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17 Set
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Intervista all'autore - Annica Cerino

1.Ci parli di Lei, della sua vita. Da dove viene. Come e quando ha deciso di diventare scrittore?
Sono nata e cresciuta in un paese della provincia di Salerno, Cava de’ Tirreni. Mi sono trasferita in Emilia Romagna con una precisa consapevolezza: quella di diventare altro da ciò che mi si stava cucendo addosso. Dovetti lasciare tutto per fare questo passo nel buio: lavoro, casa e l’auto. Sono partita, così, senza niente. Solo con la voglia di realizzare i miei sogni e i miei progetti. Con questo non rinnego le mie radici e chi sono, anzi. E soprattutto, non dimentico mai il mio background, l’educazione, le tradizioni, quella cultura che è incarnata in me e di cui vado fiera. Sono orgogliosa di non aver mai né dimenticato, né rinnegato, altrimenti non potrei fare il lavoro che faccio: occorrono radici per poter volare in sicurezza.
Quando sono partita, nonostante tutto e tutti, avevo solo una gran voglia di scoprire, con uno sguardo nuovo, il mondo, le relazioni e le persone, avevo una gran voglia di mettermi in gioco e vedere cosa sarei stata capace di fare da sola. Oggi, posso dirmi soddisfatta! 
Non ho mai avuto l’idea di fare la scrittrice, ho sempre scritto e basta. Solo ultimamente, fa capolino questo pensiero di potermi dedicare alla scrittura in maniera più costante. Da scrittrice, insomma. Intanto continuo a scrivere quasi ogni giorno sul mio blog: annicacerino.com.
Poi... ho in cantiere un altro libro di cui adesso non vorrei parlare.
 
2.Nell’arco della giornata qual è il momento che dedica alla scrittura?
 Dipende dalla quiete che c’è in casa. Se sono da sola ogni momento è buono per scrivere.
Solitamente, l’ispirazione di un mio articolo o di un racconto è il risultato della riflessione su eventi della vita ordinaria.
 
3.Il suo autore contemporaneo preferito?
  Margaret Mazzantini. Riesce a raspare nell’animo umano e allo stesso tempo a restituire la poesia che è in ognuno
 
4.Perché è nata la sua opera?
“Praticare il Perdono” nasce dalla mia esperienza personale. E dalle mie esperienze professionali.
Quando si inizia un percorso di conoscenza personale, o di terapia, secondo me, nella stanza accanto al paziente è seduto il Perdono. Sta lì, che attende di essere visto e riconosciuto.
 Ad un certo punto si prende in considerazione l’eventualità di essere più indulgenti con se stessi e di accettarsi per tutte le fragilità che ci hanno condotto a subire offese, umiliazioni e la mancanza di amore. Ma soprattutto, si inizia un percorso di accettazione dell’altro, dell’offensore. Di colui che ha colpito direttamente al cuore delle nostre vulnerabilità, colui o coloro che non ci hanno amato, non ci hanno sostenuto, non ci hanno saputo proteggere, di coloro che non hanno saputo ascoltare i nostri bisogni, coloro che hanno tentato di uccidere la nostra stima. Riuscire a comprendere una persona che, in qualche modo, riteniamo il nostro avversario, vuol dire iniziare ad incamminarsi sul sentiero del perdono.
Non è facile, ma è possibile.
Comprendere l’altro, il cosiddetto “cattivo”, significa riuscire a trasferirsi nel suo corpo, nei suoi pensieri, nella sua vita e nelle sue mancanze emotive. Vuol dire lasciare fuori il giudizio rancoroso verso quella persona e guardarla dalla sua prospettiva. Potremmo scoprire una persona con fragilità ataviche, che non ha mai elaborato e superato. Potremmo scoprire che la mancanza di elaborazione è il frutto di limiti personali che non tolgono dignità alla persona, ma semplicemente, la rendono solo maledettamente umana. Proprio come noi.
 
5.“Praticare il Perdono” perché questo titolo?
 Il concetto di pratica rimanda all’idea di consuetudine e di concentrazione, di qualcosa che si fa consapevolmente e in maniera costante, ma rimanda anche all’idea di avere una maggiore padronanza delle proprie emozioni e della propria mente. 
Il perdono si pratica tutti i giorni e con un’attenzione particolare a ciò che accade dentro e intorno a noi.
Il perdono è un percorso volto all’autorealizzazione di un nuovo modo di essere e di sentire che dovrebbe acquietare quel rumore di sottofondo che condiziona il proprio esser-ci nel mondo, dovrebbe riappacificarci con noi stessi, sfumare le agitazioni interiori che condizionano le relazioni con gli altri.  Se vogliamo perdonare, la vita quotidiana ci offre tante opportunità.
In altre parole, se nella ordinaria quotidianità, nelle più banali relazioni con gli altri riusciamo ad intravedere, solo intravedere, le proprie chiusure, e i propri angoli acuminati, dovremmo anche riuscire, in queste, a vedere il riflesso di una paura e dunque di un comportamento difensivo, che origina da un passato che non c’è più.
Un po' come Don Chisciotte che continua a lottare contro nemici inesistenti, noi continuiamo a vivere in trincea credendo di essere ancora in guerra e dunque l’altro sarà visto come un nemico da combattere.
E invece è solo il riverbero delle nostre più intime paure.
Inoltre, se riusciamo ad accettare la fallibilità dell’altro, come pure le incrinature caratteriali o di comportamento come analoghe alle nostre, più o meno consapevolmente, stiamo imparando a varcare i confini del proprio disagio esistenziale.
Stiamo imparando a perdonare.
Come in un processo alchemico, la fragilità si trasforma in forza. Col tempo e la dedizione.
Il perdono è un cammino che può durare anche tutta la vita.
 
 
6.Scrivere è un’evasione dalla realtà o un modo per raccontare la realtà?
Assolutamente no. Non è un’evasione. Anzi, è un modo per stare dentro la realtà, forse in maniera più avvinghiata. Per scrivere occorre essere presenti a se stessi e alla realtà intorno a noi, occorre annusarla, ascoltarla, guardarla, gustarla; scrivere è un’esperienza corporea.  Non puoi scrivere nulla se non sei presente a ciò che percepisci, se non riesci a sentire questa transumanza di emozioni e sensazioni tra fuori e dentro e viceversa. La presenza è la chiave della scrittura.
 
 
7.La scrittura è un colpo di fulmine o un amore ponderato?
La scrittura, in quanto arte, richiede disciplina, costanza e determinazione.
Per poter conoscere le infinite possibilità che un talento e il suo mezzo, in questo caso la scrittura, hanno ancora in riserbo per te, nei territori lontani dalla nostra coscienza, si ha bisogno di coltivarla. Sempre e con passione.
La scrittura esige che si scriva. Ciò che importa è il processo della scrittura, questa farà sciogliere le proprie inibizioni, dissolverà le proprie resistenze e di pari passo sarà foriera di nuove espressioni di sé.
 
 
8.Secondo lei il futuro della scrittura è l’ebook?
Mah, personalmente, sono della generazione dei libri e di quella che ha visto il passaggio della tv dal bianco e nero alla tv a colori.  A me piace molto tutta la sensorialità legata al libro in se stesso, difficile questa domanda. Ma credo che l’ebook possa agevolare un’umanità che viaggia e si sposta sempre di più… l’ebook è più leggero del libro. Non solo, forse è anche una scelta più ecologica…
 
9.Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
 Mi piace, ma preferisco sfogliare il libro.
 
10. chi ha fatto leggere per primo la sua opera?
Ad un caro amico di Salerno che non si è esimato dalle critiche, ma anche queste sono importanti purché vengano fatte in maniera da farti cogliere le aree di miglioramento.

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Giovedì, 17 Settembre 2020 | di @BookSprint Edizioni