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05 Giu
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Intervista all'autore - Gabriel Naticchioni -

Parliamo un po’ di Lei, dove è nato e cresciuto?
Sono nato in Brasile nel 2000, ma cresciuto in Italia. Roma ha formato il mio sguardo sul mondo, la Francia mi ha offerto un passaggio concreto nella realtà del lavoro, e la Sicilia è stata la mia fucina interiore:
lì ho trasformato le domande in visione.
Non mi definisco con un luogo solo, perché porto addosso una geografia di esperienze, contaminazioni, silenzi e incontri che hanno costruito la mia identità.
 
Che libro consiglierebbe di leggere ad un adolescente?
Consiglierei Lettera a un bambino mai nato di Oriana Fallaci. È un libro che mette in crisi, e questo è ciò che serve a un adolescente: un confronto onesto con la fragilità, la responsabilità e il coraggio di scegliere.
La scrittura non protegge: mette a nudo. E solo chi accetta di guardarsi dentro può diventare adulto con dignità.
 
Cosa pensa della progressiva perdita del libro cartaceo a favore dell’ eBook?
Credo che il libro cartaceo sia un atto di presenza. L’eBook è utile, comodo, ma manca di ritualità. Il cartaceo invece pesa, profuma, si sfoglia: ti obbliga a fermarti.
In un tempo che brucia tutto, tenere in mano un libro vero è una forma di resistenza culturale. È come dire: “Io ci sono. Io leggo. Io ascolto.”
 
La scrittura è un colpo di fulmine o un amore ponderato?
È stata un’urgenza prima di essere una scelta. Ho scritto per sopravvivere al silenzio, per colmare il vuoto delle parole non dette. Poi è diventata una scelta d’amore: faticosa, intensa, devota.
La scrittura, per me, è una relazione con me stesso e con il mondo. Non mi ha mai chiesto il permesso. Mi ha solo chiesto verità.
 
Cosa l’ha spinta a scrivere questo libro?
La sensazione che molte storie, come la mia, non venissero raccontate.
Riflessi di Diversità è nato per dare voce a chi spesso viene messo da parte: chi non rientra nelle categorie, chi non ha l’accento giusto, il cognome giusto, la pelle giusta.
È un atto di amore, ma anche di denuncia. Un ponte tra chi è stato emarginato e chi non si è mai chiesto perché.
 
Quale messaggio vuole inviare al lettore?
Che la diversità è bellezza, è forza, è verità.
Che le etichette non bastano a contenere l’anima.
Che dietro ogni volto c’è una storia che merita ascolto.
E che in un mondo frantumato dall’indifferenza, la poesia può ancora essere un luogo in cui ritrovarsi interi.
 
La scrittura era un sogno nel cassetto già da piccolo o ne ha preso coscienza pian piano nel corso della sua vita?
Non era un sogno, era un istinto. Scrivevo per respirare meglio.
Con il tempo ho capito che quelle parole potevano parlare anche per altri, che non ero solo nel mio sentire.
Allora sì, la scrittura è diventata una coscienza: quella di essere uno strumento. Non per gridare, ma per raccontare.
 
C’è un episodio legato alla nascita o alla scrittura del libro che ricorda con piacere?
Ricordo una sera in cui ho letto una poesia davanti a persone che non mi conoscevano, eppure piangevano come se ci fossimo cresciuti insieme.
È lì che ho capito che le parole giuste toccano corde che nessun confine può dividere. Quella sera ho smesso di chiedermi “perché scrivo?” e ho iniziato a chiedermi “per chi?”.
 
Ha mai pensato, durante la stesura del libro, di non portarlo a termine?
Sì. Più volte. Perché ogni poesia mi chiedeva un pezzo di verità, e non sempre è facile mettersi a nudo.
Ma poi ho capito che se non lo scrivevo io, quel libro non sarebbe mai esistito. E che se non avessi avuto il coraggio di raccontarmi, avrei rinunciato anche a rappresentare tanti altri.
 
Il suo autore del passato preferito?
Ungaretti. Per la sua essenzialità, per la sua ferita trasformata in poesia.
Ha dimostrato che bastano poche parole, se sono vere, per restare incise più di mille discorsi.
Nel suo silenzio c’era una guerra. E nella sua guerra, una fede incrollabile nella bellezza.
 
Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
Credo sia una forma di accessibilità importante. Ma è un linguaggio altro.
L’audiolibro accompagna, guida. Il libro cartaceo, invece, lascia spazio. Ti obbliga a metterci del tuo.
Sono due strumenti diversi, ma se usati insieme, possono allargare il pubblico e il potere della parola.

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