Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all’uso dei cookie.

Logo
Stampa questa pagina
06 Nov
Vota questo articolo
(0 Voti)

Intervista all'autore - Paolo Mancino


1. Ci parli un po' di Lei, della Sua vita. Da dove viene? Come e quando ha deciso di diventare scrittore?
Sono nato in provincia di Napoli, nel comune dove mio padre era insegnante. Ho trascorso una infanzia semplice e felice con i miei genitori e i miei quattro fratelli come secondogenito. Ho due figli entrambi professionisti e ho svolto anche io, come mio padre, l’insegnante di scienze dopo un breve apprendistato come biologo. Dal 2000 svolgo la professione di psicologo. Mi sono laureato in psicologia nel 1999.
Sono diventato scrittore perché da ragazzo non riuscivo a scrivere bene. Un episodio che ricordo spesso, a dimostrazione di quanto ho affermato, risale a quando ero militare di leva. L’allora fidanzata mi correggeva gli errori ortografici nelle lettere che le inviavo.

Ero veramente scarso a scrivere. Il mio primo libro l’ho scritto solo qualche anno fa. Ne è seguito poi un secondo e questo è solo il terzo. Sono tutte pubblicazioni a carattere scientifico – divulgativo che tendono a sollevare un interesse in quanto richiamano problematiche psicologiche quali certe compulsioni o manie.
Svolgo la mia professione a Napoli.
 
2. Nell’arco della giornata qual è il momento che dedica alla scrittura?
Non sono abitudinario, ne è a dimostrazione la mia vita, quantunque l’abitudine organizza la migliore attività umana. Scrivo quando mi viene, quando rifletto sulle cose oppure arrivo a una nuova conoscenza o informazione particolare. In quei momenti rimando a lungo a scrivere, a volte per intere settimane. Fonti della mia ispirazione sono alcune informazioni scientifiche e le esperienze personali dei miei pazienti.
 
3. Riassuma in poche parole cosa ha significato per Lei scrivere quest’opera.
Quest’opera rappresenta la mia terza esperienza di scrittura. Non mi sfiora l’idea di considerarla letteraria in quanto scrivo allo scopo di informare, spiegare e, eventualmente suscitare curiosità e interesse nel lettore. In particolare, ha lo scopo di definire e descrivere alcuni meccanismi psicologici alla base degli attacchi di panico. L’attacco di panico è una delle esperienze peggiori e più diffuse.  Meccanismi che ho appreso dalle opere di autori sia americani che italiani e che ho avuto modo di approfondire negli ultimi tempi. Ho compreso che ci sono livelli di conoscenza sempre più approfonditi e specifici che non finiscono mai. L’interesse scientifico ti attrae certe volte con una forza potente.
 
4. La scelta del titolo è stata semplice o ha combattuto con se stesso per deciderlo tra varie alternative?
La scelta del titolo non è stata un’operazione semplice una volta a conoscenza delle opere degli altri autori sull’argomento. Ho scelto questo in quanto dà l’idea immediata del problema. Ero indeciso con il termine timor panico. Poi ho aggiunto il termine breve in quanto la terapia strategica nasce come terapia breve rispetto a quelle a cui eravamo abituati fino a poco fa. Oggi tutto deve essere veloce come la società dei consumi richiede.  
 
5. In un’ipotetica isola deserta, quale libro vorrebbe con sé? O quale scrittore? Perché?
Umberto Eco Il nome della rosa. Questa opera è assolutamente colossale e l’autore è il mio preferito in quanto valorizza il mito nella storia del mondo e degli uomini. Di una conoscenza sconfinata descrive i dettagli in cui si svolge la narrazione portandoti con sé lì, proprio in quel preciso momento.
 
6.  Ebook o cartaceo?
Decisamente preferisco leggere il libro scritto sulla carta in quanto lo senti tra le mani, lo senti tuo, lo vedi, lo usi, lo maltratti. Lo senti davvero come un manufatto, un prodotto della storia antica dell’uomo. Nel libro come manufatto potresti scoprire addirittura le tue origini.
 
7.  Quanto di Lei c’è in ciò che ha scritto?
Nel libro che ho scritto c’è molto di me. Rappresenta la mia evoluzione, il punto più avanzato di me sul piano professionale e della ricerca su/di me stesso iniziata oramai, moltissimi anni fa.
 
8. C’è qualcuno che si è rilevato fondamentale per la stesura della sua opera?
A loro insaputa, sono due le persone a cui sono grato per la nascita di questo libro. Il primo è Paul Watzlawick, americano, e artefice assieme al gruppo promotore di Palo Alto in California fin dagli anni cinquanta del secolo scorso dell’approccio strategico. Il secondo è Giorgio Nardone, colui che ha fatto conoscere più di tutti la terapia strategica in Italia e autore di numerosi testi sull’argomento nonché mio maestro alla scuola di specializzazione CTS di Arezzo.
 
9. Cosa si prova a vedere il proprio lavoro prendere corpo e diventare un libro?
È una rivelazione. Prima c’è confusione e ridondanza e di conseguenza, l’intimo sentimento di sbandamento, Poi, quando riesci a sistemare qualcosa sembra che si diradino le nuvole e allora ti senti eccitato. Incominci a stare ore ed ore e non ti accorgi del tempo che passa. Quella che inizi a definire come La tua creatura prende forma e sembianze fino a diventare finalmente tua.

10. Chi è stata la prima persona che ha letto il suo libro?
È stata una sorpresa in quanto è stata una mia paziente la quale ha insistito per averne una copia ancora non definitiva del libro. La ringrazio qui ufficialmente.

Acquista il Libro sul nostro ecommerce

 

 

Venerdì, 06 Novembre 2020 | di @BookSprint Edizioni