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13 Apr
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Intervista all'autore - Isabella Costanzino La Rovere

1. Ci parli un po' di Lei, della Sua vita. Da dove viene? Come e quando ha deciso di diventare scrittore?
Sono nata a Palma di Montechiaro, un paese in provincia di Agrigento. Essere nata e aver vissuto in un paese siciliano dove la vita è difficile e spesso segnata da esperienze di povertà e rinunce e aver visto la sofferenza scorrere nell'esistenza umana come fosse uno scorrere ineluttabile, ha formato la mia coscienza politica e la mia sensibilità nei confronti del dolore altrui. Non ho deciso di diventare scrittrice, è stata la scrittura a scegliere me perché scrivere mi consente di fermare sulla carta tutte le sofferenze di cui sono stata testimone nella speranza che scrivendone, si induca la capacità del lettore a riflettere sull'importanza di partecipare alla comprensione del senso dell'amore verso "gli ultimi".
 
2. Nell’arco della giornata qual è il momento che dedica alla scrittura?
La notte quando tutto tace, il telefono non squilla, il silenzio mi circonda e mi consente di concentrare intensamente i pensieri che intendo fermare sul foglio.
 
3. Il suo autore contemporaneo preferito?
Camilleri naturalmente.
 
4. Perché è nata la sua opera?
Questo libro nasce dall'esigenza di provare a dimostrare, tramite un percorso empirico, che la natura umana possiede una derivazione genetica. La presunzione nell'elaborazione di questa teoria, non ha certamente valenza scientifica, né pretende in nessun modo di assurgere a una verità assoluta che peraltro, non potrebbe essere suffragata da nessun argomento oggettivamente inoppugnabile. La constatazione di fatti concreti e di osservazioni personali che nel tempo si sono susseguiti, però, mi hanno indotta a credere che nei comportamenti ci sia sempre un "responsabile" nella genia. Fermo restando che spesso tale fenomeno viene scardinato da molti fattori contingenti: la cultura, l'ambiente, le frequentazioni, il background.
 
5. Quanto ha influito nella sua formazione letteraria il contesto sociale nel quale vive o ha vissuto?
È stato fondamentale. Senza il contesto sociale in cui sono vissuta, non avrei mai potuto scrivere storie di donne, di uomini e di tragedie sociali con tanta passione.
 
6. Scrivere è una evasione dalla realtà o un modo per raccontare la realtà?
Scrivere è raccontare la realtà e spesso è un momento di catarsi. In alcune occasioni, scrivere di vicende che hanno toccato personalmente lo scrittore, turbando in qualche modo la sua vita, aiuta a liberarsi dalla sofferenza prodotta dall'evento.
 
7. Quanto di lei c’è in ciò che ha scritto?
Molto. Credo ci sia sempre molto di sé in ciò che si scrive. Almeno agli esordi. Io stessa vedo in me una predisposizione a certi atteggiamenti negativi ereditati ma che per fortuna percepisco e cerco di controllare. Il senso della vendetta, per esempio, pessima tendenza che riconosco essere eredità di una parte della mia famiglia e che con molta fatica, chiudo in quell'angolo della coscienza che sa quanto essa sia inutile, dannosa e terrificante. La possibilità di riconoscerla come istinto deleterio, è dovuta, peraltro (secondo la mia teoria), alla consapevolezza di aver ereditato in misura maggiore, la parte "buona" del patrimonio genetico familiare.
 
8. C’è qualcuno che si è rilevato fondamentale per la stesura della sua opera?
Nella stesura dell'opera è solo lo scrittore il "qualcuno" fondamentale, io credo. Nell'ispirazione della stessa invece, c'è sempre un'esperienza, un dolore, una persona che induce a mettere insieme l'idea di scrivere la storia. Poi ci sono i supporti emotivi e quelli tecnici. Senza i primi, è molto difficile portare a termine un libro, senza i secondi si può finire la storia, ma certamente non sarebbe ben curata.
 
9. A chi ha fatto leggere per primo il romanzo?
Alla dottoressa Pace, amica e critica spietata la quale, essendo una donna di scienza e possedendo quindi quella mentalità pragmatica che deve avere prove scientifiche per avallare una tesi, è stata affettuosamente spietata nel giudicare il punto di vista descritto nella storia. Ciò è stato molto stimolante e, sebbene in disaccordo sulla teoria secondo la quale si eredita anche la predisposizione al bene o al male, ha voluto scrivere la Prefazione del libro. D'altronde la scienza non ha nessuna prova che ciò accada, al contrario, essa pare dimostri che tale predisposizione non abbia nulla a che fare con la genetica, quindi la dottoressa Pace, quale donna di scienza, contesta tout court, la mia posizione.
 
10. Secondo lei il futuro della scrittura è l’ebook?
No, credo di no e personalmente non vorrei mai rinunciare al fruscio delle pagine che scorrono fra le dita.
 
11. Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
Credo che sia fantastica. Spero si sviluppi ulteriormente anche perché penso a coloro che non vedono o vedono poco e non vorrei mai che rinunciassero alla "lettura" per questo.
 
 

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