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23 Mar
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Intervista all'autore - Annica Cerino

1. Cosa rappresenta per lei questo libro?

Una sintesi di un lavoro di ricerca sulla corporeità e sul linguaggio del corpo. Tale ricerca non ha alcuna pretesa di esaustività, anzi il lavoro di ricerca continua, ma a differenza di alcuni anni fa, ora la mia attenzione è rivolta all’esperienza e a tutto ciò che da essa può scaturire. Sono sempre più convinta che due corpi possano entrare in relazione e comunicare ciò che le parole non riescono ad esprimere e che l’esperienza in questo senso dia molti più insight che non una cultura unicamente libresca e pertanto astratta.


2. Come si integrano il massaggio e l’approccio Bioenergetico?

Per entrambi il vero protagonista è il corpo e dunque la persona nella sua unicità. Quando parlo di corpo intendo quell’unicità funzionale che esiste tra mente e corpo. Per declinazione è scritto nel corpo il modo di essere di una persona, il proprio modo di affermarsi nel mondo, il modo di cercare e manifestare l’amore. Ma in questo spazio tangibile è affastellata anche la  paura di vivere che porta a limitare la possibilità di sentire l’universo emotivo dentro e fuori di noi, e di esprimere in modo naturale le proprie emozioni, le quali si induriscono in atteggiamenti di altrettanta chiusura.

La chiusura alla vita, la rimozione dell’emozione, la repressione di un sentimento prende forma nel corpo.  Di pari passo con la vita che viviamo, con tutto il suo sentire, il corpo si forgia come la plastilina tra le mani: ed ecco che abbiamo tensioni, contrazioni muscolari che corrispondono alle chiusure messe in atto nella vita per paura di vivere. Per paura di soffrire ancora. Ed è la paura che crea le rigidità diffuse nel corpo. E anche nella mente. Entrambe, sia il massaggio che la Bioenergetica lavorano sul corpo, nel tentativo di sciogliere e di ammorbidire quegli anfratti corporei irrigiditi nel tempo e analogamente sciogliere convinzioni e atteggiamenti oramai disfunzionali alla nostra esistenza. Entrambi partono, dunque, dal corpo per arrivare alla persona nella sua totalità.


3.C’è un episodio legato alla nascita o alla scrittura del libro che ricorda con piacere?

Quando rimasi incinta, la mia dottoressa mi consigliò, anzi mi ordinò di osservare un <riposo assoluto>. Per me è stata la peggior “medicina” che mi si poteva prescrivere. Per due giorni, ho seguito la sua prescrizione, dal terzo giorno in poi, tutte le mattine mi sono dedicata a lunghe passeggiate a piedi, nel parco o in città. Era diventato un rito per me. L’ultima passeggiata l’ho fatta dodici ore prima di partorire. I miei vicini di casa, mi dicevano < Attenta, che lo farai per strada!> Ma il pomeriggio restavo a casa a gustarmi un po’ di ozioso relax. Ed è stato in uno di questi momenti che ho iniziato a raccogliere tutti i miei fogli e i miei file che parlavano di Bioenergetica e di massaggio. Dopo avergli dato un ordine, più o meno approssimativo,  li ho corretti ed ho iniziato a lavorarci  per scriverne un libro. Scrivere, di pomeriggio, era diventato il mio secondo rito della giornata.
Sicuramente la nascita di questo libro mi riporta  a quel momento ovattato della mia gravidanza. Infatti il libro è dedicato a mio figlio.


4. Quali sono gli autori di riferimento sui quali si è formata?

Senz’altro Willhem Reich, e Alexander Lowen, per tutto ciò che riguarda il linguaggio del corpo, ma spesso per avere uno sguardo più ampio del valore che al corpo si dà nell’attuale società ho fatto riferimento anche ad Umberto Galimberti. Poi ci sono altri autori che apparentemente possono sembrare lontani dall’argomento, ma che in realtà hanno contribuito a permeare il mio significato di corpo e questi sono alcuni poeti. Sì, poeti, perché la poesia non è solo astrazione, ma è un modo di percepire. E tra la poesia e il corpo trovo che ci siano molte assonanze, entrambi hanno uno specifico ed unico modo di percepire la realtà.


5. Lei dice che massaggiando l’altro si può percepire la sua vulnerabilità, che cosa significa per lei?

Ogni volta che tocco una zona contratta o tesa sto toccando un pezzo di falsità di questa persona. Che sia chiaro, non che la persona mi voglia di proposito mentire, ma significa che questa persona ha costruito dei muri di falsità, con se stessa prima di tutto, una corazza in cui sentirsi al sicuro. Ogni muscolo teso è un pezzo di questo muro che vorrebbe impedirti di guardare al di là.

È un modo per nascondersi. Per non farsi vedere per quello che si è veramente, perché spesso non ci si accetta per quello che si è. Non si accettano le proprie vulnerabilità.

C’è chi nasconde le cicatrici di un’infanzia difficile o i tradimenti da parte della famiglia che non era presente nel momento del bisogno. C’è chi nasconde che la relazione d’amore non è stata proprio come sperava. O si smette di essere se stessi per soddisfare gli altri.

Siamo tutti vulnerabili. E chi non lo è?

Quando una persona non vuole riconoscere la propria fragilità, allora costruisce una corazza che col tempo può essere più pesante da portare. Quando massaggiando una persona, ma a volte mi basta anche solo guardarla bene, comprendo quali sofferenze ha dovuto attraversare, quali bisogni ha dovuto soffocare e quanti pianti ha dovuto ingoiare, ma vedo anche quanta vulnerabilità si sta negando. Come se la vulnerabilità  fosse qualcosa di cui vergognarsi.

Non è forse la parte più importante della nostra essenza?

La vulnerabilità, se la si riesce a vedere oltre quei muri, racconta un’altra storia della persona: racconta di quale amore e accettazione avrebbe avuto bisogno.

Onorare la vulnerabilità ci può rendere solo più forti perché ci porta a vivere nella verità della propria vita, ci rende presenti al mondo e onorarla aiuta in quel cammino che tanti iniziano per diventare più umani e più autentici.


6.Ci racconta qualcosa della sua infanzia?

Credo che tutti coloro che si dedicano ad una professione come la mia, rivolta alla relazione di aiuto, è un portatore sano di follia. Una follia, che nel mio caso, ha di sicuro delle radici nella mia famiglia, che si è sempre distinta per creatività, originalità nel modo di vivere e di pensare, nonché nel suo modo bizzarro di esprimere i sentimenti e le emozioni. Ricordo una volta che mia madre mi spedì, letteralmente, a casa di mia nonna perché la mia esuberanza, la mia vivacità, per lei che doveva gestire anche mio fratello più piccolo, a volte risultava faticosa. E quindi chiedeva a mia nonna di tenermi qualche giorno a casa sua, la quale accettava un po’ riluttante e tra qualche borbottio, anche per lei ero piuttosto sfibrante.

Ma accadde, una volta, che mia nonna mi riportò a casa prima del previsto, un giorno prima credo.

La scena che ricordo è questa: la nonna alle mie spalle impaziente di riconsegnarmi e col viso contrito dai suoi sbuffi d’intolleranza, di fronte, mia madre e mio padre che sembravano due pastori del presepe, nelle loro posture plastiche, al solo vedermi una si mise le mani nei capelli, l’altro sulle ginocchia in segno di disperazione.  Ambedue con l’espressione dell’urlo di Munch.

Un’accoglienza che non potrò mai dimenticare! Ma che oggi posso comprendere.

 

7.Cos’ è per lei l’amore?

Per me l’amore è un processo che lentamente e dolcemente ti riporta a te stesso. Ci ho messo molti anni prima di imparare a distinguere la passione dall’amore. Non che oggi io abbia escluso uno a favore dell’altro, ma so fare una sana distinzione. Sì, è un processo, un cammino che  porta un continuo movimento interiore. Non è certo qualcosa di passivo, che si aspetta come il principe azzurro. È  prendersi cura di sé attraverso un’accettazione incondizionata, a volte occorre partire dai propri limiti, o da quelli che si ritengono tali, guardarli bene negli occhi e accettarli perché sono parti di noi. Nonostante tutto.

Se riusciamo a fare questo con noi stessi impariamo ad essere più indulgenti anche con gli altri e inaspettatamente si delineano nuovi orizzonti, nuove conoscenze, nuove esperienze.

 

8.Nei suoi corsi quale metodo di insegnamento segue?

Esperienziale, accanto ad una parte teorica necessaria per comprendere i tipi caratteriali e il tipo di massaggio da adottare per ognuno di loro, faccio in modo che i partecipanti sperimentino il massaggio su ogni tratto caratteriale. Ma non solo, i partecipanti ricevono anche il  massaggio, in tal modo hanno la possibilità di provarlo direttamente su di sé e hanno la possibilità di rilassarsi…


9.Le è mai capitato di percepire un disagio mentre massaggiava?

Sì, come dicevo prima il corpo ha un suo linguaggio e racconta la sua storia e toccandolo si  sente molto di più. Come se il racconto fosse amplificato. Ho spesso percepito tensioni che dicevano che la persona era sotto stress emotivo, oppure che si trovava in un momento di depressione o di grande tristezza, o ancora che stava reprimendo la voglia di piangere. Anzi, a volte, qualcuno durante il massaggio si è lasciato andare ad un pianto liberatorio.

 

 

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Venerdì, 23 Marzo 2018 | di @BookSprint Edizioni