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02 Feb
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Intervista all'autore - Pietro Caprara

1. Ci parli un po' di Lei, della Sua vita. Da dove viene? Come e quando ha deciso di diventare scrittore?
Sono cresciuto a Scanzano Jonico, un piccolo paesino della costa jonica, in Basilicata. Dopo essermi diplomato in ragioneria ho adempiuto l'obbligo di leva prestando come obiettore di coscienza, in sostituzione del servizio militare, il servizio civile in una comunità per bambini disagiati a Bari. Questa esperienza molto forte ed intensa, insieme all'essermi ritrovato per la prima volta fuori e lontano da casa, mi ha fatto crescere personalmente e mi ha profondamente arricchito a livello emotivo.
Dopo essere ritornato per un breve periodo a casa dei miei, ho cominciato a lavorare come manovale per un'impresa edile in giro per l'Italia per quasi dieci anni, gli ultimi dei quali vissuti stabilmente a Milano dove, grazie a quello spazio personale ritrovato dopo anni di convivenza 'forzata' in camere di albergo con i colleghi di lavoro, ho riscoperto il piacere ed in un certo qual modo il 'bisogno' di scrivere che da qualche tempo non provavo più. A causa di alcuni problemi di salute dopo quattro anni sono costretto a lasciare il lavoro e Milano, e a tornare al mio paese di origine, non senza un iniziale 'smarrimento' ma comunque felice per il ricongiungimento a quei paesaggi e a quel mare mai dimenticati e che tanto mi mancavano.
 
2. Nell’arco della giornata qual è il momento che dedica alla scrittura?
Di solito mi dedico alla scrittura il pomeriggio, fino alla sera. Anche se ho sempre preferito la luce naturale a quella artificiale in alcuni periodi amo scrivere fino a sera tardi e anche di notte, a lume di candela. È uno dei momenti di profonda intimità.
 
3. Il suo autore contemporaneo preferito?
George Orwell.
 
4. Perché è nata la sua opera?
In alcuni momenti per un motivo o per un altro si perde quasi contatto con la realtà e senza accorgersene il tempo comincia a scorrere così velocemente da farci sentire immobili.
"La porta che ci separa" nasce semplicemente per raccontare e per condividere una storia ed ha rappresentato per me, sin dall'inizio della stesura, una sorta di appiglio alla realtà.
 
5. Quanto ha influito nella sua formazione letteraria il contesto sociale nel quale vive o ha vissuto?
La mentalità chiusa di un piccolo paese che offre poco o niente e la conseguente rabbia e rassegnazione ad uno stato dei fatti che ti impone di andare via ed allontanarti dai luoghi e dalle persone che ami, il grande salto verso l'indipendenza e la grande città… tutto questo ha ovviamente influito tanto sulla mia formazione letteraria e su di me in generale. Ho cominciato a leggere ed a scrivere fin da piccolo cercando di conciliare le mie grandi passioni: la scrittura e la musica. Insieme ai racconti infatti ho cominciato a scrivere testi di canzoni e musiche che poi suonavo con il gruppo che avevo formato con alcuni amici. Scrivevo su ciò che mi circondava e mischiavo la realtà alla fantasia cercando di "abbellire" e di "colorare" il mondo sbiadito in cui sentivo di vivere.
 
6. Scrivere è una evasione dalla realtà o un modo per raccontare la realtà?
È una cosa molto soggettiva. Per quanto mi riguarda, a seconda del periodo e di come mi sento, scrivere mi permette di raccontare la realtà, di analizzarla e nello stesso tempo di capire alcune cose di me. Scrivere di ciò che si ha intorno mette in moto alcuni processi mentali che possono poi aiutare nella realtà di tutti i giorni.
 
7. Quanto di lei c’è in ciò che ha scritto?
Per quanto si voglia essere distaccati, scrivere fa emergere molto di se stessi. Provavo quasi fastidio nel fare leggere ad altri cose che potevano svelare lati di me che tenevo bene nascosti. Scrivevo per me e per me solo; poi però quando sono riuscito trovare qualcuno con il quale si è creato un rapporto di fiducia e di complicità ho scoperto una sensazione tutta nuova ed appagante: il piacere di fare leggere la propria opera e di condividere il proprio lavoro con un'altra persona, un'altra mente. Così ho cominciato a vedere tutto in una diversa prospettiva ed è per questo che in "La porta che ci separa" ci sono pensieri, sentimenti ed avvenimenti che hanno fatto parte di me e che nel bene e nel male rappresentano me.
 
8. C’è qualcuno che si è rilevato fondamentale per la stesura della sua opera?
Senza voler fare un torto a nessuno, penso che ogni persona incontrata è stata importante. Su tutti alcuni 'compagni e compagne di strada' che alternandosi mi hanno accompagnato in quest'ultimo periodo e la mia famiglia che mi è stata e mi è sempre vicina non facendo mai mancare il proprio appoggio e senza la quale non ce l'avrei mai fatta.
 
9. A chi ha fatto leggere per primo il romanzo?
La prima persona a leggere il romanzo è stato Pasquale, un mio grande amico ed è stato proprio il suo parere, la sua 'critica' e la relativa fiducia che nutro nei suoi confronti che mi ha dato un'ulteriore spinta positiva.
 
10. Secondo lei il futuro della scrittura è l’ebook?
Penso che l'eBook sia una parte della scrittura e che possa crescere ancora in molti aspetti. Resto convinto però che il piacere di tenere tra le mani un libro e di sfogliarlo pagina per pagina sia un piacere che in tanti, giustamente, non vorranno mai perdere.
 
11. Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
Penso che il libro cartaceo sarà sempre un qualcosa di unico. Così come per l'eBook però penso che qualsiasi cosa ed in qualsiasi modo si riescano ad avvicinare le persone (e soprattutto i ragazzi) alla cultura ben venga. Ognuno poi è libero di "viaggiare" come preferisce. Ricordo il periodo in cui lavoravo come manovale in un'impresa edile e la sera arrivavo in albergo così stanco che mi addormentavo con il libro tra le mani senza riuscire a leggere una pagina intera o non riuscivo a leggere tanto il bruciore agli occhi. In quei mesi scaricai alcuni audiolibri che mi consentirono di non perdere quella bella abitudine di viaggiare tra mondi, storie e personaggi riuscendo così ad evadere dalla monotonia da cui mi sentivo schiacciato

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