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14 Ott
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Intervista all'autore - Alessandro Berrino

1. Ci parli un po' di Lei, della Sua vita. Da dove viene? Come e quando ha deciso di diventare scrittore?
Allora, il mio nome (come forse saprete) è Alessandro, ma quasi mai vengo chiamato con questo nome, tant'è vero che spesso dimentico di chiamarmi così (hahaha). Piuttosto, i miei amici e conoscenti mi chiamano Berry, oppure ancora Sasha, che è il diminutivo di Alessandro nelle lingue dell'Europa orientale.
Ad ogni modo, io sono un ragazzo, ho compiuto pochi giorni fa 18 anni, e nonostante ciò continuo a dire che ho 17 anni e 12 mesi (ormai e mezzo). Di professione beh, faccio lo studente, che a differenza di quanto spesso si sente in giro è un lavoro vero e proprio, sì, con responsabilità limitate rispetto ad altre occupazioni, ma che spesso e volentieri riesce a mettere in difficoltà anche le persone più capaci nello studio e in generale nel lavoro scolastico. Non sono certo un "secchione", per usare un termine che generalmente preferisco evitare in quanto lo considero volgare o comunque poco educato e soprattutto rispettoso, ma neanche posso dire di essere un "fallito". In generale, posso dire di essere uno studente nella media, che va abbastanza bene in quasi tutto ma senza eccellere troppo.
Io non mi considero uno scrittore, anzi. Io non ho deciso di scrivere il libro che ho scritto per intraprendere una carriera da autore o da giornalista, in realtà ambisco a diventare - con un po' di fortuna e di duro lavoro - un diplomatico, magari un ambasciatore. Lo so, sembrerà un sogno particolarmente complesso da far avverare, ma del resto preferisco mettere in pratica quasi sempre nella mia vita il famoso motto dannunziano (benché non sia proprio un ammiratore di questo scrittore) "Memento Audere Semper", cioè "Ricorda di osare sempre", in altri termini Carpe Diem. È giusto osare, se crediamo di avere anche la più piccola delle possibilità di veder soddisfatto il nostro desiderio, i nostri sogni (ovviamente sempre nel rispetto della legge e delle altre persone).
Comunque, se è vero che non mi considero uno scrittore, è altresì vero che considero la scrittura una forma di espressione di particolare importanza e soprattutto efficacia, che può essere usata anche da quanti hanno un qualche problema che assilla le loro menti e li mette in difficoltà. La scrittura è quindi sia un modo per parlare alle persone, a molte più persone rispetto a quelle con cui potremmo interagire con il solo uso della voce, ma anche un modo per trovare pace, mettere fine ad alcuni problemi. È proprio con queste convinzioni che ho deciso, già nell'estate del 2020, che avrei presto scritto un libro. Avevo bisogno di un catalizzatore, un qualcosa dove poter mettere tutto il mare di emozioni che in quel periodo particolarmente complesso, dato il termine del terzo anno scolastico in piena pandemia da Covid-19, provavo. Tuttavia, "C. R. I. S. I." è nato solo a marzo del corrente anno (2021), prima avevo solo buttato giù qualche idea senza però aver concluso mai nulla.
 
2. Nell’arco della giornata qual è il momento che dedica alla scrittura?
Devo essere sincero, io non ho un orario preciso quando scrivere. Nonostante i consigli di numerosi scrittori di fama mondiale, per esempio lo stesso Stephen King, mi trovo molto più a mio agio quando non devo avere degli orari fissati, senza alcuna possibilità di variare, di suddividere il tempo a mia disposizione con tutto ciò che devo fare, sia ovviamente per la scuola che per tutte le altre cose. In linea generale, quindi, io scrivo un po' quando capita, quando ho voglia di farlo, senza alcun tipo di obbligo autoimposto.
 
3. Il suo autore contemporaneo preferito?
È una domanda difficile. Non ho mai pensato veramente a chi sia il mio autore contemporaneo preferito, forse perché in realtà preferisco leggere opere del passato o quantomeno abbastanza datate. Pertanto non vorrei osare sporgermi tanto, ma magari quello che apprezzo di più è Carlo Lucarelli, per il suo stile intrigante, particolare, interessante, seguito probabilmente da Umberto Eco (si, lo so, non è esattamente contemporaneo, però mi sento di annoverarlo fra questi).
 
4. Perché è nata la sua opera?
La mia opera è nata come un'inchiesta giornalistica per il giornale scolastico del quale faccio parte, Il Corriere del Marconi, sulla storia della Seconda Repubblica, quindi di quel periodo compreso tra il 1992 e i giorni nostri caratterizzato da numerosi e spesso repentini cambiamenti radicali sia nella politica che in generale nella società italiana. Doveva essere un articolo dedicato ai 160 anni dell'Unità d'Italia, non più lungo di qualche pagina, però alla fine si è rivelato un testo suddiviso in più capitoli e di parecchie decine di pagine. Allora ho deciso che avrei proseguito con la scrittura di quello che sempre di più sembrava un vero e proprio libro, una specie di saggio storico-politico basato sul ragionamento e soprattutto sul concetto di "repubblica democratica rappresentativa" nel nuovo secolo, o comunque dopo le stragi di Capaci e Via d'Amelio, trovando come filo conduttore di quasi tutta la vicenda l'agenda scomparsa e mai più ritrovata di Paolo Borsellino, da cui il colore rosso della copertina del mio libro (il quaderno del magistrato era infatti di questo colore).
 
5. Quanto ha influito nella sua formazione letteraria il contesto sociale nel quale vive o ha vissuto?
Purtroppo o per fortuna, il contesto in cui ho sinora vissuto ha avuto una forte influenza su praticamente tutto quanto, compresa la mia formazione letteraria. Io appartengo a una famiglia che da generazione è impiegata nel settore musicale-teatrale, dunque artistico. La mia "anomalia", se così può essere definita, cioè la mia passione per quanto concerne la politica, il giornalismo, la diplomazia e la scrittura, da un certo punto di vita è sempre stata supportata e permessa, dall'altra è stata vista come una forma quasi di pazzia, di "ossessione foscoliana". Non escludo certo che ci sia una qualche forma di invidia per quanto ho avuto la fortuna di fare, però forse (e dico forse) ciò che ho fatto ha determinato la convinzione che le persone, certe persone, hanno di me. Certe esagerazioni, certe cose che forse avrei fatto meglio a evitare...
Comunque, vi è un fatto che è stato determinante nella mia decisione di scrivere di un argomento così strano per un ragazzo della mia età come la politica, e questo fatto è che molte, troppe persone che conosco, spesso anche i miei parenti e amici più stretti, hanno una sorta di convinzione che niente possa essere fatto per cambiare la situazione in cui viviamo, per risolvere certi problemi e certe crisi che ci trasciniamo come un'ancora pesante da sin troppo tempo. Io per mia natura cerco di essere sempre, o quasi sempre, ottimista, non tanto perché so che le cose andranno meglio o perché "ho due fette di salame sugli occhi", come direbbe qualcuno, ma perché desidero veramente che in un futuro che si avvicina sempre più la situazione migliori, e per far sì che questo possa avverarsi è necessario che ognuno di noi agisca con forza e coraggio, che tutto ciò non rimanga solo un insieme di parole scritte su un foglio o su uno schermo bianco. Lo so, forse è un'utopia, ma preferisco essere sognatore che dare per realismo quello che è un vero e proprio pessimismo.
 
6. Scrivere è una evasione dalla realtà o un modo per raccontare la realtà?
Scrivere può essere sia un'evasione della realtà che un modo per raccontarla. Nel mio caso magari è stato un modo per raccontarla, ma ciò non esclude che per qualcun altro non possa essere un modo per scappare da quelle difficoltà di cui sopra, specialmente per quelli che hanno parecchie difficoltà a gestire queste ultime e che si ritrovano quindi in un circolo vizioso dal cui è spesso difficile uscire senza un aiuto o un qualcosa dove o con cui poter sfogarsi liberamente, ritrovare la retta via in mezzo alla selva oscura.
 
7. Quanto di lei c’è in ciò che ha scritto?
Io sono convinto del fatto che in ogni libro vi sia almeno una piccola percentuale dello scrittore, del suo animo e delle sue credenze. Per nostra natura, noi umani tendiamo a mettere noi stessi in ciò che facciamo, è una delle molte cose che ci differenziano da un computer attaccato a un corpo fatto di carne e ossa. Nel mio libro c'è molto di me stesso: le mie convinzioni, la mia fede politica, la mia storia, la mia vita in tutte (o quasi) le sfaccettature. E devo dire che di ciò ne sono particolarmente orgoglioso e felice, perché vuol dire che resterà per sempre, o comunque per parecchio tempo, ciò che ho voluto ricordare. Una sorta di scatola del tempo, quindi, un modo per non dimenticare in un futuro che non è poi tanto lontano ciò che ho fatto nella mia adolescenza.
 
8. C’è qualcuno che si è rivelato fondamentale per la stesura della sua opera?
Diverse persone, in realtà, hanno avuto particolare importanza nella creazione e nella pubblicazione del mio libro. Le ho già indicate nella sezione "Ringraziamenti", ma desidero ricordarli ancora una volta e soprattutto ringraziarli con tutto il cuore.
Ovviamente, i miei genitori, che mi hanno dato i mezzi e le risorse per scrivere e far avverare quasi tutti i miei sogni. Non sarei qui senza di loro, letteralmente!
I miei amici, e soprattutto le mie amiche Alba ed Erica, che mi hanno dapprima supportato quando tenevo di non riuscire a finire di scrivere il libro, giunto pressapoco a metà dalla sua creazione, e poi aiutato in tutte le fasi della pubblicazione sia dandomi importanti consigli, che agendo in prima persona per pubblicizzare il mio testo.
I miei docenti, soprattutto quelli di italiano e storia, per la verità tutti quelli che ho sinora avuto. Ho sempre mantenuto ottimi rapporti con questi, a differenza di quelli delle materie scientifiche, con i quali invece ho avuto parecchi screzi nel corso della mia carriera scolastica. Sarà forse perché ho più attitudine con le materie umanistiche, bah, non lo so. Ad ogni modo, oltre ad avermi dato le conoscenze senza le quali non sarei qui a dare questa intervista alla vostra Casa Editrice, la cosa probabilmente più importante è stata l'aver sempre favorito la ricerca, il confronto e la discussione civile tra gli studenti, cosa che è di primaria importanza per il futuro della società, cioè noi giovani. Qualcuno dirà, hanno fatto solo bene il loro lavoro, ed è vero, ma di questo io ne sono profondamente grato.
Altri, molti altri, si sono rivelati non meno importanti per la stesura del libro. Non vorrei tuttavia spendere sin troppe parole, perché so che loro sono a conoscenza di questo fatto, quindi mi sento di fare un semplice, ma sentito ringraziamento a tutti quanti ancora mi hanno aiutato, supportato e permesso di scrivere il mio primo libro, che chissà, forse è solo un'ouverture di una lunga serie di libri...
 
9. A chi ha fatto leggere per primo il romanzo?
In realtà, i miei amici e conoscenti si sono rifiutati di leggere il libro prima della sua effettiva pubblicazione, quindi il primo a leggere effettivamente il libro è stato mio padre, quando è arrivata a casa la copia in omaggio-bozza cartacea, e anch'esso non completamente. Per la verità, dunque, ad oggi nessuno ha ancora letto completamente il mio libro, se non ovviamente i lavoratori della vostra Casa Editrice che hanno curato la pubblicazione e tutte le altre fasi, tra cui ovviamente la correzione delle bozze.
 
10. Secondo lei il futuro della scrittura è l’ebook?
Devo essere sincero, non credo che il futuro della scrittura sia l'ebook. Sì, magari è un sistema moderno che è entrato in questo settore da non troppo tempo e nonostante ciò ha avuto parecchio successo, ma da qui a dire che il futuro della scrittura sarà l'ebook la considero un'esagerazione inutile. Ci sarà sempre e comunque, io stesso sarò così, che preferirà di gran lunga la carta al digitale, anche solo come alternativa al recente incremento verticale dell'uso della tecnologia in praticamente ogni cosa della nostra vita. Io scrivo sempre a penna, e di preciso con la stilografica, e solo poi se proprio necessario con la tastiera digitale del mio tablet. In effetti, mi sono talmente tanto abituato a scrivere con la stilografica che mi risulta assai difficile scrivere con la penna a sfera quando sono costretto ad usarla. Se si aggiunge poi il mio mancinismo (del quale vado fiero e sostengo l'importanza e la rarità di una condizione del genere, che è stato dimostrato essere particolarmente vantaggiosa per la mente umana), capirete anche voi la difficoltà che a volte mi capita di affrontare quando scrivo, e nonostante tutto preferirò sempre e comunque un buon inchiostro e una buona carta a una serie di pixel su uno schermo bianco.
 
11. Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
Anche qui, sicuramente è un sistema particolarmente interessante per permettere, soprattutto ai non vedenti, di apprendere comunque le informazioni presenti su un libro, ma non posso dire di essere completamente convinto da questa nuova "tecnologia", se così la si può definire. Non deve per nessun motivo diventare un'alternativa completa alla lettura di un libro, perché rischia di avere lo stesso effetto della scrittura digitale, e cioè che le nuove generazioni non sanno più scrivere in corsivo e a malapena riescono a usare lo stampatello maiuscolo (!). L'audiolibro non deve perciò portare la gente a non saper più leggere, perché rischieremmo di tornare a non molto tempo fa, quando sin troppe persone erano analfabete e quando cose come la scrittura e la lettura erano viste come cose secondarie, inutili per una vita di lavoro. Quindi, in conclusione, per me l'audiolibro è sicuramente una risorsa interessante e anche abbastanza utile, ma come tutte le cose deve essere adoperato "cum grano salis".
 
 
 
 

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Giovedì, 14 Ottobre 2021 | di @BookSprint Edizioni