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23 Ott
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Intervista all'autore - Diego Romano

1. Ci parli un po' di Lei, della Sua vita. Da dove viene? Come e quando ha deciso di diventare scrittore?
Sono nato nel mese di novembre del 1973, il giorno 29. Ancora prima di nascere ho dovuto combattere. Mia madre naturale, che poi con il tempo ha perso ogni diritto, ha stretto tanto la pancia da quasi soffocarmi. Ci vuole la lungimiranza di una dottoressa che ha scoperto il fatto e nel togliere quelle fasce nascevo. Pesavo un chilo e 600 grammi. Ci vollero settimane di incubatrice e varie medicine da portarmi almeno di un peso di 2 chili da uscire da quel reparto. Il mio primo cibo fu del latte artificiale. Il latte materno non l’ho mai avuto. Anche se lei aveva dolori atroci per il seno. Poi nel tempo di qualche mese sono arrivato a casa dei miei nonni materni. Da lì non mi sono più mosso. Quella donna mi ha lasciato in quella casa senza più vedermi, né sentire le mie urla, che la chiamavo. Ci vollero 5 anni di indagini del tribunale e processi perché, io, fui adottato da miei nonni come genitori tutelari.
Iniziano le scuole. Ho odiato la scuola. Ero in una classe più ricca del paese ed io non lo ero. Non rimpiango niente, non mi è mancato niente da miei nuovi mamma e papà, tranne il fatto di chiamarli così. In quella classe c’era una maestra cattiva che odiava i bambini come me. Quando in tempo di Pasqua o di Natale si faceva il biglietto di auguri ero costretto a scrivere ai miei nonni. Ho odiato quella parola, come odiavo la scuola. Le elementari finivano e in quei 5 anni, nel bene e nel male, non sono mai stato bocciato. All’esame di quinta elementare, gli esaminatori presero mia “nonna” e li fecero tanti complimenti per il mio approccio e di come potevo essere in grado di superare qualsiasi esame. In quel momento in cui finiva quei esami, mi imposi, davanti a tutti, di chiamare i miei “nonni” papà e mamma. Fu il primo momento che facevo, per sfidare il mondo. Fu il più bel momento della mia vita. Cominciarono le medie, e la mia voglia di studiare era poca. Volevo solo giocare con i miei giocattoli. Ma ero felice il tempo passava lieto. E finivano le medie con qualche intoppo di essere bocciato per la prima volta. Poi cominciavo a lavorare presso una ditta di meccanica. In quel lavoro che persi due dita della mia mano sinistra. Erano passati anni e di mia madre naturale non ne sapevo più niente. Tranne qualche lettera sporadica di tanto in tanto. Fino a che, voleva tornare, per qualche giorno, con gli altri figli. Nel tempo che mi ha lasciato ha avuto altri due figli, che ha tenuto e allevato, tranne me. Ero ancora arrabbiato, e quei momenti che passava qui erano un odio totale. E passa anche questo. Parto per il militare. Un anno difficile tra le scorribande degli anziani di leva e la droga che mercanteggiavano gli ufficiali fu un anno da dimenticare. In quel anno sono diventato cattivo e ancora più arrabbiato. Ero stato di nuovo tradito. I miei genitori non sono riusciti a tenermi a casa. Non gli diedi mai la colpa. Era un tempo che dovevo fare. Era più loro che si colpevolizzavano del fatto. E anno passò. Ed io ero senza lavoro. Ci vollero 9 mesi di tempo e poi con una domanda, che mi ha fatto un mio vecchio professore, sono riuscito ad entrare, all’epoca, nella città mercato. Il lavoro mi piaceva, anche se facevo solo 4 ore al giorno, e ancora oggi faccio. Le ditte cambiano nome, cambiano le loro esigenze, ma io sono riuscito a rimanere. Ero felice il tempo che passavo con i miei, mi hanno portato a comprarmi il mio primo computer. E da lì, ho cominciato a scrivere. Prima, copiavo dai libri di mamma, le preghiere e i salmi, poi ho cominciato a scrivere racconti. Ma non ho mai avuto il coraggio di pubblicare. Con avanzare degli anni i miei si invecchiavano e con la vecchiaia vengono le malattie. Il primo ad andarsene è stato mio padre dopo anni di tormenti e operazioni in tutto il corpo. L’intestino che si era bloccato. I polmoni pieni di fumo che aveva da quando era giovane. E per ultimo il cuore con un’aritmia pericolosa che ogni tanto perdeva i sensi. Ci vollero sei mesi di letto, in casa, e io e mia madre ce ne occupavamo. Una mattina alle 6:30 circa si spegne il suo corpo. Non so come mai, non ho pianto. Ho pianto prima, quando i dottori ci dicevano che aveva poco tempo. Ma al suo funerale, non mi è scesa una lacrima. È successo nel 2005 in aprile. Ho fatto solo una promessa su quella bara. Avrei provveduto e protetto mia madre. Il tempo non perdona. Mia madre era una quercia dura da abbattere. Nel 2012 ha avuto un collasso respiratorio che ci è voluto ben 10 giorni da fare in modo che tornasse ed io ero là tutti i giorni, tutto il giorno con maschere di ossigeno che li ricopriva il volto. Ed è passato anche quello, ma il fatto la indebolita. All’età di 94 anni che ci lasciò, nell’ospedale della poli-ambulanza di Brescia, ed io non c’ero, in quel momento. C’ero nel giorno, ma la sera tornavo a casa. Ma non era sola c’era sempre qualcuno della famiglia, dei suoi figli. Come fratelli siamo divisi. Con le nostre vite, con i nostri problemi ma in quell’attimo, poco o meno, c’era qualcuno. In quel momento che ho smesso di scrivere. Non c’era più nessuno che leggeva, o sentiva i miei scritti. Mia madre era severa sui i miei scritti, ma le piacevano, e diceva che non erano mai uno uguale al altro. Morì in agosto del 2015. Ci vollero quattro anni prima che ricominciavo a scrivere. E scrivo poesie.

 

2. Nell’arco della giornata qual è il momento che dedica alla scrittura?
Il pomeriggio. Il mattino sono sul lavoro e fino, adesso con orari flessibili, alle 14,00 sono impegnato con il lavoro. Quando mi cambieranno gli orari, di conseguenza mi attiverò in altro senso. Cerco di scrivere le mie poesie ogni giorno.


 

3. Il suo autore contemporaneo preferito?
Luis Sepulveda.


 

4. Perché è nata la sua opera?
È nata per caso sono una collezione di poesie che ho cominciato a scrivere dopo quattro anni dalla morte di mia madre.


 

5. Quanto ha influito nella sua formazione letteraria il contesto sociale nel quale vive o ha vissuto?
In quello che vivo, poco. Che ho vissuto tanto. Le mie poesie parlano di giorni di guerra, per la precisione la seconda guerra mondiale, il quale ha toccato mio padre come soldato del re. Parlano dei ricordi che ho su i miei genitori. Di fantasie di angeli, e varie emozioni che in quell'istante mi viene in mente.


 

6. Scrivere è una evasione dalla realtà o un modo per raccontare la realtà?
Un po' tutte due. alcune poesie parlano del problema di uomini che non accettano le donne. Di disturbi, di bambini in terre che c'è la guerra, di soldati nel nostro tempo di leva, quando c'era, e soldati in un fronte dove la guerra è consuetudine.


 

7. Quanto di lei c’è in ciò che ha scritto?
Poco. Le mie fantasie, le memorie di racconti di mio padre, la religione che mi spiegava mia madre.


 

8. C’è qualcuno che si è rivelato fondamentale per la stesura della sua opera?
No.


 

9. A chi ha fatto leggere per primo il romanzo?
Ad altre case editrici.


 

10. Secondo lei il futuro della scrittura è l’ebook?
Io sono di vecchio stampo. Mi piace il libro cartaceo. Ma non disdegno la tecnologia e il futuro della scrittura in ebook.


 

11. Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
Deve essere sempre al servizio del lettore. Ogni genere di lettore.


 

 

 

 

 

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