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06 Giu
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Intervista all'autore - Michele Martinelli

1. Ci parli un po' di Lei, della Sua vita. Da dove viene? Come e quando ha deciso di diventare scrittore?
Sono una persona piuttosto riservata. Vivo a Bari con mia moglie Iole e mio figlio Francesco. Dopo aver lavorato per 35 anni in tre diverse aziende, nel 2018 ho lasciato il lavoro e ora mi godo il tempo libero. Leggo tanto e pratico un po' di sport, oltre a seguire gli allenamenti di atletica leggera di mio figlio. Inoltre mi piace molto cucinare e pertanto sono il cuoco ufficiale di casa.
Non ho deciso di diventare scrittore. A un certo punto della mia vita, quando ormai ero avviato verso la fine del mio percorso lavorativo, ho avuto un impulso, ho sentito l'esigenza di raccontare la mia esperienza lavorativa e il rapporto con le persone che mi hanno accompagnato durante gli anni. La vita è tutto un relazionarsi con la gente e se la relazione è di qualità sarà di qualità anche il risultato. Sul lavoro questo vale ancora di più perché sono in gioco interessi economici e sociali che non riguardano solo noi e i risultati aziendali sono fortemente influenzati dalle relazioni umane.
 
2. Nell’arco della giornata qual è il momento che dedica alla scrittura?
Il libro è stato scritto mentre ero ancora impegnato nel mio ruolo di dirigente. Dal punto di vista della scelta dei contenuti il libro è stato disegnato giorno per giorno prendendo spunto dalle quotidiane vicende lavorative, riallacciandomi alle esperienze vissute in altre realtà aziendali. La stesura del testo invece, per ovvii motivi, è avvenuta la sera dopo cena e durante i fine settimana.
 
3. Il suo autore contemporaneo preferito?
Sono da sempre un ammiratore di Ken Follett che ha il grande pregio di saper mescolare perfettamente la storia con la fantasia, persone realmente esistite con personaggi inventati. Ha una prosa bellissima, fluida, chiara, intrigante. Mi piacciono molto anche le vicende narrate da John Grisham, mentre tra i narratori italiani adoro la scrittura di Donato Carrisi. Andando indietro di qualche anno non posso non citare Luigi Pirandello, che rappresenta per me il primo scrittore che, quando ero poco più che adolescente, mi ha coinvolto con le sue storie e con il racconto dell'animo umano. Recentemente ho apprezzato moltissimo "M" di Antonio Scurati, che è riuscito a trasformare la storia recente in un racconto coinvolgente, quasi un romanzo, attraverso la cronaca minuto per minuto degli avvenimenti della prima parte del ventennio fascista.
 
4. Perché è nata la sua opera?
Trentacinque anni di lavoro in contesti aziendali complessi, prevalentemente nell'amministrazione in ambito bancario, rappresentano un banco di prova molto impegnativo. Mi sembrava giusto raccontare la mia esperienza mettendo in luce quanto di negativo e di positivo, ovviamente secondo il mio punto di vista, viene espresso durante una giornata di lavoro di una persona chiamata a dirigere altre persone e a rispondere del raggiungimento degli obiettivi aziendali. Chi si ritrova ad assumere ruoli di responsabilità con l'onere e l'onore di dirigere delle persone deve decidere come interpretare questo ruolo stando attento a non lasciarsi sedurre da esempi sbagliati. Ecco, con questo libro ho voluto provare a indicare una direzione, a fornire delle alternative a modelli di comportamento spesso abusati e poco efficienti da un punto di vista aziendalistico.
 
5. Quanto ha influito nella sua formazione letteraria il contesto sociale nel quale vive o ha vissuto?
Il contesto sociale, in particolare quello lavorativo, è stato proprio la molla che mi ha spinto a scrivere il libro. È dall'osservazione delle persone, dei loro comportamenti, delle loro aspettative, dei successi e degli errori di tutti i giorni che scaturiscono le mie riflessioni. Talvolta ci capita di pensare "queste cose meriterebbero di essere riportate in un libro". Poi, all'improvviso, ti fai prendere dalla voglia di lasciare una traccia, la tua traccia, e inizi a scrivere fiumi di parole e di concetti. E un bel giorno ti ritrovi con un libro che parla di te e senti l'esigenza di voler condividere la tua esperienza.
 
6. Scrivere è una evasione dalla realtà o un modo per raccontare la realtà?
Nel mio caso è stato più un modo di raccontare la realtà. Tuttavia, nel raccontare la realtà ho scoperto un bel modo di evadere, perché scrivere mi ha costretto a estraniarmi dal quotidiano, dagli impegni di domani, dai problemi contingenti di ufficio, e mi ha obbligato a pensare a come strutturare il mondo che stavo raccontando. Credo che questo valga indipendentemente dal fatto che si stia scrivendo una storia inventata o uno o più episodi della propria esperienza lavorativa. Un libro è un modo di coinvolgere gli altri senza prevaricare, dal momento che si troveranno coinvolti solo coloro che consapevolmente decideranno di "ascoltare" quello che hai da dire.
 
7. Quanto di lei c’è in ciò che ha scritto?
Escludendo i limitati riferimenti a persone che ho incontrato nel corso della mia carriera lavorativa, posso dire che il libro parla di me, delle mie idee, del mio approccio con le persone, del mio modo di interpretare il ruolo di manager. Non trattandosi di un'opera di fantasia, inevitabilmente il libro si attiene alla realtà, in questo caso alle mie esperienze di lavoro. Ho anche raccontato alcuni aneddoti personali o esperienze specifiche che hanno lasciato un segno indelebile.
 
8. C’è qualcuno che si è rivelato fondamentale per la stesura della sua opera?
La persona che ha avuto un ruolo fondamentale nella stesura del testo è stata mia nipote Claudia Panciera. Ha avuto l'abilità di spingermi a semplificare i concetti e di accompagnarmi nel rendere più fluida la scrittura. Ha svolto un lavoro di revisione critica molto importante, senza dimenticare alcuni spunti di riflessione che hanno contribuito ad arricchire i contenuti del libro.
 
9. A chi ha fatto leggere per primo il romanzo?
Una primissima bozza l'ho sottoposta all'opinione di mia sorella Agostina, una grande lettrice, che non ha mancato di darmi i suoi giudizi critici e taluni suggerimenti narrativi. E' fondamentale che chi legge le tue bozze sia rigoroso e severo, senza cedere a inutili e dannose piaggerie. E mia sorella è stata brava in questo.
 
10. Secondo lei il futuro della scrittura è l’ebook?
Francamente non saprei e non so se sono una persona titolata a esprimermi in tal senso. Infatti, so di non fare testo in quanto sono un lettore ormai "datato". Adoro il libro di carta, quel piccolo, leggero, affascinante parallelepipedo da tenere nelle mani, da sfogliare pagina dopo pagina sottolineando alcune frasi con la matita, piegando l'angolo della pagina dove poter rintracciare domani i contenuti di maggiore interesse. Ancora resto affascinato dal fluire della lettura, dal vedere i progressi nell'avanzamento della storia attraverso la posizione del segnalibro di carta. Per non parlare del piacere di vedere i miei libri uno vicino all'altro sulla libreria a raccontarmi visivamente quanta parte del mio tempo ho dedicato loro e quanto quei libri abbiano contribuito a rendermi quello che sono. Ho acquistato solo un ebook pochi mesi fa e la mia esperienza di lettura non è stata all'altezza di quella di un tradizionale libro di carta. Ma, come ho detto prima, il mio è il pensiero di un lettore di un'altra epoca che forse semplicemente non vuole adeguarsi ai tempi. E riconosco che per un manager, che tra i suoi mantra ha anche l'attitudine al cambiamento, è una pecca non da poco. Sono invece più evoluto nella lettura del mio giornale, Il Fatto Quotidiano, che ormai da anni, dopo una vita passata a leggere il Sole24ore cartaceo, per me è solo e rigorosamente in formato elettronico.
 
11. Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
Non li conosco molto bene, ma conosco qualcuno a cui piacciono molto. Tuttavia anche in questo caso resto affezionato alla lettura "fai da te" del libro di carta. Leggere un libro, per me significa soffermarsi su quello che si sta leggendo, tornare indietro se necessario per rileggere quanto appena letto, riflettere sui concetti, calarsi nel contesto, e ho il timore che l'audiolibro non consenta tutto ciò. Ma forse la mia è solo una remora da lettore di altri tempi.
 
 
 
 
 

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