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20 Giu
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Intervista all'autore - Anna Cuccia -

Ci parli un po' di Lei, della Sua vita. Da dove viene? Come e quando ha deciso di diventare scrittrice?
Sono nata a Palermo e fin da piccola ho sempre avuto una forte curiosità per le parole e le storie. Crescendo, ho scoperto che scrivere era per me un modo per dare voce ai pensieri, alle emozioni e al mondo che mi circondava.
La decisione di diventare scrittrice non è arrivata in un momento preciso, ma si è costruita nel tempo, attraverso la lettura, l'ascolto e il desiderio di raccontare. Scrivere per me è sia un’esigenza personale che un modo per entrare in relazione con gli altri, per condividere visioni, domande e possibilità.
 
Nell’arco della giornata qual è il momento che dedica alla scrittura?
Cerco di ritagliare ogni giorno un momento per la scrittura, anche breve. Il momento che preferisco è la sera tardi, quando la mente è più libera e riesco a concentrarmi meglio. In quei momenti, riesco a entrare davvero nel flusso creativo, lasciando che le parole vengano fuori con naturalezza. Ovviamente non sempre è facile trovare il tempo, ma cerco di mantenere una certa costanza, anche solo per qualche appunto o riflessione. Scrivere è diventato per me un'abitudine, quasi un bisogno.
 
Il suo autore contemporaneo preferito?
Anche se non è propriamente un autore contemporaneo, uno dei miei autori preferiti resta Leonardo Sciascia. Trovo che i suoi romanzi, come Il giorno della civetta o A ciascuno il suo, siano ancora estremamente attuali per la loro lucidità nel raccontare il potere, la giustizia e la complessità morale della società italiana. La sua scrittura è asciutta, tagliente, ma profondamente etica.
 
Perché è nata la sua opera?
Questo romanzo è nato come nasce un respiro trattenuto troppo a lungo: da un’urgenza, da una mancanza, da uno sguardo che ha avuto il potere di accendere qualcosa dentro di me. 'L’eterno di un istante' non è solo una storia, ma è il tentativo disperato e sincero di fermare nel tempo una sensazione, un’emozione tanto intensa quanto sfuggente. È nato da lei, la mia musa inconsapevole, una donna che non ha mai saputo di esserlo, e forse non lo saprà mai. Non ho scritto per conquistarla, ma per salvarmi. Ogni gesto, ogni dettaglio che la riguardava, un sorriso distratto, un morso al labbro, un gesto inconsapevole è diventato parola.
Scrivere è stato il mio modo di non impazzire di fronte a ciò che non potevo vivere. Di fronte all’impossibile.
Così è nato questo libro: dal bisogno di raccontare un amore che forse non ha nome, ma che esiste. Perché, a volte, basta un istante per lasciare un’orma eterna.
 
Quanto ha influito nella sua formazione letteraria il contesto sociale nel quale vive o ha vissuto?
Il contesto sociale in cui sono cresciuta ha avuto un impatto profondo sulla mia scrittura, anche quando non me ne rendevo conto. Sono nata in una realtà dove spesso si tace, dove i sentimenti troppo intensi fanno paura e dove l’apparenza pesa più della verità interiore. In un ambiente così, impari presto a osservare in silenzio, a leggere tra le righe, a cogliere ciò che non viene detto.
Questa attitudine si è trasformata in parole. La scrittura è diventata per me una via d’uscita, uno spazio in cui poter dire ciò che altrove sarebbe stato inascoltato o giudicato.
In un mondo che spinge a semplificare, a nascondere la complessità emotiva, io ho sentito il bisogno di raccontarla. Di darle una voce. Il mio contesto mi ha insegnato a lottare per la delicatezza, a credere che anche il sussurro possa avere la forza di uno schianto. E credo che questo, nel bene e nel male, abbia forgiato la mia voce letteraria.
 
Scrivere è una evasione dalla realtà o un modo per raccontare la realtà?
Per me scrivere non è stata un’evasione dalla realtà, ma un modo per darle un volto che potessi finalmente guardare senza paura.
'L’eterno di un istante' è nato da un periodo della mia vita che non avevo il coraggio di vivere pienamente, ma che aveva bisogno di esistere. Le emozioni erano troppo forti per restare solo dentro di me, troppo delicate per essere spiegate a voce. Così le ho affidate alla carta, trasformandole in storia, in sguardi, in sospiri nascosti tra le righe.
Scrivere è stata la mia ancora e, al tempo stesso, la mia resa. Non ho cercato la fuga: ho cercato un luogo sicuro dove poter dire la verità attraverso la finzione.
E la finzione, paradossalmente, è diventata il modo più autentico per raccontarmi.
 
Quanto di lei c’è in ciò che ha scritto?
In quello che ho scritto ci sono io, completamente. Non come protagonista in senso stretto, ma come anima che attraversa ogni parola. Ogni sguardo, ogni respiro trattenuto, ogni pagina è intrisa di ciò che ho provato.
La musa che ha ispirato quest’opera è reale. Non sa, o forse intuisce, di avermi sconvolto l’equilibrio. È entrata nella mia vita con la delicatezza di chi non chiede il permesso, ma lascia segni ovunque.
Il sentimento che ho provato per lei non ha mai avuto spazio nella realtà: troppo fragile, troppo puro o forse troppo scomodo per essere vissuto pienamente. E così, l’ho custodito dove potevo proteggerlo, nella scrittura.
Questo libro è la mia dichiarazione silenziosa, il mio modo di amare senza chiedere nulla in cambio.
Non potevo viverla, ma potevo scriverla. E l’ho fatto.
 
C’è qualcuno che si è rivelato fondamentale per la stesura della sua opera?
Sì, c’è qualcuno che è stato fondamentale. Se è vero che la musa ha ispirato ogni emozione narrata, ogni parola sospesa e ogni istante denso di desiderio e impossibilità, c’è anche un’altra persona, questa volta consapevole, che ha avuto un ruolo essenziale e profondamente diverso: reale, tangibile, quotidiano.
Parlo di una presenza che non è solo supporto, ma rifugio. Una persona che c’era davvero, ogni giorno, quando io ero fragile, stanca, piena di dubbi. Lei ha saputo tenermi in piedi quando le parole mi tremavano tra le dita, quando la scrittura diventava uno specchio troppo onesto o quando il peso di ciò che sentivo rischiava di schiacciarmi.
Non ha mai preteso nulla, ma ha dato tutto: tempo, ascolto, pazienza, comprensione. Ha letto le prime bozze, ha atteso i miei silenzi, ha rispettato il mio bisogno di solitudine creativa, ma anche saputo tendermi una mano quando rischiavo di perdermi.
Le devo molto più di un semplice grazie. Questo libro porta anche il suo respiro dentro. Se oggi esiste 'L’eterno di un istante', è perché lei mi ha tenuta per mano mentre lo scrivevo.
A lei, che ha saputo esserci in silenzio e con infinito amore, va la mia gratitudine più profonda e sincera.
Questo libro non lo abbiamo scritto insieme, ma senza di lei non sarebbe mai nato.
 
A chi ha fatto leggere per primo il romanzo?
Ho fatto leggere qualche bozza alla ragazza che mi è stata accanto in tutto questo percorso. Non il libro intero, solo piccoli pezzi.
Ma le è bastato poco per capire tutto.
Con il suo affetto, la sua presenza costante e il modo in cui ha saputo sostenermi nei silenzi e nelle difficoltà, è stata fondamentale.
Anche se non ha letto ogni parola, c’era in ognuna di esse.
 
Secondo lei il futuro della scrittura è l’ebook?
Credo che l’ebook abbia sicuramente aperto nuove strade per la lettura e la scrittura, rendendo i libri più accessibili ovunque e in qualunque momento. Ma personalmente, il cartaceo resta il mio preferito.
Sfogliare le pagine, sentirne il profumo, sottolineare una frase a matita o tenere un segnalibro tra le dita... sono piccoli gesti che per me fanno parte dell’esperienza emotiva della lettura.
Il digitale è comodo, ma la carta, per me, ha ancora un’anima insostituibile.
 
Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
Penso che l’audiolibro sia una splendida opportunità.
Nella mia quotidianità, tra il lavoro e gli impegni scolastici, spesso non riesco a ritagliarmi il tempo che vorrei per leggere con calma.
In quei momenti, gli audiolibri diventano preziosi: mi accompagnano mentre cammino, mentre viaggio o anche solo mentre cerco un attimo di respiro.
Non sostituiscono per me il cartaceo, ma lo affiancano in modo utile e, a volte, sorprendentemente emozionante
 

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