo che l’audiolibro non sia soltanto un nuovo formato, ma una diversa esperienza di narrazione. La voce umana aggiunge sfumature emotive che la pagina scritta può solo suggerire: il ritmo, le pause, i respiri, persino i silenzi diventano parte integrante della storia. È un modo per restituire alla letteratura un po’ della sua origine orale, quando i racconti passavano di bocca in bocca prima ancora di essere messi su carta.
Come autore, vedo nell’audiolibro una possibilità straordinaria di raggiungere lettori che magari non avrebbero il tempo di aprire un libro, ma che possono vivere una storia mentre guidano, viaggiano o camminano. Non si tratta di sostituire la lettura tradizionale, ma di ampliarne il raggio, offrendo un’altra porta d’accesso al mondo narrativo.
Personalmente, mi piacerebbe che un audiolibro riuscisse a trasmettere la stessa intensità visiva e la stessa tensione emotiva che cerco di creare sulla pagina. È una sfida affascinante, perché la voce, più di qualsiasi tecnologia, può rendere un personaggio vivo agli occhi — o meglio, alle orecchie — di chi ascolta
