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22 Nov
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Intervista all'autore - Yari Lepre Marrani -

Che cos’è per Lei scrivere, quali emozioni prova?
Questa domanda mi riporta alla mia infanzia, alle scuole elementari e medie, quando ho iniziato a scrivere perché la mia mente era, già allora, una fucina di idee che non potevo trattenere.
A 12 anni ho scritto un lungo romanzo horror-fantascientifico e le prime poesie. Il ricordo di quegli anni di studio e creatività mi riempie ancora di splendidi ricordi perché è stato allora che la scrittura narrativa e poetica è entrata nella mia vita. A 8 anni i miei genitori mi portarono da un noto mistico e sensitivo indiano, Baba Bedi XVI. Avevo solo 8 anni, un bambino, ma quando Baba Bedi mi guardò e mi parlò mi disse queste testuali parole: "Tu devi scrivere e sai perché? Perché hai la testa piena di pensieri". Frase premonitrice. Ho fatto mio il motto: creare è sinonimo di vivere. Per me scrivere è una delle componenti primarie della mia psicologia: sia che scriva poesia o narrativa, la pagina bianca che mi si apre è per me un contenitore da riempire non solo con le mie storie frutto di fantasia ma con le mie idee, altrimenti non alternerei la scrittura di poesia e narrativa a quella di divulgatore culturale "dai mille interessi", su numerosi giornali italiani. L'emozione che provo è diversa a seconda del genere che affronto: la poesia è una grande forma di liberazione che voglio sempre trattare con un occhio attento allo stile; ma è importante che le pulsioni creative racchiuse nella mia mente trovino sfogo e realizzazione. Potrei ridurre le emozioni che provo quando scrivo a due soltanto: un profondo sentimento di autorealizzazione unito all'emozione di vedere i miei pensieri che prendono forma. Credo non basti l'ispirazione e la fantasia se si vuole trasformare la scrittura nella tua vita e professione: ci vuole un lavoro costante, quotidiano che ti permetta di scrivere non solo per passione ma, anche, per diffondere i propri scritti. Credo non ci sia più grande sentimento di frustrazione di quello che si prova quando scrivi un'opera - poetica, narrativa o saggistica - e la tieni nel tuo cassetto o, dati i tempi, è meglio dire nel tuo pc.
Uno scrittore dovrebbe scrivere tutti i giorni. Ma l'emozione più intensa che io personalmente provo quando scrivo è la soddisfazione di aver esternato i miei pensieri e se questi sono creativi, la soddisfazione è ancora più grande quando le mie storie immaginative sono apprezzate.
 
Quanto della sua vita reale è presente in questo libro?
Tutto quello che scrivo è frutto della mia vita, quotidianità, del mio essere più profondo. La silloge "I canti di un pellegrino" segue altre due raccolte poetiche ma è svincolata da esse. Nei Canti non c'è un vero denominatore comune se non quello che potrebbe provare un gioioso vagabondo nel riassumere in versi le diverse ispirazioni che la vita gli offre e non mi riferisco solo ad esperienze di vita concreta ma anche interiore, svincolata dalla vita reale. Così, temi come la memoria, l'amore platonico o carnale, la morte, e persino l'attualità sono temi che il mio pellegrino affronta con spirito sempre diverso, ora audace e aggressivo, ora languido e romantico. Ma c'è forse un poeta o uno scrittore le cui opere non siano frutto della sua interiorità e, quindi, della sua vita? Ho scritto questa silloge in due mesi, al ritmo di un componimento o due al giorno. E in un ognuno di essi è presente un'idea ispiratrice che trae origine dalla mia vita, vera o virtuale. E questa "idea ispiratrice" è nata, sempre, da sentimenti ed emozioni che mi sono connaturate come una certa esuberanza caratteriale e la passionalità. Credo che per conoscere un'artista, non c'è niente di meglio che leggere i suoi scritti. Ho scelto di coinvolgere la figura del pellegrino come un cantore alla maniera dei pellegrini medioevali che nel loro incessante incedere verso luoghi e paesaggi lontani e sempre nuovi, colgono dalle loro giornate quelle idee e ispirazioni che trasferiscono sulle loro pagine.
 
Riassuma in poche parole cosa ha significato per Lei scrivere quest’opera.
C'è sempre bisogno di poesia, in tutte le epoche. I poeti e i letterati sono i cantori dell'immaginazione, i figli della fantasia creatrice. Scrivere questa nuova raccolta poetica ha significato, per me, rimettermi in gioco con nuovi stili, temi e metodi per versificare le mie visioni e argomenti attraverso un mio nuovo personale approccio all'arte della Poiesis. Anche una poesia, breve o lunga, può esprimere concetti universali o storici, affrontare i più remoti recessi dell'anima come un romanzo.
 
La scelta del titolo è stata semplice o ha combattuto con sé stesso per deciderlo tra varie alternative?
Ho combattuto un po' con me stesso, devo ammetterlo. Avevo in mente titoli molto diversi tra loro ma, alla fine, desideravo un titolo più originale che stigmatizzasse il significato di questa raccolta poetica: un insieme di poesie che vogliono essere dei veri e propri canti, ciascuno avente un contenuto diverso. E l'idea del canto mi si è subito collegata a quella del cantore, in questo caso io. Così ho scelto la seconda parte del titolo relativa al pellegrino. Mi è subito tornato alla mente il ruolo dei grandi cantori medioevali nelle corti regali antiche. Ed ho pensato che la figura del pellegrino ben si sposasse a quella di un poeta tutto proteso verso il futuro ma che non disdegna un certo classicismo di stile. Una figura che ho sempre associato all'arte perché, chi meglio di un viandante per gli infiniti sentieri del mondo può raccontare la propria realtà psicologica esteriore e interiore attraverso frammenti, pensieri improvvisi e poesie raccolti sul suo diario? Ecco quindi com'è nato il titolo.
 
In un’ipotetica isola deserta, quale libro vorrebbe con sé? O quale scrittore? Perché?
Non ne porterei mai uno solo ma almeno quattro o cinque o anche di più. La lettura è la mia grande compagna di vita e, come pensava Gaio Sallustio, un ottimo rifugio dalle desolazioni della vita.
In primis porterei l'intera mia enciclopedia Bompiani della letteratura: la chiamo spesso "L'Enciclopedia della sapienza" per l'incredibile ricchezza di contenuti culturali, per la perfezione nell'analisi di personaggi e opere non solo letterarie ma storiche, mitologiche e religiose.
Porterei poi due libri del mio autore contemporaneo preferito, Stephen King: "Le notti di Salem" e la raccolta di racconti "A volte ritornano".
Porterei poi due classici di Tolstoj: La morte di Ivan ll'ic e Chadzi-Murat; Delitto e Castigo di Fëdor Michajlovič Dostoevskij. Infine porterei due romanzi, il Tenente e le Quattro ore di Satana di Ron Hubbard, fondatore di Scientology. La motivazione? Sono tutti romanzi diversi per genere e trama ma tutti hanno lasciato un profondo segno nel mio cuore.
 
Ebook o cartaceo?
Ebook e cartaceo: ormai sono una realtà editoriale parallela che deve sempre espandersi. Non credo che il futuro sia solo nell'ebook perché il cartaceo sarà sempre il migliore approccio diretto ad un libro: un testo non bisogna solo leggerlo, bisogna averlo tra le mani, sentirne il profumo delle pagine, logorarlo se è il caso a dimostrazione che tu (un tu generico) l'hai letto avidamente e fatto tuo.
 
Quando e perché ha deciso di intraprendere la carriera di scrittore?
La mia carriera di scrittore non nasce per caso ma si è sviluppata lentamente, frutto di diverse esperienze esistenziali e di improvvisi mutamenti nel corso della mia vita. Oggi posso dire che la scrittura è un elemento vitale della mia esistenza.
L'idea di scrivere per lavoro e passione è sempre stata presente in me, sin dall'infanzia, come anticipato nella prima domanda. Ci sono però voluti anni di tentennamenti e occasioni mancate per decidere che la scrittura creativa, narrativa e culturale è indispensabile al mio benessere, pertanto irrinunciabile.
 
Come nasce l’idea di questo libro? Ci racconterebbe un aneddoto legato alla scrittura di questo romanzo?
L'opera pubblicata è una silloge poetica, non un romanzo. L'idea di scrivere una terza raccolta di poesie è nata dall'idea, profonda e convinta, che un poeta non può smettere di alimentare questa bellissima forma d'arte che si nutre di simboli,
non può fermarsi se ha avuto il magico dono di amarla e volerla scrivere e trasmettere. Inoltre, "I canti di un pellegrino" nascono in soli due mesi e vogliono tentare la strada di una poesia nuova, una mia poesia nuova, sempre attenta all'arte poetica classica che però non disdegna nuovi stili poetici e nuovi temi, sconosciuti alle precedenti raccolte pubblicate. Qui dominano le riflessioni in versi più che i racconti poetici di amori veri o lontani, le poesie venate di insegnamenti morali espressi in forma originale più che il componimento animato da un tema definitivo e assoluto. Qui tutto si mescola nell'ideale viaggio di un pellegrino che ha raccolto molto dai suoi pellegrinaggi e ha voluto cantare un insieme di liriche aventi come protagonisti i sentimenti raccolti ed elaborati dalle sue esperienze.
 
Cosa si prova a vedere il proprio lavoro prendere corpo e diventare un libro?
Credo sia una delle emozioni più sublimi per un autore.
Il poeta e lo scrittore, quando trasformano i propri scritti in un libro, partoriscono il proprio figlio letterario, vedono le loro parole, le loro idee passare dall'anonimato al pubblico. Un'emozione bellissima.
 
Chi è stata la prima persona che ha letto il suo libro?
Non l'ho fatto leggere a nessuno, a parte qualche componimento che volevo sottoporre al giudizio altrui. Per il resto, ho scritto l'Opera e ho subito cercato di pubblicarla.
 
Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
È una forma interessante di conoscenza di un libro perché mescola il contenuto del testo alla recitazione di un attore, il quale saprà modulare benissimo la propria voce per trasmettere ai lettori un valore aggiunto del libro stesso.
Credo sia importante sfruttare questa nuova frontiera dell'editoria.

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