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19 Giu
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Intervista all'autore - Martina Vittorio

1. Che cos’è per Lei scrivere, quali emozioni prova?
Già alla premessa del mio primo saggio "VIETATO ALLE-MENTI-ARSE. Un libro di chi Salvo Nonè", edito dalla BookSprint Edizioni, confessai quanto scrivere fosse qualcosa capace di pesare.
Non potrei definirlo davvero né solo un lavoro, né un hobby, né un piacere o un divertimento. È, sicuramente sì, un impegno verso me stessa e verso quei lettori che avranno la curiosità di avvicinarsi al testo, e ai testi, sperando possano trovarli di loro gradimento.
Ciò che provo per mezzo della scrittura, è sicuramente il senso di catarsi. Non sarò di certo la prima a dichiararlo: scrivere è la catarsi, del proprio pensiero, per mezzo di parole.
Ciò che si può provare nella scrittura, pertanto, non è che la vita stessa, nella sua interezza: colma di tutte le sue sfaccettature reali e stracolma di tutte le coloriture fantasticate e immaginarie che si vogliano.
Scrivere è, per Martina Vittorio, precisamente il punto di congiunzione, nonché il confine, tra ciò che esiste e ciò che si vuole e si può far esistere. Una dimensione non troppo lontana dalla fabulazione onirica: solo a tratti, un po' più sobria di questa.
 
2. Quanto della sua vita reale è presente in questo libro?
"ALGIDA SOLEROs" è il romanzo di una donna di cosiddetta "terza età".
Potremmo definire la protagonista, l'alter-ego dell'autrice: un alter-ego, proiettato nel futuro, che narra vicende a-morose di tempi trascorsi.
Ho anticipato quanto scrivere sia, per me, il modo di congiungere e confondere realtà e fantasia, senza per questo però sconfinare nel fantasy - che è cosa ben diversa.
Per dare una risposta più netta, dunque: sì, come in ogni mio scritto, c'è sicuramente qualcosa di me nel romanzo.
Anche Marguerite Duras ha scritto opere, come "L'amant", di cui nessuno sa, né saprà mai, dove finisca la verità della storia e inizi il romanzo.
Senza per questo volermi paragonare a un nome tanto blasonato della Letteratura Francese, direi che è sul suo stile che la mia ambizione di autrice va tendendo, prendendone spunto.
D'altronde è "allenandosi" e prendendo come punto di riferimento - e come esempio - le eccellenze, che si ha la possibilità di ampliare i propri margini di miglioramento.
 
3. Riassuma in poche parole cosa ha significato per Lei scrivere quest’opera.
Non diversamente dagli altri miei libri, scrivere "ALGIDA SOLEROs" è stato frutto di un bisogno. Un bisogno un po' premeditato, ma pur sempre in stato di necessità.
Un po' una possibilità di sfogo, un po' una forma di riconoscimento e di riscatto per ogni anima in pena per un'anima pia.
Un po' un modo di denunciare come i rapporti umani non siano mai semplici e naturali. E, men che meno, quelli amorosi: dietro cui aleggia il mito illusorio dell'armonia eterna o prestabilita.
Volendo citare La Rochefoucauld: «vi sono taluni che non sarebbero mai stati innamorati, se non avessero mai sentito parlare dell’amore».
E' sulla base di tale presunzione, che prende forma il personaggio dell'algida Soler. Una donna evidentemente non lettrice di romanzi d'amore, in mezzo a una folla di accanìti lettori di quel genere.
Due mondi paralleli, quello di Soler e delle "anime in pena", incapaci di incrociarsi in alcun modo se non quando presi dal fugàce ed evanescente brivido dell'Eros...finché sussistente.
Scrivere "ALGIDA SOLEROs", dunque, ha significato - e significa - dare omaggio a tutti i poveri innamorati non corrisposti e giustizia a chi, come Soler, è vittima dell'incomprensibile e malata incapacità di amare e farsi amare.
 
4. La scelta del titolo è stata semplice o ha combattuto con se stesso per deciderlo tra varie alternative?
Come ogni mio testo, anche questo, è partito proprio dal titolo.
Da quei due termini, "ALGIDA" e "SOLEROs" (condensazioni concettuali, tanto semantiche quanto fonemiche), sono andate susseguendosi le restanti 43.000 parole.
 
5. In un’ipotetica isola deserta, quale libro vorrebbe con sé? O quale scrittore? Perché?
Qualora in quell'isola deserta fossi capace di non morire di stenti, ma volessi decidere di morire di nostalgia e bellezza insieme, direi che sicuramente porterei con me Proust.
Conosco solo brevi celebri passi de "À la recherche du temps perdu". Ho tutti i sette volumi: un vecchio regalo di laurea di cui non ho ancòra mai potuto godere per mancanza di tempo, avendo dovuto dare priorità ad altro (urgenza della scrittura, compresa).
Finissi dunque in un'isola deserta, sì, direi che decisamente porterei con me Proust. Solo allora non mi rimprovererei più nulla, e accetterei di buon grado una morte di stenti.
 
6. Ebook o cartaceo?
Sia da classica lettrice che da presunta scrittrice, la mia preferenza va al cartaceo.
Per quanto i tempi cambino e, con questi, anche le esigenze, la lettura di un testo cartaceo la trovo sempre un po' più "efficace" e sentita, di quanto non lo sia col formato digitale.
Per chi scrive, inutile dire che vedere sfogliare tra le mani in maniera tangibile e concreta quello che è il frutto delle proprie fatiche mentali, è sicuramente una egoistica quanto inebriante e meravigliosa sensazione.
Molti dei miei lettori però, ammetto, hanno optato - ed evidentemente anche preferito - il formato eBook. Sicuramente più ecologico e, per certi versi, anche più comodo ed economico.
Non ritengo pertanto di riuscire in toto a dare una risposta esaustiva, oggettiva o che esuli completamente da quello che possa essere il mio personale gusto e piacere, in merito alla diatriba tra "tradizione" e "innovazione".
 
7. Quando e perché ha deciso di intraprendere la carriera di scrittore?
Iniziai a scrivere presto nella mia vita. Ma senza ambizione alcuna.
Si parte sempre dal classico "diario segreto", che per le nuove generazioni, oggi, sembra ritrovarsi nell'insieme di tutti i post pubblicati nei propri profili social e prevalentemente corredati di immagini.
Partiamo da un presupposto: si scrive, sempre, per essere letti. Che questo avvenga più o meno in maniera pubblica, poco importa.
Un primo tentativo di scrittura più serio, lo feci intorno al 2009. Ma sempre senza alcuna ambizione di pubblicare: una volta espugnata l'urgenza che spinge a scrivere, ho presto abbandonato.
Un secondo tentativo, avvenne nel 2016, in un momento di forte malessere.
Anche lì, dopo circa una o due settimane di scrittura, smaltita la foga, ho poi lasciato intonso quel vecchio foglio Word dal titolo tragico. Ancora nessuna ambizione né sogno di pubblicare alcunché.
L'urgenza più seria e l'idea compiuta, già pronta da mettere per iscritto, la ebbi nel settembre del 2019. Un amico, mesi prima, mi rigirò un bando di concorso letterario di genere psicologico. Aspettai un bel po' prima di mettermi a scrivere finché non ricevetti la spinta e la motivazione giusta, quasi allo scadere del tempo utile per partecipare.
Da quella partecipazione, visti i nefasti esiti recati dalla perdita dei miei diritti d'autore su un lavoro molto personale, ho dapprima perso - con essi - anche la motivazione. Persa, per poi ritrovarla, forte e rinnovata, all'inizio del primissimo lockdown della primavera 2020. Alla prima ondata pandemica da Covid-19, ho ricavato il tempo, la voglia, la forza e l'idea di riscattarmi, col piacere e l'ambizione di pubblicare qualcosa su cui finalmente apporre a chiare lettere il mio nome, dichiarandone così la "maternità" assoluta. L'unico tipo di maternità possibile, di cui ero stata violentemente privata.
 
8. Come nasce l’idea di questo libro? Ci racconterebbe un aneddoto legato alla scrittura di questo romanzo?
Mi è balenato un lontano ricordo in mente. Così, dal nulla.
Un ricordo reale. Forse, sempre un po' ricostruito da quelli che sono i meravigliosi limiti della nostra memoria che non è mai solo conservatrice, ma sempre rinnovatamente creatrice.
Da lì: dal morso di un gelato.
Sotto un caldo sole di fine inverno: guardando i propri polacchetti rossi battere sul bordo della fontana, durante la silente contemplazione dei piccioni a beccar molliche in primo piano e con Aci e Galatea, sullo sfondo, è poi andato a costruirsi, da sé, tutto il romanzo.
 
9. Cosa si prova a vedere il proprio lavoro prendere corpo e diventare un libro?
Pesantezza, sicuramente.
La pesantezza è, almeno per me, una costante del lavoro che accompagna l'idea, la scrittura, la realizzazione e la pubblicazione di un libro.
Una pesantezza a cui, però, va parimenti accompagnandosi la soddisfazione e quel lieve senso di leggerezza dato dalla catarsi di cui la scrittura è capace.
 
10. Chi è stata la prima persona che ha letto il suo libro?
Per la prima volta, un mio libro, ho deciso di tenerlo solo per me. Precludendo così il "piacere" alle persone a me più vicine, di aver modo di sapere già il contenuto della mia ultima fatica. Nella speranza, più che ovvia, di fare loro una sorpresa gradita.
Ho dunque sùbito puntato, stavolta, ad avere un parere ed un responso diretto da parte di esperti. I primi a leggere, sono stati i redattori della BookSprint Edizioni: "ALGIDA SOLEROs" è piaciuto e abbiamo dato immediatamente il via ai lavori preliminari alla pubblicazione.
Non posso, anche stavolta, non cogliere l'occasione per ringraziare il mio editore, Vito Pacelli, per la stima e la fiducia nuovamente mostrate nei miei riguardi.
 
11. Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
Ne penso bene!
Come rilasciai detto già in una precedente intervista, credo che sia un buon modo per avvicinare i non lettori, o comunque quelli che non sono troppo navigati, al mondo dei libri.
Al contempo, potrebbe essere una valida alternativa per i già appassionati, al fine di ottimizzare certi "tempi morti": dando così, loro, l'opportunità di conoscere il contenuto di testi che si ha sempre meno l'occasione di fermarsi a leggere.
Oltre che come psicologa non posso inoltre, in quanto insegnante di sostegno quale attualmente sono, non fare presente come sia prezioso ed inclusivo uno strumento come l'audiolibro. Si tratta, senza ombra di dubbio, di uno strumento capace di dare grande fruibilità di contenuti letterari anche a chi impossibilitato a leggere, per via di eventuali disabilità.
 
 

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