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04 Apr
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Intervista all'autore - Michele Di Lieto

1. Parliamo un po’ di Lei, dove è nato e cresciuto?
Sono nato a Minori, sulla costa amalfitana. Sono stato considerato un bambino prodigio: a quattro anni leggevo il giornale, a cinque il greco antico, a dieci leggevo l'Infinito. Ho studiato ad Amalfi, al ginnasio liceo M. Camera, dove ho preso la maturità nel '58. Mi sono iscritto a Legge, a Napoli, e lì mi sono laureato a marzo del '63. Entrato giovane in magistratura, ne sono uscito nel '99 per darmi alla scrittura. Scrivo di tutto, non solo di diritto. Vivo e lavoro ad Agropoli, sulla costa cilentana, dove sono stato Pretore negli anni '80. Amo l'ulivo, amo i boschi del Cilento. Sulla collina del Cilento ho conosciuto la donna, molto più giovane, che ho sposato agli inizi del secolo nuovo. Non sono venuti figli.
 
2. Che libro consiglierebbe di leggere ad un adolescente?
Senz'altro un classico a partire da Erodoto, il primo storico antico. Ma chi leggerebbe oggi Erodoto? per giunta in greco? Solo un pazzo come me poteva leggere in greco, e tradurre in latino. E poi, che bisogno c'è di leggere in greco, se tutte le traduzioni riportano il testo a fronte? Considero importante il classico, greco o latino, perché a me è servito. Come penso serva a tutti, adolescenti compresi, conoscere la storia, lo stile degli antichi. Ma se pure dovessi suggerire un autore moderno, non andrei oltre quelli che comunemente vengono definiti classici. Non penso che un giovane possa accostarsi alla letteratura senza conoscere il Decamerone, senza aver letto Pirandello. “Uno, nessuno e centomila”, “Il fu Mattia Pascal”, “Così è se vi pare”, tutto Pirandello, se ti piace. Ecco: sono questi i volumi che consiglierei a un adolescente: perché no anche a uno che non è più tale.
 
3. Cosa pensa della progressiva perdita del libro cartaceo a favore dell’ eBook?
Mi dispiace. Alla mia età, ottant'anni, non si può guardare senza rimpianti al libro cartaceo che, una volta letto, diventava parte di te, delle tue collezioni, delle tue librerie. Ma l'e-book è un segno dei tempi. L'e-book costa di meno, occupa meno spazio, aiuta chi vede di meno: sono solo alcuni dei vantaggi che fanno sempre più somigliare il libro di carta a un relitto del passato. Dico la verità: non vedo volentieri un giovane alle prese con un libro cartaceo, più di quanto non veda malvolentieri un vecchio alle prese con un e-book. Mi sembrano entrambi fuori dal tempo. Vecchi o giovani, come che sia l'edizione del libro, il necessario è che si legga. Cosa della quale dubito assai. Il tempo che scorre veloce, gli eventi che si succedono rapidamente, di ora in ora, non sembrano favorire la lettura approfondita di un libro. Tanto più che l'argomento, quale che sia, appare superato da un giorno all'altro. Vorrei sperare che i giovani, soprattutto i giovani, mi diano torto. Non vorrei venga messa in forse la stessa funzione del libro: quella di conoscere, di conoscere non solo gli altri, ma anche se stessi.
 
4. La scrittura è un colpo di fulmine o un amore ponderato?
Sono per la seconda alternativa. Non si nasce scrittori, né lo si diventa tutt'a un tratto come per grazia ricevuta. Non so chi, forse Calvino, diceva che la bella frase, il periodo che ti resta in mente, è raramente frutto di folgorazioni improvvise, molto più spesso frutto di fatica. Come costa fatica lo studio della storia, antica o moderna, a seconda che la tua storia, il tuo racconto sia ambientato in questa o in quella. Come costa fatica l'analisi dello stile dell'autore che leggi: non per imitarlo, ma per conoscerlo. Conoscerlo e distinguerlo, tanto ogni autore ha il suo stile, e nessuno di noi finisce mai d'imparare. Ma questo avviene per gradi, mai tutto in una volta: quasi sempre la scrittura nasce da un amore ponderato, raramente da un colpo di fulmine.
 
5. Cosa l’ha spinta a scrivere questo libro?
Non posso ripetere quel che diceva Erodoto duemila cinquecento anni fa: essere suo intento quello di impedire che fossero travolte dall'oblio "imprese grandi e degne di ammirazione" realizzate nel mondo allora conosciuto. Il mio saggio non racconta un periodo degno di ammirazione, ma un periodo tutto da dimenticare, con uno Stato in sfacelo, senza più classe dirigente, senza più classe politica degna di questo nome. E tuttavia ho ritenuto utile, per chi voglia leggere il saggio, fermare l'attenzione sull'arco di tempo che abbraccia le ultime esperienze governative, anche se si tratta di un periodo storico infelice. Per due motivi: primo, perché la Storia, quella vera, non distingue tra imprese felici e non felici; secondo perché io non sono Erodoto di Alicarnasso, il primo storico che sia esistito.
 
6. Quale messaggio vuole inviare al lettore?
La risposta è in parte contenuta in quel che ho detto prima. Perché se il saggio pone l'accento su di un arco di tempo poco felice, non è detto che non esistano vie di uscita. Il messaggio, insomma, non vuol essere completamente negativo. Faccio un esempio. Il processo penale. Sono anni, sono decenni che si parla di riforma del processo penale, come esigenza fondamentale di giustizia. Il fatto che il problema sia stato solo enunciato non vuol dire che esso non possa essere affrontato da una classe politica diversa da quella che ci ha governati. Non solo negli ultimi anni, ma da quelli del dopoguerra. Occorre insomma un governo serio, un governo coeso, un governo anche coraggioso, che non è certamente quello che ci siamo dati. E occorre coraggio anche nelle scelte. Perché, là dove la sinistra ha fallito, non è detto debba fallire anche la destra. Lo dico io, che ho detto sempre cose di sinistra. Segno che, come dichiaro nel saggio, "peggio di così non si può andare".
 
7. La scrittura era un sogno nel cassetto già da piccolo o ne ha preso coscienza pian piano nel corso della sua vita?
Sono vere tutt'e due le cose. Perché, se la mia vita può scindersi in due parti, quella di magistrato e quella di scrittore, quella della scrittura è stata una esigenza sicuramente avvertita anche nella prima, e i miei provvedimenti sono stati sempre guardati non solo sul piano della logica ma anche su quello dello stile. Che sia stata la scrittura un sogno nel cassetto fin da piccolo non mi sentirei di dirlo, perché della bella scrittura mi sono innamorato piano piano, soprattutto nella seconda parte della mia vita. Ma neppure posso tacere le mie prove d'italiano, dalle elementari quand'era mio padre maestro, fino alla maturità quando i commissari d'esame preferirono rinviare agli orali qualsiasi giudizio, tanto gli era sembrata la prova scritta esente da pecche. È inutile dire quale fu il voto agli orali, se la media fu quella dell'otto, il che vuol dire che ci fu qualche sette ma anche qualche nove.
 
8. C’è un episodio legato alla nascita o alla scrittura del libro che ricorda con piacere?
Quando ho pensato di scrivere un saggio di storia politica sugli ultimi anni di governo, ne ho parlato a un amico, uno dei pochi che mi sono rimasti, anche lui con l'hobby della narrativa. Mi ha detto: "Lascia stare, la politica non fa per te". Non sono stato a sentirlo. Il libro l'ho scritto. E quando è stato pubblicato, gliel'ho fatto leggere. Si è scusato. Mi ha detto: "Il libro mi piace. Speriamo piaccia a chiunque lo legga".
 
9. Ha mai pensato, durante la stesura del libro, di non portarlo a termine?
Spesso, spessissimo. Il fatto è che gli eventi si seguivano rapidamente, senza darmi tregua, ed io temevo di non portare a termine il saggio, perché il capitolo "fine" non era mai lo stesso. Del resto, proprio il capitolo "fine" non è quello pensato all'inizio. Il libro avrebbe dovuto avere come oggetto il governo Salvini Di Maio, il primo governo Conte. Non pensavo, forse nessuno pensava che il governo Salvini Di Maio avesse vita così breve. Nel frattempo, al governo Salvini Di Maio si è sostituito il governo col PD al posto di Salvini, e io mi sono visto quasi costretto a parlare dell'ex Ilva a Taranto, dell'acqua alta a Venezia. Naturalmente, ne è uscito modificato anche il capitolo conclusivo.
 
10. Il suo autore del passato preferito?
Penso di avere risposto quando ho indicato il libro, o i libri che avrei regalato a un adolescente. Ho citato, tra gli altri, anche Pirandello. Ecco: Luigi Pirandello è il mio scrittore preferito. Naturalmente, il giudizio è limitato alla sua attività letteraria, non è condizionato dalla sua adesione al fascismo. Di Pirandello ho letto tanto. Ho letto una, due volte, "Uno, nessuno e centomila". Lo rileggerei ancora solo che avessi più tempo. In "Uno, nessuno e centomila" c'è tutto Pirandello. A partire dall'artificio iniziale attorno al quale ruota il racconto. Con quel Gengè che scopre guardandosi allo specchio di avere il naso storto, e comincia a dubitare che gli altri, tutti gli altri, possano avere di lui una immagine diversa da quella che lui ha di sé. Sino a convincersi di non essere l'Uno come lui si vedeva, ma di essere i centomila come lo vedono gli altri: o, che è lo stesso, di essere il nessuno del titolo, il giudizio dell'uno non essendo quello dell'altro. Naturalmente, non è questa, l'identità dell'io, la sola tematica del testo, nel quale confluiscono altri temi pirandelliani, più genericamente psicanalitici, che fanno di questo libro un libro completo. Ecco perché amo Pirandello. Ecco perché Luigi Pirandello è il mio autore preferito.
 
11. Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
Dell'audiolibro vorrei dire tutto il male che posso. Un libro è un libro perché deve essere letto, non recitato. Per quanto possa essere bravo chi legge, generalmente si tratta di un attore, l'emozione che trasmette l'attore non è mai la stessa del lettore comune, anch'essa diversa l'una dall'altra. Per questo, non credo che l'audiolibro abbia un futuro, come ho detto per l'e-book. Ma potrei anche sbagliare.
 
 
 
 
 

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