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02 Ott
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Intervista all'autore - Elio Sicano

1. Che significa per Lei scrivere ?
 Scrivere fantasie, ossia “a briglia sciolta”, per uno abituato a scrivere per lavoro, come utile corredo della professione (per esempio, di insegnante – come nel caso mio), significa passarsi lo sfizio di poter dare corso ai pensieri in libertà, fermo restando che spiegare quel che si vuol comunicare è quasi doveroso per farsi bene intendere dall’interlocutore. Insomma, scrivere a ruota libera significa in verità allentare la vigilanza sui pensieri reconditi, preoccuparsi un po’ meno di trasmettere sempre un’immagine di noi stessi il più possibile gradita: in fondo, è un esercizio di libertà, gratificante e pericoloso, cedendo alla tentazione bella e terribile dell’autenticità, pur col salvacondotto rituale dell’invenzione fantastica. Ma, contemporaneamente, è sempre un involontario svelamento autobiografico.

2. Lei, forse per scusabile abitudine  di far lezione, tende a generalizzare, scantonando dal succo della curiosità che stimola  la mia inchiesta: che significato ha avuto  per lei questa volta scrivere il suo romanzo?
  Ha ragione, ma non volevo trascurare la curiosità concernente forse la “fattura” di questa mia opera. In tal senso posso rispondere a tono e, da inventore della fiction, chiarire che ho voluto narrare una storia plausibile di vita civile, ambientandola in una ben precisata epoca della storia italiana - quella del secondo dopoguerra del ‘900, tribolata a partire dal famoso ’68 dalla rivolta studentesca - prendendo lo spunto dalla vicenda abbastanza ordinaria di una coppia di coniugi in crisi coniugale quasi irreversibile. Ho cercato di scavare il travaglio psicologico dei personaggi principali, soprattutto del marito, Fabio, di cui mi sono ingegnato di ricostruire la complessa personalità col lumeggiarne la depressione, proprio nel momento fatale in cui gli si offre un’occasionale insperata via di fuga dall’avvilente routine coniugale. Questa scappatoia è costituita dalla fortuita comparsa sulla scena di una giovanissima e bella allieva, Ada, che suscita   in Fabio una sconvolgente giovanilistica infatuazione, e anche la pertinace illusione di poter ricominciare assieme a lei una nuova vita, non appena ottenuto il divorzio dalla moglie Elsa, creatura, peraltro, caratterialmente aggrovigliata, afflitta per giunta da una penosa malattia terminale.
Questo clima favorisce l’orditura delle necessarie coordinate che permettono d’inventare a fagiolo l’episodio clou del romanzo, cioè la scelta esistenziale, da parte del protagonista principale, se abbandonarsi o meno all’ irruenza di un’appagante nuova passione amorosa,  accantonando cinicamente ogni remora nutrita  dalla   memoria di un felice connubio   d’amore, ormai spento in seno a una  sepolta stagione di vita, oppure non disertare dall’assistenza alla moglie in fin di vita, porgendo ancora orecchio al residuo di buoni sentimenti, imbevuti dai principi - per lui ormai un po’ traballanti - di un’educazione cattolica, e intessuti nella trama dell’educazione borghese ricevuta da  giovane.
A questo punto dell’intervista l’autore deve tacere, o al più -- se abilmente condotto   dall’intervistatore – può ventilare ipotesi risolutive della trama, ma concludere sempre enigmaticamente: il mio romanzo non è un giallo, ne ha solo le movenze. Il sospiro di sollievo per aver finalmente afferrato la soluzione, può essere tirato dal benigno lettore solo dopo averne compiuto una lettura integrale, anche se poi, alla fine, non si scopre affatto la presenza dell’assassino.
 
3.  Lei ha un modo spregiudicato di dare seguito a un’intervista, perché tira la volata all’intervistatore. Lei fa in modo che, per non lasciare il pubblico a bocca asciutta, egli   continui a chiedergli semplicemente: E poi ?
  E poi, chi vuol conoscere la “Finale”, si compri il libro! Scherzo, non desidero sembrare scortese. Si, è un po’ vero, mi lascio prendere dalla voglia di sottolineare quella che, in fondo, è la suggestione che affiora nell’animo del cantastorie: scoprire come il frutto degli avvenimenti narrati sia prima di tutto l’insegnamento lasciato dalla fabula, ossia ciò che in modo spiccio viene definito “la morale”. La quale sempre c’è; si può attagliare a chiunque legga, ma invero vale per tutti. In questo caso, è il bisogno di solidarietà, esigenza implicita della buona coscienza che, se non viene traviata, genera comunanza di umanità, consapevolezza della propria insufficienza, sentimento di altruismo, in definitiva bontà (e perfino guarigione dall’angoscia, come nella vicenda che racconto); e riguarda la storia intima di tutti i personaggi.


4.  E allora, suvvia, ci lasci intuire, la sorpresa finale!
Dunque, il subbuglio psicologico patito dal protagonista principale, Fabio, finisce per acquetarsi in un risveglio di consapevolezza del suo status  di marito e dei doveri di solidarietà originaria che proprio la sua qualità di coniuge gli impongono;  tanto più se è la società stessa a ricordarglieli, attraverso l’esortazione dell’Autorità,  rappresentata in questa storia da una funzionaria statale, Nadia, che, in modo  misteriosamente casuale e incisivo, irrompe decisamente nell’andamento della vicenda  della sua crisi coniugale.  Questa svolta della narrazione introduce un epilogo catartico.

5. Continui, per favore!
 È proprio Nadia, infatti, a intervenire come il “Deus ex machina” nelle tragedie greche. Nadia   favorisce il compimento da parte di Fabio di un atto di generosa pietà che, per forza di cose, non collima con l’agognata voglia di fuggire con la giovane allieva Ada e ricominciare assieme a lei una nuova esistenza. Fabio finalmente fa la sua scelta!  Decide di seguire un moto compassionevole che lo rimette in sesto moralmente, lo spinge a sciogliersi nell’affetto comprensivo di chi lo sovviene, anche perché risveglia in lui la forza suadente di principi religiosi che, a ben vedere, rivelano una propria sintonia originaria con il  cambiamento  del sentire sociale della gente, particolarmente in senso comunitario, in parte anticipato in modo stravolgente nel  1968  dai  conati della rivoluzione studentesca dei così  detti “Figli dei fiori”, però  con discutibili atteggiamenti sopra le righe che dilagarono in Francia, in Italia e in mezza Europa.In fine, sento di dover osservare, fra l’altro, come la scelta morale che urge nell’ animo inquieto di Fabio, e che lo spinge a rinunciare a uno strafottente egoismo personale, sembri sublimarsi in lui in una sorta di coscientizzazione   sacrificale di sé, volta per così dire a riscattare i sensi di colpa dovuti alla sua negligente trascuratezza del rispetto dei canoni di un tradizionale perbenismo morale. Volendo ancora dilungarmi in argomento, non può dubitarsi che la ventata di irriverenza morale segnalata, come  ho già rilevato, dal modo di “vivere in completa libertà” delle giovani generazioni, abbia  influenzato  il risveglio della coscienza sociale, generando una  maggiore disponibilità a pratiche di altruismo; le quali, ancor più oggi, in verità, cooperano nel rilanciare, sul piano  etico- storico, la teologia di una sostanziale immedesimazione del cristianesimo nella carità evangelica,  praticata dai fedeli che credono nell’Incarnazione della divinità di Cristo (donde il sottotitolo del mio romanzo). Riconosco che sto travalicando la ragionevolezza di un’intervista, forse cedendo alla tentazione di una post-fazione, semmai atta a sviscerare la “poetica” dell’autore… Ma questo, lasciamolo fare ai critici di professione!
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Sabato, 02 Ottobre 2021 | di @BookSprint Edizioni