Ci parli un po' di Lei, della Sua vita. Da dove viene? Come e quando ha deciso di diventare scrittrice?
Parlare di sé è una forma di esibizionismo che mi angustia negli altri, quindi non la tollero nemmeno per me stessa. Ritengo che si debba guardare all’opera, non all’autrice o all’autore.
Invece oggi il prodotto è lo scrittore, la scrittrice. Si scrive per diventare “qualcuno” soprattutto agli occhi degli altri.
Lascio pertanto parlare la mia produzione. Io sono “nessuno”. Bisognerebbe non firmare i libri, così come i pittori antichi non siglavano le loro opere. L’anonimato dovrebbe diventare una legge editoriale e artistica. Per questo uso eteronimi. E non sono sui social. Chi scrive rivela chi è nella sua scrittura, non narrando di sé.
Nell’arco della giornata qual è il momento che dedica alla scrittura?
Vivo con fogli e penna sempre a portata di mano. Non scrivo “a comando”. Quando arriva l’intuizione, la fermo sulla carta, non sul cellulare. Poi lascio maturare gli appunti presi al volo. Per settimane, mesi, ma anche per anni, fino a che avverto l’urgenza di sistemare i frammenti sparsi in una unità coerente, seguendo la visione o la voce che ha deciso per me, quasi in una esperienza medianica ma cosciente.
La notte invece è il periodo ideale per praticare esercizi come la “gestazione energetica”, di carattere propriamente esoterici, descritto nella Appendice di Vir Go.
Il suo autore contemporaneo preferito?
Ritengo che la categoria del “contemporaneo” si debba attribuire al pensiero, non ai dati anagrafici delle autrici o degli autori. Come non pensare alla coraggiosa e acuta Michela Murgia?
L’altra mia musa ispiratrice è Barbara Alberti, che ammiro profondamente.
Ma apprezzo molto anche la poetessa Sylvia Plath, mentre ritengo irrinunciabile le analisi storiche della filosofa e politologa Hannah Arendt che con il suo saggio-capolavoro “La banalità del male” ci aiuta a svelare anche le oscure dinamiche del presente. Tra gli autori, essendo di origine mantovana, ho un legame particolare con Virgilio e le sue “Georgiche”. Tra i moderni studio le opere di Hermann Broch, che con “La morte di Virgilio” restituisce al grande poeta della classicità il suo autentico anelito pagano di mistero e di magia.
Perché è nata la sua opera?
La mia opera è nata per elaborare una possibile “rinascita” o trasformazione psico-fisica tutta al femminile, anche se può coinvolgere entrambi i sessi. Oggi la scrittura è fenomeno di costume, pratica “popolare”. Tutti possono scrivere e pubblicare. Da un certo punto di vista questo va bene, è stimolante e “democratico”. Tuttavia occorre sviluppare nuove facoltà di discernimento. Scrivere non è un “mestiere”, almeno per me. So di pormi al di fuori delle regole del marketing editoriale, che si nutre del narcisismo di autrici ed autori, di visibilità. Eppure lo scrivere lo intendo come vocazione.
“Vir Go” è un racconto sulla scrittura.
Quanto ha influito nella sua formazione letteraria il contesto sociale nel quale vive o ha vissuto?
Il contesto sociale, soprattutto dell’infanzia e della adolescenza, ha influito certamente, ma in senso opposto al previsto. Ho sofferto la dimensione del piccolo paese nel quale ho vissuto, di “piccola Italia” o parrocchia in cui la tradizione cattolica esercitava ancora una influenza pervasiva riservando ai sacerdoti l’esclusività di un rapporto istituzionale con il divino. In questo contesto alla donna era riservata (come ancora oggi) una funzione ancillare e secondaria. In “Vir Go” ho cercato di descrivere la via di un riscatto da questa forma di emarginazione secolare, millenaria.
Scrivere è una evasione dalla realtà o un modo per raccontare la realtà?
C’è una letteratura di “intrattenimento”, che appunto “trattiene”, cattura l’attenzione del lettore e lo allontana dalla realtà per permettergli una specie di divagazione, di “diversione”, ovvero di divertimento focalizzando la mente su aspetti “irreali”, benefici o tossici che siano.
Poi c’è la cronaca che restituisce eventi reali, senza approfondire il significato di ciò che accade. Infine vi è la letteratura sur-reale, che esplora le forze che si agitano nel “back stage” del mondo reale.
In genere si confonde questa terza opzione con la prima, perché utilizza linguaggi e contenuti che possono sembrare non razionali. In realtà svelano l’invisibile che determina il visibile.
Quanto di lei c’è in ciò che ha scritto?
Ho cercato di identificarmi in una "avventura interiore" che fosse anche
trasformativa del proprio corpo e della sensibilità fisica, biologica. Della scrittura non mi affascina la scoperta della propria identità, quel che si crede o si vorrebbe essere, ma le possibilità di diventare “altro" da sé. Si è trattato quindi di un meccanismo di proiezione per disegnare una nuova identità anziché rafforzare quella storica-culturale, famigliare e scontata. A cosa serve scrivere se
non si diventa “diversi”?
C’è qualcuno che si è rivelato fondamentale per la stesura della sua opera?
No, non vi è stata una persona o una fonte unica di ispirazione. Le aree di generazione dell'idea base di "Vir Go" sono rappresentate dalla bioingegneria e dalle discipline psicofisiche-esoteriche come lo yoga e il qigong, la genetica e la mistica. Mi piace ibridare culture e mondi differenti.
La diversificazione dei saperi genera idee nuove e quindi concept innovativi. Il contrasto però è tutto apparente, La conciliazione degli opposti è la grande sfida che in un'epoca tecnologica, la cultura umanistica può assumere come obiettivo primario.
A chi ha fatto leggere per primo il romanzo?
Ad una amica e ad uno psicoanalista che conosco ed apprezzo da tempo
Mi attirava la possibilità di avere due pareri differenti. Non mi interessa tuttavia
il loro giudizio "tecnico" e nemmeno eventuali interpretazioni dei simboli e degli
archetipi contenuti nel testo. Solamente la loro reazione "a pelle", istintiva
di fronte ad un racconto sui generis, provocatorio per la tesi implicita della
"futuribilità" e superiore potenzialità del genere femminile.
Secondo lei il futuro della scrittura è l’ebook?
Il futuro sarà probabilmente dell'ebook e dell'audiolibro.
Ma rimarrà sempre l'esigenza di un coinvolgimento materiale, fisico, con il testo. Il libro rappresenta la materializzazione del pensiero e soddisfa il fattore tattile ed estetico del lettore. Bisogna anche considerare la prospettiva del cinema e della "realtà aumentata". L'esperienza visiva e virtuale contenderà spazi alla lettura tradizionale. Quel che sarà distintivo però non saranno gli “effetti speciali" di poco momento, ma l’autenticità del racconto e/o la sua originalità. La sfida non sarà sulla forma della narrazione, ma sulla qualità del contenuto, oltre le possibilità della Intelligenza Artificiale.
Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
Interessante perché fa ritornare il fascino della narrazione a livello
di racconto vero e proprio effettuato con la voce, la "phonè" del narratore: ritmo, timbro, tono, pause, volume. Inoltre l'audiolibro facilita l'accesso alla letteratura, ai testi scritti perché si può ascoltare "a mani libere", facendo altro. Tuttavia non tutte le "voci narranti" sanno trasmettere la suggestione e lo spirito di un libro. Un po' come la qualità della traduzione. La fedeltà della voce narrante al mood del testo è fondamentale, ma non è scontata.
Sto sperimentando con esperti un prodotto di IA che permetta al lettore di scegliere la phonè preferita, offrendo però un set di opzioni considerate ideali dall'autore o autrice.
